Camerun: dar da bere ai rifugiati

Un’associazione giovanile del Camerun costruisce con l'aiuto dei lettori un pozzo per il suo villaggio,in una zona semidesertica, e lo mette a disposizione di tutti, anche dei rifugiati che scappano dalle violenze di Boko Haram.
25 Luglio 2019 | di

L’Africa trova in autonomia le soluzioni alla propria povertà. Cerca solo chi la aiuti a mettere ali ai sogni. È il caso di un micro-progetto realizzato nel villaggio di Mbadlak, all’estremo nord del Camerun, grazie al vostro aiuto. A proporlo l’Associazione giovani che opera all’interno della diocesi di Maroua-Mokolo e ha come mission quella di salvaguardare l’ambiente, combattere la desertificazione e la povertà materiale e spirituale che spesso da essa deriva.

L’equazione «cura dell’ambiente uguale salvaguardia degli esseri umani» è molto chiara ai giovani dell’associazione: «Viviamo in un clima desertico tropicale – afferma Martin, responsabile del progetto –. La stagione secca dura nove mesi e le siccità ricorrenti sono sempre più gravi. Verso marzo-aprile l’acqua diventa più preziosa dell’oro». Pesantissime le conseguenze: «I bambini, invece di studiare, passano ore in cerca d’acqua, che tra l’altro spesso non è potabile. Aumentano così le malattie e le morti causate principalmente dalle infezioni intestinali. Da noi si vive con meno di 1 euro al giorno, mentre allevamento e agricoltura di sussistenza sono sempre più difficili da sostenere con l’attuale carenza d’acqua».

Tanto per complicare le cose, negli ultimi anni, è cresciuto il fabbisogno d’acqua: «Siamo vicini al confine con Ciad e Nigeria, nella zona in cui imperversa il gruppo terroristico islamista di Boko Haram. Per questo motivo, nella nostra regione abbiamo un continuo afflusso di rifugiati camerunensi e nigeriani in fuga dai villaggi di confine». Una situazione che pesa ulteriormente su una carenza d’acqua già insostenibile.

Ci vorrebbe un pozzo. Facile a dirsi: «Siamo ai piedi del monte Mandara – spiega Martin –, anche quando piove, l’acqua ruscella via verso la grande pianura. Per trovare acqua potabile non basta trivellare fino a 30 o 40 metri di profondità. Bisogna arrivare ai 70, ma ci vogliono più di 20 mila euro e noi non ce li abbiamo».

Il progetto però ce l’hanno, con tanto di studio idrogeologico e sistema di controllo della potabilità dell’acqua. Si tratta di un pozzo, alimentato a pannelli solari, con una cisterna a castello.

Caritas Antoniana accetta il progetto. I lavori iniziano a dicembre del 2018 e nell’aprile scorso il pozzo è realizzato, con relative fontane accessibili e file colorate di donne e bambini con taniche e contenitori d’ogni tipo.

«È un netto miglioramento per la nostra vita. Qui trovano acqua potabile di qualità non solo i 3.500 abitanti del nostro villaggio, ma anche le persone dei villaggi vicini e chiunque ne abbia bisogno. Perché l’acqua è vita – conclude Martin – e un bicchiere d’acqua non si nega a nessuno».

 

Leggi di mese in mese i resoconti dei progetti sostenuti da Caritas Antoniana anche sul Messaggero di sant'Antonio di carta e sulla corrispondente versione digitale!

Data di aggiornamento: 25 Luglio 2019
Lascia un commento che verrà pubblicato