Le percezioni distorte

Realtà e percezione sono entrate in conflitto. È un guaio, perché dalla rappresentazione personale e collettiva dipendono le nostre scelte e la qualità del vivere civile. L’intervento di Nando Pagnoncelli.
23 Gennaio 2019 | di

Realtà e percezione sono in conflitto. Ed è un guaio. Infatti non lo sono per natura, perché l’atto di percepire corrisponde semplicemente al «cogliere i dati della realtà mediante i sensi» (Zingarelli 2011), elaborando le informazioni ricevute. Il fatto è che, a motivo di una serie di processi, non tutti virtuosi, l’aderenza tra percezione e realtà sta indietreggiando. Ovvero: un numero calante di persone sceglie a partire da dati concreti, da una competenza acquisita, da ponderatezza motivata, appoggiandosi piuttosto e solo sulle impressioni personali immediate.

Non si tratta a propria volta di un’«impressione». Dal 2013, la società di ricerche di mercato Ipsos conduce l’indagine internazionale I pericoli della percezione. Come sottolinea Bobby Duffy, direttore di Ipsos Regno Unito, ne usciamo parecchio male, visto che nella gara per la percezione più distorta «gli italiani sono degni vincitori. Hanno ipotizzato che il 49 per cento dei connazionali in età lavorativa fosse disoccupato, mentre in realtà si trattava del 12 per cento. Hanno valutato che gli immigrati fossero il 30 per cento della popolazione, quando la cifra reale era del 5 per cento. Hanno ipotizzato che il 35 per cento delle persone in Italia avesse il diabete, quando in realtà è solo il 5 per cento».

Nel panorama nostrano, l’esperto più autorevole è Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia e famoso tra il grande pubblico per la consolidata collaborazione con Dimartedì su La7. È del 2016 il suo eloquente saggio Dare i numeri. Le percezioni sbagliate sulla realtà sociale (Edb), nel quale mostra quanto la discussione pubblica sia viziata da cifre sballate. Sempre peggiorative. È sovrastimata l’incidenza dei migranti, il numero degli anziani, la percentuale dei giovani che non lavorano né studiano (neet), e via dicendo. Come spiegare questo arretramento della realtà? «Pesa, ad esempio, la bassa scolarità media – esordisce Pagnoncelli –. Tra i Paesi Ocse siamo al terz’ultimo posto per laureati. Andiamo in difficoltà nel leggere i temi più complessi. Poi va messa in conto l’attitudine a far prevalere le emozioni sulla razionalità. A volte, accade in modo inconsapevole. Quando parliamo di fenomeni che ci preoccupano, siamo portati a dilatarne la portata. È un grido d’allarme». Ecco perché non si tratta di semplici «errori», bensì di «distorsioni», che hanno un peso diverso. Sui temi mediaticamente «caldi» le risposte hanno la tendenza ad andare tutte nella stessa direzione. Sovrastimando il problema. È un processo prevedibile, quindi manipolabile da chi ha interesse a farlo (mercato e politica su tutti).

Nel 2017 Ipsos ha chiesto: «Pensa che il tasso di omicidi nel suo Paese sia più alto, uguale o più basso rispetto al 2000?» (provate a rispondere prima di proseguire). L’84 per cento degli italiani crede sia aumentato o rimasto uguale. La realtà? C’è stata una diminuzione del 39 per cento! Basterà questo fatto, accertabile, a far modificare la percezione personale in materia? «Non è sufficiente – risponde Pagnoncelli –. Le convinzioni profonde non vengono scalfite. È come se ci costruissimo una realtà su misura basata sulle nostre percezioni. Sono queste ultime a guidare comportamenti e atteggiamenti, non la realtà. Quando lei contrappone il numero reale a quello percepito, in larga misura trova persone che continueranno a credere al numero che hanno in testa loro. Se non conosce il tema, il singolo  è portato a credere a chi si fida di più, o a chi è più convincente. Che abbia ragione o meno. E prescindendo dal merito».  

La presunzione di sapere tutto

La semplificazione: il nuovo paradigma è il titolo di un’altra recente ricerca prodotta da Ipsos Italia. Pagnoncelli così ce la presenta: «Semplificazione e percezione vanno di pari passo. L’attitudine è quella di rendere semplici le cose complesse. È la storia dell’uomo. Ma viviamo in una fase di estrema complessità. È una pretesa eccessiva immaginare di ricondurre fenomeni complessi a parametri di interpretazione terra terra. È molto più semplice dire che i vaccini fanno male, piuttosto che spiegare come i vaccini agiscono, come sono mirati e via dicendo. Alla fine, ci si mette sullo stesso piano del luminare. Una volta si diceva che tutti gli italiani erano commissari della nazionale di calcio; oggi questo atteggiamento si è esteso a qualsiasi tema, dalla macroeconomia alla sicurezza, dall’urbanistica alla salute. Rischia di essere un processo dannoso, quando si accompagna alla presunzione di sapere tutto di tutto. Nel momento in cui viene meno il rispetto per la competenza altrui, è chiaro che salta il vivere civile». Per invertire la tendenza, sostiene l’esperto, bisogna «puntare sull’istruzione, e provare a farsi carico delle preoccupazioni che sono alla base di queste distorsioni percettive. Non è dicendo: “Stai sbagliando clamorosamente” che una persona si convincerà dell’errore. È necessario entrare in una logica empatica, facendosi carico della paura».

Incide molto anche il modo con il quale ci si informa. Sottolinea Pagnoncelli: «Sembra un paradosso, ma l’aumento esponenziale dell’offerta mediatica fa privilegiare un certo tipo di informazione molto superficiale, più da tweet che non da articolo di approfondimento». Nell’occhio del ciclone l’invasività di social network e smartphone, accusati di incidere (negativamente) sulla salute fisica e mentale personale, oltre che sulla salute della democrazia in generale.

In proposito, due apporti di qualità sono il libro Iperconnessi. Perché i ragazzi oggi crescono meno ribelli, più tolleranti, meno felici e del tutto impreparati a diventare adulti (Einaudi 2018), della psicologa statunitense Jean M. Twenge, e, con lo stesso titolo Iperconnessi, la puntata di Presadiretta di Riccardo Iacona andata in onda il 15 ottobre scorso su Raitre.

 

Il dossier completo, che prende spunto dalle lezioni di Viktor Frankl, Haruki Murakami e J. R. R. Tolkien, e con l’intervista al gesuita padre Giovanni Cucci, è leggibile sul numero di Gennaio 2019 del «Messaggero di sant’Antonio» e nella corrispondente versione digitale.

Data di aggiornamento: 23 Gennaio 2019
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