Da solidarietà a buona politica

Trasformare la solidarietà in nuova politica: questa è la sfida dei prossimi mesi per gli uomini e le donne di buona volontà.
05 Dicembre 2018 | di

Una colletta privata organizzata in tutta Italia ha permesso a famiglie di immigrati di far fronte al maggior costo richiesto dal comune di Lodi per la mensa scolastica ed evitare così che un gruppo di bambini venisse separato ed emarginato dal resto dei compagni di scuola. È stata una risposta spontanea, la dimostrazione dell’esistenza di una solidarietà ancora vigile e capace di organizzarsi, non ancora annegata nel qualunquismo e nel disinteresse rispetto alla sorte dei più deboli.

Di iniziative simili a quella di Lodi ve ne sono molte in Italia. Gestite da singoli, gruppi o associazioni, tali iniziative hanno un duplice scopo: rispondere alle necessità di chi, italiano o immigrato che sia, nelle nostre periferie ha poco o nulla e creare una rete di protezione attorno a chi è emarginato.

Questa solidarietà che si organizza e promuove iniziative è fondamentale. Senza di essa è impossibile costruire una società aperta, capace di accettare le differenze culturali o di eliminare, per quanto è possibile, le diseguaglianze provocate delle nuove e diffuse povertà. Non è quindi da sottovalutare, ma dobbiamo chiederci: basta? È sufficiente in un Paese come il nostro che deve affrontare e risolvere i grandi problemi sociali posti dalla globalizzazione, dall’arrivo in Europa di milioni di persone, dalla disoccupazione e indigenza del nostro Sud?

Purtroppo non basta; la solidarietà dei singoli o dei gruppi, per quanto apprezzabile, non può sostituire lo Stato, le decisioni politiche, un sistema di welfare che tenga conto della nuova realtà.

Finora le scelte politiche sono andate in tutt’altra direzione: nella costruzione di diritti differenziati in uno Stato che elargisce poco ai suoi poveri e respinge quelli che vengono da altri Pae­si, di un welfare che crea disparità e conflitto invece che integrazione e redistribuzione. Scelte politiche che spesso hanno negato diritti umani universali e assoluti e premiato l’appartenenza a un territorio, a una nazione, a una «civiltà».

Contro di esse oggi va fatto un salto politico e culturale. Un salto che può trarre vantaggio da risorse importanti di solidarietà e di accoglienza, di resistenza all’egoismo, ma deve diventare cultura diffusa ed esplicita richiesta di cambiamento. In poche parole, battaglia politica.

Ci vuole coraggio: quello di essere una minoranza, di affrontare lo scontro da posizioni evidentemente più deboli, di cominciare dalle piccole cose per andare a quelle più grandi. Chi ha fatto in modo, con una colletta privata, di dare una mensa ai bambini che un comune voleva lasciar fuori, deve pretendere il cambio del regolamento; chi organizza mense o scuole per gli immigrati, chi li accoglie al loro arrivo, deve ottenere riconoscimenti e aiuti dallo Stato. Non deve aver timore di condannare, in tutte le sedi pubbliche, gli atti di emarginazione, le parole di crudeltà che sono oggi elargite a piene mani. E nel dare il proprio voto deve fare della solidarietà, dell’accoglienza e di un welfare per tutte le povertà la principale discriminante.

Trasformare la solidarietà in nuova politica: questa è la sfida dei prossimi mesi per gli uomini e le donne di buona volontà.

 

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Data di aggiornamento: 05 Dicembre 2018

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