Podcast, in ascolto del mondo

L’ascolto dei podcast, o audio on demand, sta crescendo esponenzialmente in tutto il mondo. Molteplici le ragioni di questo successo, non ultima quel desiderio tutto umano e mai sopito di narrare e di ascoltare storie...
26 Luglio 2023 | di

Era il 3 Ottobre 2014 quando, senza grandi proclami, venne rilasciata online la prima puntata del «racconto audio» Serial. Le puntate di Serial si potevano ascoltare sull’omonimo sito, attraverso il computer, oppure con uno smartphone, dopo essersi scaricati le applicazioni create appositamente per questo. Le puntate, settimanali, uscivano ogni giovedì e duravano un tempo compreso tra la mezz’ora e l’ora. A condurre la trasmissione era la giornalista Sarah Koenig che, un anno prima, si era imbattuta in un fatto di cronaca nera, segnalatole da una lettrice che la seguiva abitualmente sul giornale in cui scriveva, il «Baltimore Sun», e che l’aveva appassionata a tal punto da indurla a volerla approfondire.

La vicenda risaliva al 1999: il 13 gennaio di quell’anno, Hae Min Lee, allieva diciottenne della Woodlawn High School, nella Contea di Baltimora, sparì nel nulla. Il suo corpo venne ritrovato un mese dopo in un parco cittadino e le analisi dei periti stabilirono che era stata strangolata presumibilmente lo stesso giorno della sua sparizione. Le indagini portarono all’arresto del suo ex fidanzato, Adnan Syed, 17 anni, uno studente modello, molto amato dai compagni, che un anno dopo venne condannato all’ergastolo. La vicenda in realtà aveva molti punti oscuri: nulla sul corpo di Hae Min Lee riconduceva ad Adnan, il quale venne «incastrato» dalla testimonianza di un suo amico, Jay, che confessò alla polizia di aver aiutato Adnan a nascondere il corpo della ragazza.

La prima serie di Serial si occupò così di ricostruire pezzo dopo pezzo la vicenda, intervistando testimoni, rileggendo gli atti del processo, chiamando in causa numerosi avvocati ed esperti, sentendo più volte lo stesso Adnan che da 15 anni era rinchiuso in carcere pur proclamandosi innocente. In ogni puntata (13 in tutto furono quelle della prima serie), Koenig propose altrettante ipotesi (tutte verosimili) di come la ragazza uccisa avesse trascorso le sue ultime 24 ore di vita. La trasmissione audio, puntata dopo puntata, raccolse un successo crescente, al punto tale che di lì a poco Koenig fondò una casa editrice e finì poi per lavorare per il «New York Times».

E, come se non bastasse, Serial contribuì anche a riaprire il caso: lo scorso settembre, dopo 23 anni di carcere, Adnan Masud Syed è stato infatti liberato, su cauzione e con cavigliera elettronica, poiché la visibilità che la trasmissione audio aveva dato alla sua vicenda ha spinto la pubblica accusa ad accogliere la richiesta degli avvocati difensori di ripetere le analisi sui reperti fisiologici utilizzati durante il processo, utilizzando però le tecnologie più moderne. Risultato? Nessuna delle tracce ritrovate sul corpo della ragazza uccisa poteva essere ricondotta ad Adnan, che ora spera di venire definitivamente prosciolto. A questa prima serie di Serial ne seguirono poi altre due, che ne replicarono il grande successo (la trasmissione è stata scaricata 350 milioni di volte nel mondo) e, di fatto, aprirono la strada all’avvento di un nuovo modo di raccontare, in audio, sul web: il podcast. 

Ma che cos’è un podcast? In estrema sintesi, è un file audio digitale, caratterizzato da serialità, vale a dire da una serie di episodi che possono essere collegati l’uno all’altro, oppure semplicemente accomunati da un tema benché autoconclusivi. È distribuito sul web (tramite RSS, uno dei più popolari formati per la distribuzione di contenuti web) e lo si può ascoltare attraverso un computer, uno smartphone o un tablet, sia online (in tal caso si dice che l’ascolto avviene «in streaming») che offline, dopo averlo scaricato (effettuando cioè un «download»). 

Sull’origine della parola podcast non tutti concordano, anche se i più la fanno risalire a un articolo del 2004 pubblicato sul «The Guardian», firmato da Ben Hammersley e intitolato Audible Revolution, nel quale il giornalista, cercando un termine corretto per identificare questo tipo di file audio che stava sempre più prendendo piede, lo definì «podcast», dalla crasi di iPod (il device lanciato dalla Apple che per primo permise di ascoltare facilmente e ovunque i primi audio seriali, grazie a una specifica funzione di cui era dotato) e broadcasting (radiodiffusione). Da quel momento in poi, la parola prese sempre più piede, fino a essere definita nel 2005 «parola dell’anno» dal New Oxford American Dictionary.

Le ragioni di un successo

I primi esperimenti di podcast «erano cominciati agli inizi degli anni Duemila – sottolinea Damiano Crognali, autore di Podcast. Il nuovo rinascimento dell’audio – e proseguiti negli anni immediatamente successivi, ma questa produzione originale, che aveva avuto un boom nel 2005, a seguito della diffusione dei podcast su iTunes (un’applicazione sviluppata e distribuita dalla Apple, per riprodurre e organizzare file multimediali, grazie all’acquisto online di musica, video e audio, ndr), era col tempo via via scemata, riducendosi a una piccola, specializzata e agguerrita nicchia di amatori». Fino, appunto, all’arrivo di Serial che invertì la tendenza: da quel momento in poi, infatti, l’ascolto di podcast prese a crescere, con un trend costante che non accenna ancora oggi diminuire. 

A favorire il consolidamento dei podcast nel mercato statunitense fu la natura del sistema radiofonico locale: la mancanza di una radio a copertura nazionale e la presenza, invece, di un grande numero di piccole emittenti locali non permettevano una grande diffusione dei programmi. Il web risolse il problema, permettendo ai creatori di contenuti di rivolgersi potenzialmente a tutta la nazione. Normale quindi che anche oggi gli Stati Uniti siano il Paese al mondo con la più grande diffusione di podcast (secondo la ricerca «Infinite Dial 2023» di Edison research, nel 2023 per la prima volta il podcasting negli USA avrebbe raggiunto i 120 milioni di ascoltatori mensili), seguito dal Brasile, dove gli ascoltatori di podcast stanno crescendo con il ritmo maggiore al mondo (oltre a essere il secondo mercato di Spotify, una delle più note piattaforme di distribuzione di audio on demand, con circa 100 milioni di ascoltatori sparsi in 184 Paesi, per i podcast), e quindi dall’India. E la crescita non pare accennare a fermarsi: se infatti nel 2019 gli ascoltatori di audio on demand erano stimati in 274,8 milioni nel mondo, nel 2023 sarebbero 464,7 e per il 2024 il numero previsto si attesterebbe sui 504,9 milioni (fonte: eMaketer ).

Ma anche in Italia il podcasting sta crescendo a dismisura, nonostante l’iniziale diffidenza. Lo conferma, per esempio, l’indagine Ipsos dell’ottobre 2022, che sostiene che il 36% della popolazione italiana tra i 15 e i 60 anni (circa 11 milioni di persone) avrebbe ascoltato almeno un podcast solo nel mese precedente il sondaggio. E così pure la ricerca «From podcast to branded podcast: i risultati della ricerca di scenario» (aprile 2023), di Obe in collaborazione con DVA Doxa, la quale sostiene che ci siano 14,9 milioni di italiani tra i 18 e i 69 anni (il 14,6% in più rispetto all’anno precedente) che ascoltano audio on demand.

E, se ancora non bastasse, ecco la recentissima (maggio 2023) ricerca Nielsen per Audible, presentata lo scorso giugno durante «il Pod» (il premio per i migliori podcast italiani, che si svolge a Milano dal 2022) che parla di un aumento del 7% rispetto al settembre 2022 (quando le persone che avevano ascoltato almeno un podcast nell’anno precedente erano 15,4 milioni), attestandosi attorno ai 16 milioni e mezzo. Insomma, come sostiene Andrea de Cesco, tra le maggiori esperte italiane di podcast e direttrice della Chora Academy, la scuola di podcasting di Chora Media, «“qualcuno” che ascolta podcast c’è, ed è un numero in costante crescita. In percentuale peraltro parliamo di valori simili, per esempio, a quelli del settore dei libri, che esiste da molto più tempo di quello dei podcast e rappresenta la prima industria culturale italiana».

Ma quali sono le ragioni di questo successo? «Sostanzialmente il fatto che il podcast si riallaccia alla tradizione orale – sottolinea de Cesco –. Da sempre l’essere umano ha amato le storie, ha amato raccontarle e ascoltarle. Io vengo da studi classici e già nell’antica Grecia, per esempio, c’erano gli aedi, i cantori, coloro che raccontavano al popolo i poemi ed erano considerati personaggi sacri. Il podcast è una sorta di aedo contemporaneo, grazie al quale chiunque, oggi, può sentirsi narrare delle storie, purché abbia uno smartphone. Io stessa mi sono avvicinata a questo mondo proprio perché amavo ascoltare racconti; sin da piccola, quando i miei nonni mi raccontavano le storie rimanevo incantata. Inoltre – e questo è un aspetto molto interessante – i podcast si possono ascoltare mentre camminiamo, facciamo le pulizie, siamo in palestra, in macchina, o viaggiamo sui mezzi pubblici. In una cultura orientata al video, com’è la nostra, il podcast apre spazi di libertà, proprio perché ci consente di ascoltarlo ovunque e anche mentre si fa dell’altro».

Anche Andrea de Cesco, dopo un passato di giornalista per la carta stampata (ha lavorato per un lungo periodo al «Corriere della sera», con il quale continua a collaborare in particolare sui temi legati alla cultura digitale) è stata «stregata» da Serial e, nel giro di qualche anno, ha deciso di dedicarsi ai podcast, dando vita, tra le altre cose, a Questioni d’orecchio, la prima newsletter italiana sul mondo dei podcast e degli audiolibri

Ma cosa fa di un podcast un buon podcast? «Innanzitutto la professionalità di chi lo realizza – continua de Cesco –. Quello del podcaster non può essere un mestiere improvvisato. Ci vogliono professionisti capaci di trovare storie da raccontare e che sappiano raccontarle bene. Che abbiano una visione chiara di quali argomenti trattare e che siano in grado di pianificare il loro lavoro per ottenere quel risultato. Devono avere quelle abilità di ricerca che gli consentano di conoscere il proprio pubblico e i suoi gusti –“non si tratta solo di conoscere la fascia demografica o di età, ma anche le lotte quotidiane, le passioni e il tipo di contenuto che amano consumare” scrive la giornalista sulla sua newsletter – per poter offrire dei contenuti significativi». E poi devono, naturalmente, possedere «grandi capacità di narrazione» che consentano loro di combinare insieme «creatività, chiarezza e capacità di connettersi con i propri ascoltatori. Creando storie coinvolgenti che siano riconoscibili, divertenti o stimolanti» conclude. 

Dello stesso avviso anche Mario Calabresi, già direttore de «la Stampa» e di «Repubblica», che nel 2020, con Guido Brera, Mario Gianani e Roberto Zanchi, ha fondato Chora, la principale podcast company italiana (una struttura che si occupa di scrivere, produrre, fare editing e sound design di podcast). E che già in precedenza, nel 2017, quando era alla direzione di «Repubblica», aveva deciso di puntare sul podcasting, caricando sul sito del quotidiano Veleno (da molti definito il Serial italiano), un podcast firmato da Pablo Trincia e Alessia Rafanelli, i quali in un’inchiesta audio in sette puntate avevano ricostruito un eclatante caso di cronaca avvenuto alla fine degli anni Novanta nella Bassa modenese.

Intervistato da Valerio Bassan per «Ellissi», Calabresi così racconta la genesi del suo progetto: «Quando con i miei soci, ho iniziato a ragionare sul mondo dell’audio, ci siamo convinti che in Italia ci fosse uno spazio per creare una società che investisse nel comparto, e che lo facesse puntando su formati lunghi e immersivi. Sono sempre stato un grande amante delle letture lunghe, ma anche convinto che il formato mal si adattasse alle abitudini di fruizione di un quotidiano, dove a volte il longform appare quasi fuori contesto. In versione audio, invece, il longform trova una sua declinazione più forte: un’intervista di 30-40 minuti, che da leggere risulterebbe troppo lunga, via podcast diventa appassionante e fruibile. L’audio, inoltre, risponde benissimo al bisogno di fiducia da parte delle persone. La voce, infatti, è uno strumento potentissimo e intimo, in grado di creare un legame molto forte tra chi parla e chi ascolta. Non dimentichiamoci, poi, che lo smartphone è uno strumento che nasce attorno all’esperienza audio: oggi ascoltare un podcast è estremamente comodo e piacevole, che tu sia sul tapis roulant, stia cucinando o facendo un bagno nella vasca».

Tra i podcast di successo proposti da Chora, Stories è forse il più conosciuto. Realizzato da Cecilia Sala, una giovane reporter inviata in Ucraina, Stories raccontò per settimane in presa diretta, all’indomani dell’invasione russa, la guerra nel cuore dell’Europa, realizzando interviste e approfondimenti sul campo, con il sottofondo del rumore del Paese in guerra. Un escamotage che ebbe il merito di riuscire a coinvolgere immediatamente gli ascoltatori: nelle settimane in cui Cecilia Sala realizzò i suoi audio, a seguirla quotidianamente furono oltre 100 mila persone.

Valori, oltre il valore 

Al di là dell’istinto umano che è portato alla narrazione, c’è però un altro aspetto che rende i podcast così amati dal pubblico: l’intimità che essi riescono a creare con chi li ascolta. L’udito (forse perché oggigiorno meno sollecitato rispetto alla vista) consente infatti un livello di empatia profondo, permette il ricrearsi di una relazione che in un certo modo restituisce il senso di un rapporto personale. Inoltre, il podcasting consente di trasmettere un sistema valoriale, proprio perché basato sullo storytelling una modalità di racconto definita anche narrazione emotiva. 

Rossella Pivanti – podcast producer, formatrice per Spotify e tra i fondatori di Podcast Community Italia, la più numerosa community di podcasters e creatori audio del web – sul suo blog rossellapivanti.it sottolinea molto bene questo aspetto, spiegando la differenza tra uno storytelling e un «normale» racconto: lo storytelling è «una narrazione non focalizzata sulle parole (su quello che si dice) ma studiata per far emergere quel che si può dare all’altro. È una narrazione, in altri termini, poco legata al testo scritto o parlato ma focalizzata sul perché si è deciso di riportare quel testo in forma scritta o audio. Lo storytelling aiuta a dire qualcosa per dare qualcosa. Vuol dire trasmettere la volontà e il sentimento di volersi relazionare con l’altro. L’argomento non è poi così importante. O meglio, lo è, ma sempre in funzione del valore».

Ecco allora spiegato perché oggi ci siano podcast praticamente su ogni argomento dello scibile umano (dalla cucina alla psicologia, dalla cronaca nera alla storia, dall’attualità alla letteratura, dalla musica al cinema…): ciò che conta non è tanto, o non è solo, ciò che viene detto (che comunque deve essere detto bene), ma il desiderio di relazione che ci sta dietro. Un desiderio vecchio come l’essere umano, capace di «dire» la nostra stessa umanità. 

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Data di aggiornamento: 08 Febbraio 2024
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