Ma dove vanno in vacanza i caregiver?

In Italia c’è un popolo di caregiver silenzioso, che non si concede mai riposo e manda avanti situazioni a dir poco complesse gratuitamente.
25 Luglio 2023 | di

Ecco, ci siamo: è arrivata l’estate, tempo di cura per lo spirito e per il corpo. E anch’io vorrei qui parlare di cura. Per farlo parto da una canzone di Lucio Dalla e Francesco De Gregori che s’intitola Ma come fanno i marinai (1979). L’avete mai canticchiata? Prendo dunque spunto da questo intramontabile successo per ribaltare la domanda: ma come fanno i caregiver... ad andare in vacanza? Per chi non lo sapesse, i caregiver sono le persone che si prendono cura dei loro cari con disabilità, vivendo con loro tutto il periodo dell’anno, per ventiquattro ore al giorno. In Italia c’è un popolo di caregiver silenzioso, che non si concede mai un po’ di riposo e manda avanti delle situazioni a dir poco complesse gratuitamente.

Ho letto un articolo sulla testata «Superando.it», firmato dal mio amico e collega Giorgio Genta, il quale si definisce «vecchio caregiver» che nelle notti insonni scrive le sue riflessioni: «È notte e il vecchio caregiver, tutto intento a decifrare il segnale di allarme del ventilatore polmonare di Silvia, non si avvede subito di quanto trasmette la tv, tenuta a volume zero per non disturbare la dormiente. […] Ricordo però di avere ogni volta risposto, insieme agli amici della Federazione italiana ABC, che vale sempre la pena di perseguire tenacemente la miglior vita possibile per le nostre figlie e i nostri figli con disabilità e che nessuno di noi ha mai rimpianto quanto essa ci è costata [...] Per noi la miglior vita possibile è quella in famiglia». 

È una bella sfida quella di cui parla Giorgio, specialmente in questo periodo in cui la gente si gode le vacanze. Ma Giorgio non è l’unico: conosco tanti caregiver che non vanno in vacanza o che ci vanno insieme ai loro familiari con disabilità. Su «Redattore Sociale» di qualche tempo fa, per esempio, Marina Cometto ha ricordato la morte di sua figlia, di cui lei e il marito si sono presi cura ogni giorno per anni, fino alla fine, e che non avrebbero mai affidato a un istituto. Diverse mamme caregiver hanno manifestato solidarietà e affetto a lei e al marito. Come Elena Improta, per esempio, mamma di Mario, che ha affermato: «Viviamo dal primo giorno della loro vita come funamboli, li accompagniamo e lottiamo per dare loro una vita dignitosa, una vita piena!».

Queste testimonianze sono solo una piccola briciola di quelle che potrebbe esprimere il grande esercito dei caregiver, che purtroppo molto spesso viene sommerso dall’indifferenza della collettività. Questa comunità invece è una grande risorsa del nostro Paese: persone che supportano chi è in difficoltà nel prendersi cura di se stesso. È un messaggio basilare anche per la democrazia di un Paese e che va valorizzato pure da un punto di vista economico oltre che sociale. 

La celebre antropologa Margareth Mead ricordava come «l’inizio della civiltà nella “tribù degli uomini” fu un femore rotto e poi guarito», perché in natura gli esseri viventi che si rompono una gamba sono destinati a morire di stenti o a essere mangiati, a meno che qualcuno non si prenda cura di loro. Così nasce la civiltà. E voi fate parte di questa civiltà? Scrivete a claudio@accaparlante.it oppure sulle mie pagine Facebook e Instagram. 

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Data di aggiornamento: 25 Luglio 2023
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