Economia a prova di felicità

L’economia è vita. E, come la vita, ha vizi e virtù.
05 Gennaio 2018 | di

Nonostante l’economia e il mercato ci offrano, quotidianamente, uno spettacolo di vizi, l’economia e il mercato sono abitati anche da molte virtù. Perché, semplicemente, l’economia è la vita. E quindi è piena di vizi e di virtù, come lo è la vita. In questo nostro tempo di passaggio d’epoca sono però troppe le parole spese per sottolineare i vizi dell’economia, degli imprenditori, delle banche. C’è quindi un estremo bisogno di nuove «parole buone» sull’economia, sui lavoratori, sulle imprese. C’è bisogno di bene-dizioni, che prendano il posto delle tante male-dizioni che si odono.

Se non ricominciamo a parlare bene e a «riconoscere» il lavoro, potremmo immaginare tutti i sistemi incentivanti più perfetti, ma non aumenteremo la gioia di vivere nei luoghi del lavoro. Il vero bonus di cui avrebbero bisogno oggi gli insegnanti in Italia è la stima, tremendamente carente in un Paese che, mentre vuole incentivare maestre e professori, li tratta come dei fannulloni incompetenti. Il denaro non è mai stato un buon sostituto della gratitudine, anche se ci ha sempre provato.

Per questa ragione, inizieremo da oggi a parlare delle virtù del mercato, delle virtù degli imprenditori, del lavoro, della vita economica in generale. Virtù è una parola antica come l’uomo. Ben prima che in Grecia, in Medio Oriente e in Asia circa tremila anni fa alcuni saggi iniziassero a scrivere sulle virtù, l’homo sapiens era già capace di virtù. Sapeva compiere azioni buone e belle, per il solo motivo di fare cose belle e buone, e così raggiungere l’eccellenza, e condurre una vita felice. Compiere azioni virtuose è parte del repertorio umano. Siamo tutti capaci di virtù, anche quando intenzionalmente scegliamo di seguire i nostri vizi. Al tempo stesso, la virtù richiede «educazione», altra grande parola dimenticata dalla nostra società. Siamo fatti per le virtù, ma occorre formare il carattere perché questa potenzialità si traduca in azioni. Le virtù non sono faccende per soli eroi o santi. Sono per tutti, a condizione che ci formiamo, mente e anima, per condurre una vita virtuosa. A partire dalla famiglia, dalla scuola, dai luoghi vitali dove si esercita la nostra umanità.

Anche l’economia, essendo un pezzo di vita, ha le sue virtù, che sono in parte specifiche e in parte universali. Le virtù della giustizia, della prudenza, della temperanza, della fortezza, le cosiddette «virtù cardinali», non sono «solo» virtù specificatamente economiche ma sono «anche» virtù economiche, benché oggi vengano, troppo spesso, considerate dalla nostra cultura del business come dei vizi. Come non sono prerogativa dell’economia e del mercato le «virtù teologali» della fede, della speranza e dell’agape, che comunque restano «anche» virtù economiche (che sarebbero le imprese e il lavoro senza gente capace di credere, di sperare, di amare?).

Ci sono poi virtù «tipicamente» economiche, quelle che gli operatori dei mercati e delle imprese dovrebbero coltivare per raggiungere l’eccellenza in questo àmbito della vita. Alcune di queste virtù oggi sono molto enfatizzate dalla cultura dominante nelle grandi imprese – efficienza, meritocrazia, efficacia… –. Di altre si parla molto meno, e per questo saranno le virtù di cui soprattutto parleremo nel corso dell’anno.

In genere le virtù sono associate a un’altra bella parola: felicità. Si dice che il premio della virtù sia la felicità, o che addirittura lo scopo ultimo di chi pratica le virtù sia la felicità. In realtà, sono sempre più convinto che per noi esseri umani la felicità è troppo poco. Dalla vita vogliamo molto di più della felicità. Vogliamo, vorremmo, stima, riconoscenza, verità, senso. Nella vita, e quindi nell’economia e nel lavoro. La felicità non basta per saziare la nostra fame insaziabile d’infinito.

Data di aggiornamento: 05 Gennaio 2018
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