Vietnam: l’ultimo Natale del colonnello Sullivan

Gesù nasceva anche negli sperduti villaggi del Mekong, Vietnam, mentre infuriava quell’atroce e inutile guerra. Igor Man ricorda un Natale vissuto là, in un clima insolito, unico...
06 Dicembre 2000 | di

«Natale: nasce il Bambino ch' è già  nato. Il suo nome è Gesù». Maria e Giuseppe, i suoi genitori, cercano a Betlemme un alloggio. Invano. Anche allora nessun albergatore accoglierà  una donna povera che sta per partorire (ricordate il tassinaro piemontese che rifiutò di portare in ospedale una signora con le doglie perché temeva gli sporcasse la tappezzeria dell' automobile?). Negli anni ' 50 le Peter' s Sisters, cinque grasse e simpatiche cantanti (nere) di gospel, andavano in giro, sotto Natale, cantando No rooms - no rooms, niente camere, non c è posto e Giuseppe e Maria finirono in una stalla. E lì nacque il Bambino che per culla ebbe la mangiatoia e furono due animali, un bue, un asino, a scaldare il suo corpicino avvolto in un lembo di garza.
Nasce nel buio, Gesù, ma il suo corpo piccino sparge luce. Nessuno ha mai visto un bambino così, un bambino luminoso. Chissà , forse in quel preciso momento, accecati e stupiti dalla luce del Figlio, Giuseppe e Maria compresero ch' era arrivato finalmente il Messia. Così lei, Maria, giunse le sottili mani esangui, così lui, Giuseppe, si inginocchiò reggendosi al bastone per rallentare il tremito che lo squassava.
Tanti (splendidi) anni fa, giovanissimo cronista, ero in Vietnam a dar conto di quella atroce, inutile guerra. Sino all' ultimo avevo sperato che il direttore mi concedesse un breve intervallo: volare a Roma per passare il Natale con Mariarosa, con Federico, con mia moglie, con mio figlio che allora aveva cinque anni; e subito dopo ripartire per Saigon, a riprendere l' usata fatica massacrante. Ma un insieme di circostanze maligne (voli cancellati, impossibilità  di agganciare le giuste coincidenze, accadimenti bellici in fieri) mandarono «a remengo», si dice così?, quel salto a Roma tanto sognato: ma questa è la vita dell' inviato speciale, dura, difficile, spesso crudele e tuttavia esaltante perché occasione non rara di testimonianza.
A Saigon c' era una bella cattedrale: stabilimmo con Giorgio Torchia e un collega filippino che avremmo ascoltato la messa di Natale e, poi, tutti a Cholon (la città  satellite, cinese) dove i ristoranti non chiudevano mai, per un cenone in un locale francese. Sennonché Peter Arnett, lui, il celeberrimo inviato della Cnn, in quel tempo reporter della gloriosa Associated Press, incontrandomi mi domandò in tono affettuosamente provocatorio perché non andassi con lui in un villaggetto del Mekong a passare un «Natale a rischio»: i vietcong avevano fatto sapere che se il prete avesse celebrato la messa, avrebbero scodellato qualche colpo di mortale «sul luogo della superstizione capitalista» cioè su quella minuscola chiesa. Non esitai: «Capitano, dissi, mi consideri arruolato».
Partimmo all' alba del 24 di dicembre, a bordo del gippone di Peter. Ah la carnosità  della vegetazione ai bordi della strada-pista, ah l' odore forte della boscaglia, acidulo e stordente: impossibile dimenticarli, mi dissi e infatti, ora che scrivo, li sento «dentro» di me, come in un sogno lungamente atteso. Al campo delle Special Forces (i famosi Berretti Verdi) quegli energumeni apparivano irritati e nervosi. «Accetto scommesse, disse il sergente Pringle, i musi gialli non oseranno muovere un dito». Peter taceva, prendendo appunti. In quel villaggio del Mekong, Arnett era popolarissimo poiché aveva scritto un bel pezzo sulla fede incrollabile di quei contadini cattolici, costantemente minacciati dai vietcong. In ogni capanna ci offrivano qualcosa: dolci, sakè, spuntature di maiale, eccetera, sicché arrivai in chiesa un po' su di giri. Ma l' incontro con padre Nguyem Tri mi riportò sulla terra: il comandante del campo americano, il colonnello Sullivan, cattolico, aveva chiesto di poter assistere alla messa di Natale, e il parroco tremava all' idea che i vietcong considerassero la presenza del «nemico» una provocazione. Invece andò tutto liscio. Di più: finita la messa, le donne presenti si recarono all' altare con un bambino in braccio e don Nguyem Tri tracciava il segno della croce sulla fronte di quei piccoli che, come Gesù, sarebbero cresciuti poveri, senza giocattoli, la vita appesa a un filo. In un angolo, il colonnello Sullivan guardava quella scena, gli occhi saccheggiati dal pianto, finché una donna, una vietnamita, non gli porse di slancio il figlio che teneva in braccio, facendogli segno di portarlo lui, all' altare. Cosa che Sullivan fece, nel silenzio attonito della piccola assemblea di fedeli.
Il colonnello Sullivan, due giorni dopo, saltò su di una mina, e morì dissanguato. In tasca gli trovarono una lettera, indirizzata a sua moglie: «& quando quella madre vietnamita mi mise in braccio suo figlio fu come se avessi tenuto la mia, la nostra bambina. A te, cara sposa lontana, alla nostra tenera Alice, tutto il mio amore. Su con la vita, a presto».
(«Dio ha creato l' uomo per l' immortalità  e l' ha fatto a immagine della propria natura. Ma per l' invidia di Satana, la morte è entrata nel mondo» [Sap 1,12-24]).

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017