Vescovi invadenti o verità troppo scomoda?

La questione dei Dico ha suscitato e continua a suscitare un vivace dibattito pubblico. E molte domande.
22 Marzo 2007 | di


Lettera del mese.

«Trovo che nella vicenda dei Pacs e poi dei cosiddetti Dico, gli interventi dei vescovi siano stati troppo diretti e insistiti e abbiano infastidito più di qualcuno, anche credente praticante. Non è accettabile che la Chiesa entri a gamba tesa in questioni prese in esame da rappresentanti legittimamente eletti di uno Stato democratico. Un certo moralismo, non andrebbe superato?».

Lettera firmata


Non è dato di sapere, almeno nel momento in cui scrivo, il destino dei Pacs diventati Dico (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi). Molti però hanno voluto etichettare i molteplici interventi dei vescovi italiani e, con un magistero più ampio ma non per questo meno nitido, del Papa sulla vicenda, con toni severi di condanna. Indebita ingerenza, condizionamento della politica e soprattutto dei politici, per non dire della solita tirata contro una morale cattolica ritenuta tanto obsoleta quanto aggressiva: ecco i principali capi d’imputazione.
Non si capisce però perché i vescovi, come cittadini e come pastori, dovrebbero far finta di non vedere quello che tutti vedono, e cioè lo stravolgimento della famiglia e il suo boccheggiare che ne prefigura lo sfinimento, giudicando questo spettacolo – proprio in rapporto a quella politica che della famiglia dice di fare gli interessi – una sconfitta di tutta la società. E nemmeno risulta chiaro perché essi debbano voltare le spalle di fronte a travisamenti, svilimenti, riedizioni rivedute e corrette (naturalmente al ribasso) dell’istituto familiare, proprio quando i giovani hanno bisogno di essere incoraggiati nella non facile strada di scelte affettive costruttivamente stabili e con radici profonde. Anche e soprattutto la società, ricordiamolo, si avvantaggia a motivo del buon funzionamento della famiglia cosiddetta «tradizionale» – che resta, nonostante i giochetti allarmistici delle statistiche, ampiamente maggioritaria – traendone linfa e forza propulsiva. Non si tratta dunque di non voler prendere atto del moltiplicarsi di situazioni complesse, fluide e precarie, non raramente anche sofferte, per le quali provvede già in gran parte il diritto privato, e che di per sé non richiedono la creazione di nuove figure giuridiche alternative; si tratta piuttosto di una lettura non solo in superficie delle dinamiche e del benessere della società, soprattutto dei suoi cammini futuri. Troppo facile limitarsi a registrare l’esistente, a stuzzicare e disorientare la libertà, a blandire desideri incerti e intermittenti; ben più faticoso e impopolare, e quindi molto più raro, impegnarsi per indicare la via dell’assunzione di responsabilità e della corale partecipazione alla ricerca del bene comune, anche secondo forme concrete.
Si deve in ogni caso evitare, o, quando il peggio sia già accaduto, rimediare allo scadimento di qualità del rapporto tra «laici» e cattolici nella società italiana, tra cattolici impegnati in politica e voce del Magistero, proprio a motivo della grande importanza, per tutti, della questione. Dev’essere chiaro che difendere la famiglia, e farlo con forza e convinzione, non significa affatto da parte della Chiesa assumere atteggiamenti arroganti o mancare di rispetto al diritto individuale di ciascuno. Anche chi percorre sentieri difficili ed enigmatici in cerca dell’amore, deve poter avvertire la vicinanza misericordiosa della Chiesa che annuncia per tutti la buona notizia del Vangelo.
Per quanto riguarda poi l’accusa rivolta ai vescovi di mettere in campo una moralità rigida e intransigente, siamo di fronte a un tipico esempio di tiro fuori bersaglio. Scrive monsignor Monari, vicepresidente della Conferenza episcopale italiana: «Non diciamo: le convivenze sono contro la morale cattolica e quindi siamo contrari a riconoscerle giuridicamente. Diciamo invece: le convivenze sono rischiose per il bene della società e per questo siamo contrari a una loro legalizzazione». Purtroppo, un anticlericalismo spuntato e fuori tempo non riesce a cogliere la qualità politica e culturale in senso ampio dello sguardo con il quale i vescovi leggono la società, la valutano e la incoraggiano a superarsi.


Legalità e santità: binomio esigente che porta frutto


«Sono il padre del giudice Rosario Angelo Livatino, di cui avete parlato nel vostro mensile lo scorso mese di gennaio in un articolo firmato da Vittoria Prisciandaro. Questo articolo mi è piaciuto, sia nella forma che nella sostanza, in quanto tutto ciò che è stato scritto è consono alla realtà. Quindi ringrazio innanzitutto la redazione del “Messaggero” per averlo pubblicato e poi la giornalista Vittoria per averlo preparato in maniera chiara e di piacevole lettura».

Vincenzo Livatino


La sua lettera mi ha fatto piacere. Non è facile, soprattutto oggi, scrivere di eventi luttuosi e trovarsi in piena sintonia con chi li ha vissuti in prima persona, drammaticamente. Vittoria, poi, è una giornalista precisa e delicata, e le abbiamo passato volentieri il libro di Ida Abate con la sua personale dedica. Tra l’altro, sul numero di marzo della nostra rivista, in un significativo passaggio di un suo intervento intitolato «Legalità e santità, binomio esigente», ha parlato di suo figlio anche un altro coraggioso testimone della legalità in terra di mafia, monsignor GianCarlo Bregantini. Se non avesse letto il pezzo, glielo riporto: «Scriveva nel suo diario il giovane giudice Livatino, ucciso dalla mafia mentre percorreva, senza scorta, la strada per Agrigento: “Non mi basta essere credente, desidero essere credibile!”. E credibile fino al martirio lui lo è stato». Caro signor Vincenzo, con la Chiesa di Agrigento anche noi aspettiamo il momento nel quale sarà possibile avviare la causa di beatificazione di suo figlio. Preghiamoci su, in comunione sincera e fraterna.



Amore per sempre. Sì, è possibile


«Nel mese di aprile io e mio marito festeggeremo, dopo le gioie e le burrasche di una vita insieme, il nostro trentacinquesimo anniversario di matrimonio: un traguardo importante e, mi sento di aggiungere, particolarmente prezioso perché sempre più raro. Infatti non passa giorno che non senta di coppie che scoppiano, mariti che tradiscono, mogli che abbandonano casa e, a volte, anche figli. In poche parole, ciò che trionfa è il caos familiare, la distorsione delle relazioni, l’elogio pratico, quando non anche teorico, dell’infedeltà. Che ne è dell’antica e solenne promessa “per tutta la vita”?».

Lettera firmata


Senza evocare scenari troppo cupi, bisogna riconoscere che nell’attuale contesto sociale i concetti di coppia e famiglia sono da molti percepiti e vissuti non più come impegno e dedizione assoluti nell’amore, ma piuttosto come condizioni di vita a supporto dell’autorealizzazione del soggetto. Da qui la grande instabilità che mina e rende più fragile la scelta sponsale, se e quando questa viene intrapresa, e la rende «poco praticabile» soprattutto sui tempi lunghi. La fragilità della coppia deriva dalla provvisorietà con cui ognuno percepisce se stesso, per cui nelle dinamiche di vita comune c’è come un travaso e un rafforzamento di questa tendenza. Entrambi i protagonisti si trovano in balia di un proprio personale «sentire», che rappresenta la parte più volubile e mutevole della persona.
Di conseguenza viene messo al bando, o più semplicemente aggirato, quell’impegno che contraddice la logica della gratificazione immediata. Per cui non ha modo di attivarsi e di consolidarsi il meccanismo del rispecchiamento nell’altro che porta a forgiare la propria identità, oltre che a partire dalle proprie esperienze di vita e dal «sentire» personale, anche a partire dall’incontro e dal confronto – sia pur serrato e conflittuale – con il partner, in un rapporto di autentica reciprocità. Ciò che è altro da sé, purtroppo, sembra acquisire valore solo nella misura in cui procura e garantisce benessere o almeno qualche forma di vantaggio, mentre quando viene richiesto uno sforzo partecipativo o una lealtà che comporti di andare – almeno temporaneamente – «in perdita», molti gettano la spugna e preferiscono cambiare partita. Siccome però le regole fondamentali dell’amore non mutano a piacimento, le partite chiuse e aperte saranno innumerevoli, teoricamente infinite. Detto questo, è ancora più bello guardare alle storie riuscite, come quella che lei ha voluto condividere con noi, alla fedeltà tenace che conduce a celebrare con gratitudine le tappe dell’amore. Inoltre, a quanti credono ancora (e sono molti!) nel «per tutta la vita» e con coerenza ne accettano croci e delizie, incombe sempre più l’ardua impresa e l’affascinante avventura di testimoniare la possibilità e la bellezza di spendersi totalmente per una sola partita, quella del cuore.



Anoressia al maschile: colpevole silenzio


«Ormai del look anoressico femminile, delle filiformi indossatrici della moda, si conosce parecchio. Complici alcuni stilisti, casting director e agenzie di moda, giovani donne, peraltro già molto carine, sono indotte a vivere ossessionate dalla magrezza a tutti i costi, sovente rischiando anche la vita. Devo dire però che si parla poco dello stesso problema in versione maschile. L’esperienza di un figlio adolescente che si nutre col contagocce e che ormai balla nei vestiti che gli erano stretti due anni fa, mi ha fatto toccare con mano la poca attenzione che i media riservano ai ragazzi (maschi) anoressici. Perché questo silenzio?».

Lettera firmata


Quanto lei lamenta è verissimo. Ho cercato di raccogliere dei dati, ma non è stato facile. Ecco ciò che riporta una ricerca Aba (Associazione bulimia anoressia) condotta da Anna Maria Speranza, docente all’Università La Sapienza di Roma. Mentre questi disturbi alimentari riguardano per il 95,9 per cento il mondo femminile, l’incidenza in ambito maschile è del 4,1 per cento. L’età media di insorgenza dei primi sintomi è 17,2 anni di età, e ne sono colpiti innanzitutto studenti (48,7 per cento) e impiegati (26,3). Il 4,1 per cento, tradotto in cifre, sta a significare tra i 14 e i 15 mila individui in Italia, per i quali, oltre ai molti disagi indotti della malattia, si aggiunge la difficoltà di riconoscere davanti a se stessi e quindi al proprio medico di soffrire di un disturbo giudicato più «da donne».
Attivare percorsi di consapevolezza e di cura è quindi del tutto necessario e urgente, poiché, a quanto pare, sia anoressia che bulimia non guardano in faccia nessuno. Il profondo disagio interiore che porta a un’alimentazione autodistruttiva va quindi curato, sul fronte medico-farmacologico come su quello psicologico. Il vero nemico non è il cibo, ma si nasconde tra le pieghe dell’anima. Sconfiggerlo è un lavoro lungo e faticoso, che coinvolge l’intero nucleo familiare.


Iniziativa quaresimale: uniti in preghiera


«Padre, grazie per l’itinerario quaresimale offertoci. Non poteva darci nulla di meglio. Lo stimolo a puntare sulla Parola di Dio è veramente l’antidoto a un diffuso inquinamento spirituale e psicologico che ammorba le nostre vite che istintivamente sono protese verso Dio nelle forme più impensate. Affido a sant’Antonio la mia vita e i miei cari, sicura di essere esaudita».
«Grazie del pieghevole che mi avete inviato come aiuto all’ascolto della Parola di Dio. Desidero che la Quaresima sia un periodo incisivo per la mia vita cristiana, e vorrei dedicare tempo all’approfondimento della Parola, per riuscire sempre più ad aprire il mio cuore a Cristo. Affido a sant’Antonio i miei figli, perché sappiano seguire sempre le vie del Signore. Possa Lui aiutarli a superare tutte le difficoltà, liberandoli dai pericoli spirituali e temporali».


«Ascoltare la Parola di Dio fa sempre bene, in tutti i momenti tristi o allegri della giornata. Essa ci consola, ci invita a sperare nell’aiuto di Dio che è benevolo verso tutti. Prego sempre il Signore perché mi aiuti a essere forte nel superare le prove della vita e a confidare in Lui. Spero, in questo periodo di Quaresima, di essere più disposto a convertirmi. Spero anche di avere il coraggio di perdonare chi mi ha offeso, sempre, anche se umanamente è difficile a motivo del mio orgoglio. Invoco aiuto per potermi distaccare dagli idoli, dal denaro, dalle passioni che alcune volte mi condizionano».



È una vera gioia registrare il gradimento riscosso dall’iniziativa quaresimale di quest’anno. Molti lettori hanno richiesto e ricevuto via posta un pieghevole che conteneva un cammino di riflessione incentrato sui vangeli delle cinque domeniche di Quaresima. Insieme alle loro considerazioni, ci sono pervenute innumerevoli intenzioni di preghiera, che impegneranno i frati nella lode e nell’intercessione presso la tomba del Santo. Sarebbe anche bello, però, che la grande famiglia antoniana, formata da devoti di sant’Antonio, abbonati e lettori del «Messaggero», vivesse la circolarità della preghiera, cioè che ognuno incominciasse a pregare per le necessità altrui, di tutti, senza confini. Non è un caso che Benedetto XVI abbia recentemente richiamato il fatto che la preghiera è tutt’altro che un optional, trattandosi per il cristiano di «questione di vita o di morte». Essa, inoltre, non è evasione dalla realtà e dal peso di responsabilità che questa comporta, bensì seria assunzione di responsabilità fino in fondo, per sé e per gli altri. Pregando si ama.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017