Una volontaria da Oscar con i bambini del Kosovo

Trevigiana, di Cornuda, vive in Kosovo con i bambini colpiti dalla recente guerra. Lo scorso anno le è stato assegnato l'Oscar del volontariato dalla Focsiv (Federazione italiana delle ong cattoliche).
26 Marzo 2004 | di

Gli occhi rivelano la qualità  del cuore e quelli di Alida sono davvero speciali: trasparenti, nitidi, semplici. Celesti e belli come possono essere solo quelli di una ragazza umanamente grande, che pur si sente piccola. Alida ha venticinque anni e ne dimostrata ancora meno, è assistente sociale, diplomata a Venezia, abita a Cornuda in provincia di Treviso. Da più di un anno vive in Kosovo dove ha scelto di fare il servizio civile di volontariato con i bambini colpiti dalla recente guerra. Alida è balzata agli onori della cronaca quando, lo scorso anno, le è stato assegnato l'Oscar del volontariato dalla Focsiv (Federazione italiana delle ong cattoliche). Allora, poco prima di Natale, è rientrata in Italia da Klina, ed è andata a ritirare il suo premio a Roma. Riflettori e interviste subito dimenticati. Un breve soggiorno con i suoi genitori e la sorella a Cornuda, paese vivace della pedemontana veneta ormai passato alla fede industriale, e poi via di nuovo per quella che ormai sente come un'altra sua famiglia: i volontari e i bambini di Klina dove l'associazione Rtm (Reggio Terzo Mondo) ha realizzato un progetto di animazione per bambini, in collaborazione con le Caritas dell'Emilia Romagna. Klina ha ottomila abitanti, 135 morti nella guerra appena trascorsa e uno strascico pesante lasciato dal conflitto.
I Balcani mi hanno sempre affascinata - racconta Alida -. Sono una realtà  distante ma non così diversa da noi come potrebbe essere l'Africa. Ho sempre pensato di partire per un Paese lontano e quando mi è arrivata la notizia che sarei andata in Kosovo tutto è diventato improvvisamente reale. Da allora - continua Alida - le preoccupazioni di prima, per la famiglia e il lavoro, sono diventate secondarie. Mi sono preparata prima per mesi nella casa di carità  a Fosdondo e poi in una casa-famiglia a Carpi. Il progetto che stiamo portando avanti è un progetto di educazione alla pace con i bambini: gestiamo un centro, un asilo per bambini di tre o quattro anni e facciamo animazione mirata soprattutto alla gestione dei conflitti, insegniamo ai bambini a puntare sul gruppo, facciamo laboratori di creatività  con quelli dai sei ai quattordici anni. Inoltre, operiamo anche all'interno di un centro collettivo dove le famiglie vivono con una stanza per ciascuna e i servizi in comune.
Quando sono arrivata in Kosovo, la mia prima impressione è stata di rinascita, movimento, vitalità : dovunque ci sono cantieri, camion che trasportano materiale edilizio. Il Kosovo è un Paese che inganna, solo entrandoci dentro si conoscono le famiglie povere (l'economia non è ripartita, gli stipendi si aggirano sui 150 euro al mese ma il costo della vita è alto). I giovani non hanno altro sogno se non quello di fuggire verso il nord Europa più ricco e attraente, la Germania, o verso gli Stati Uniti. L'Italia, che è una meta ambita per gli albanesi di Albania, non è un Paese dove i giovani kosovari sognano di vivere.
Bisogna viverci dentro, in Kosovo, per capire di quel Paese la fatica non solo di vivere, ma di convivere delle diverse etnie: rom, albanesi e serbi che piano piano stanno rientrando. Si tratta di un Paese complesso perché con la cultura albanese predominante si interseca quella turca (l'impero ottomano è stato padrone di queste terre per quasi cinquecento anni). L'ottanta per cento della popolazione è musulmana, il dieci per cento cattolica.
Nel Paese si nota ancora l'impostazione statale dovuta agli anni più recenti di storia comunista e c'è poi l'influenza europea dovuta anche a quanti sono emigrati in Germania e in Svizzera. Poi - continua ancora Alida - ci sono le ferite della guerra: per dieci anni gli albanesi sono stati massacrati dai serbi. I serbi prima di scappare hanno distrutto tutto. Ora il Kosovo non ha grande autonomia, teoricamente fa ancora parte della Serbia, la soluzione non è a portata di mano, i colloqui con Belgrado sono falliti. E, soprattutto, c'è il problema del rientro dalle enclave (campi profughi) dei serbi per i quali il Kosovo ha un grandissimo valore (ricordo solo che è sede del Patriarcato e che sono state distrutte 107 chiese ortodosse). Finora il conflitto è stato etnico, ma stanno emergendo ora anche le differenze religiose. Adesso mantenere la pace, se non ci fosse l'esercito dei caschi blu dell'Onu, sarebbe difficile. L'intenzione è che diventi un Paese multietnico.

Nel Kosovo in punta di piedi

Alida si è cacciata in questo complicato groviglio di storie e, soprattutto, in questo coagulo di odi non ancora sopiti, guidata da un organismo che opera nella cooperazione internazionale, Reggio Terzo Mondo, condividendo in pieno anche il suo stile di azione. Infatti, Rtm ha scelto di entrare in punta di piedi, condividendo sul posto la vita senza portare aiuti massicci dall'alto, ma educando la gente a conquistarsi i progressi. Siamo andati a lavorare con loro - dice Alida - e abbiamo visto che col confronto continuo cresciamo noi e loro. Non facciamo nulla di speciale: altri hanno costruito scuole e noi invece facciamo con i bambini un laboratorio con i colori (che ci riportiamo a casa). La gente fa fatica a capire che deve arrangiarsi, ma il nostro messaggio è che il Kosovo è loro. Bisogna interrogarsi sulla validità  delle cose calate dall'alto. Servivano delle mucche da latte, le abbiamo procurate e fatte loro pagare. Crediamo che solo lavorando con loro, sullo stesso piano, possiamo guadagnarci la loro fiducia.
Alida vive in una comunità  assieme ad altre quattro donne e a un uomo, un veterano del volontariato. L'associazione ha assunto dei dipendenti, degli interpreti. Ci svegliamo ogni mattina alle sette e ci troviamo per un breve momento di preghiera comunitaria. Abbiamo una stanza con una cappella che usiamo per la preghiera comune ogni giorno: ci aiuta a stare insieme. Facciamo colazione, poi arrivano i nostri collaboratori preziosi. Io e Valentina lavoriamo con i bambini, prepariamo il materiale, gli incontri, andiamo a trovare le famiglie. Il pranzo è un momento di festa che ci unisce tutti: perché cinque italiani e quattro albanesi attorno allo stesso tavolo dividono le fatiche e le gioie della giornata. Discutiamo e scherziamo in questi che sono momenti importanti proprio per avvicinarsi alla cultura dei nostri amici kosovari. Il lavoro formalmente finisce alle cinque: Neta, Valentina, Merita e Gjon tornano a casa. Noi chiacchieriamo, prepariamo la cena, guardiamo la televisione. Poi bisogna vedere se c'è la corrente elettrica perché questa ogni giorno viene tolta per almeno due o tre ore.
Alida in Kosovo è cambiata. Si sente più matura, più ascoltata. Come se avesse guadagnato autorevolezza sul campo. Ha modificato la sua vita e anche quella dei suoi vicini in un senso di maggiore austerità . A Klina ho imparato a rispettare di più i tempi della terra e ad adattarmi alle varie condizioni: se fa freddo devi svegliarti prima per accendere il fuoco e riscaldare la stanza, se manca la corrente elettrica alla sera vai a letto presto. Mi sento più in sintonia con il mondo.
A giugno Alida rientrerà  in Italia. Sicuramente avrà  già  dimenticato l'Oscar che ha ricevuto, ma non si scorderà  mai degli amici kosovari e dei bambini con cui ha condiviso tante giornate.
Il suo è certo il modo più giusto di costruire la pace e anche quello di fare l'Europa.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017