Una Ferrari a tre ruote per la

I bei capelli fulvi e un'insopprimibile voglia di correre. La carrozzella, una Ferrari a tre ruote in cui il motore è il grande cuore di Francesca e la benzina la sua forza di volontà. Una messe di "ori".
31 Ottobre 2003 | di

Diamoci del tu, mi sollecita Francesca stringendomi la mano, appena ci incontriamo. Il suo entusiasmo è contagioso e, da campionessa, qual è, delle gare sprint, parte in quarta a raccontarmi la sua storia: La mia voglia di correre è nata con me. Sono cresciuta seduta su una carrozzina, ma volevo andare veloce per provare sensazioni per me indescrivibili.
Francesca è sempre stata molto determinata e, fin da bambina, ha cercato di realizzare i suoi sogni. Obbligava il fratello a legare la sua carrozzina alla bicicletta e lo incitava a pedalare svelto. Siamo caduti molte volte, afferma ridendo, mostrandomi i segni di quelle imprese. Eppure non era contenta, perché voleva essere la protagonista delle emozioni che provava e produrre, da sola, la velocità  della sua carrozzina.
Così, ogni giorno si esercitava su una stradina vicina a casa. Per accrescere la forza muscolare andava ad allenarsi sui campi arati, cadeva e si rialzava e, più s'impegnava più cresceva in lei il desiderio di gareggiare. Ma, allora, le informazioni non navigavano e Francesca non conosceva l'esistenza di gruppi sportivi. Finché per caso, a sedici anni, incontrò un gruppo di ragazzi disabili che facevano parte di una società  sportiva e che, vedendo con quale destrezza lei si muoveva con la carrozzina, la invitarono a iniziare l'attività  agonistica. La Rossa volante, da allora, non si è più fermata: Volevo gareggiare per mettermi alla prova e confrontarmi con altre persone. Oggi, mi alleno sei ore al giorno tra percorso in strada e palestra.

Francesca come un raggio di sole

È una donna solare, Francesca, senza rimpianti: Sono molto soddisfatta della mia vita, rifarei tutto quello che ho fatto: ho avuto più di quanto avessi sperato. Ma come? Aveva solo diciotto mesi quando un camion, uscito di strada, piombò nel giardino di casa dove lei stava giocando con altri bambini, investendola e rompendole la spina dorsale.
In lei, non c'è posto per il rancore? Sorridendo, Francesca mi rassicura: Non provo rancore e poi, perché non doveva succedere a me ma a un altro bambino? La vita è questa: accadono eventi e il nostro compito è vederne il lato positivo e affrontarli, non dobbiamo chinarci. Non mi è stato facile crescere. La mia infanzia è stata un pellegrinaggio da un ospedale a un altro. Anche se i miei genitori facevano di tutto per sorridere, ogni volta che uscivamo dalle visite mediche, leggevo la tristezza nei loro occhi. Finché ho capito da sola che non avrei più camminato e, allora, ho deciso che non ne volevo più sapere di medici.
Quando parla della sua famiglia, traspare un affetto quasi incontenibile: Sono stata molto fortunata in questo, i miei genitori e i miei tre fratelli non mi hanno mai fatta sentire diversa. Forse per questo non ho rancore: perché sono riuscita a fare tutto quello che potevo, ho dei limiti ma tutti siamo limitati in qualcosa, l'importante è conoscerci e cercare di migliorare.
Amante dello studio, non avrebbe potuto diplomarsi in ragioneria se suo padre, autista di professione, non si fosse licenziato tornando a fare il contadino per poterla accompagnare a scuola, vista la mancanza di mezzi di trasporto adeguati.

Protagonista della nostra vita

Le chiedo se questo suo modo di essere, sempre sorridente e ottimista, ha favorito il suo rapporto con gli altri. Lei conferma: Per strada la gente mi ferma e mi fa tante domande. Molti mi dicono che, dopo avermi vista in televisione in un momento buio della loro vita, sono rimasti colpiti dalla mia positività . Ho contatti con persone che mi scrivono da tutto il mondo e, spesso, dicono che infondo speranza. Vorrei far capire alle persone, che vivono con disagio una condizione che non rientra nella cosiddetta normalità , che la vita è bella lo stesso. Spero che ognuno di noi abbia dentro di sé qualcosa di buono per cui vivere. Dobbiamo godere di più delle cose che abbiamo e non fermarci a piangere su ciò che ci manca.
Quando le domando qual è stata la sfida più importante che ha dovuto sostenere, un po' si rattrista: Far dimenticare la mia carrozzina. Vorrei che gli altri non si fermassero a guardare la diversità , ma vedessero nella persona il suo cuore e il suo cervello. Perché, a soppesare bene il problema della diversità , non è solo una questione di handicap: carrozzina o no, sei diverso se non hai l'abito firmato, oppure perché hai il naso storto o altro. Viviamo in una società  dove l'apparenza è tutto e, allora, ci vuole qualcuno che vada in prima fila a far capire la nostra condizione.

La prima medaglia d'oro

Mi racconta della sua prima medaglia d'oro olimpica, a Seoul, della gioia incredibile provata subito dopo aver tagliato il traguardo ma, anche, di tanta tristezza: Avrei voluto lì presenti i miei genitori per ripagarli, con quel podio, di quanto avevano sofferto. Mi sono tornati alla mente i momenti brutti che avevo passato, gli scontri avuti con alcune persone che trattano i disabili come esseri umani di secondo livello. Ho avverato il mio sogno non solo per le vittorie raggiunte ma anche perché, grazie allo sport, che è la mia passione, giro il mondo e incontro molte persone. Una di queste, a cui ripenso spesso, è un uomo grande e grosso, di pelle nera, che nella mia prima maratona, a New York, mentre passavo in mezzo al Bronx, mi ha seguita quasi chinato a terra per guardarmi in faccia e, incitandomi, mi faceva sentire tutto il suo sostegno.
E come non parlare dell'incontro con Dino Farinazzo che, oltre a essere l'allenatore di Francesca è anche, come lo definisce lei, il suo Principe azzurro? Francesca subito s'illumina: Ci siamo conosciuti nella Nazionale per disabili, di cui Dino era allenatore. Il nostro rapporto, di tecnico e atleta, nel tempo è diventato molto più importante. Incontrarlo per me è stato essenziale perché è una persona fantastica. Francesca, grintosa e sensibile: mi domando se c'è qualcosa che può farle paura. La vecchiaia - afferma - non vorrei diventare meno autosufficiente. La morte non mi spaventa: è solo un passaggio a un'altra vita. Sono molto credente ma io faccio sempre le cose a modo mio. Anche con il Buon Dio ho un rapporto particolare: prego, parlo, Lo sento amico, Lui mi dà  risposta magari dopo tanto tempo, a modo suo. Confido in un Dio Immenso che veglia su di noi. Ogni tanto sento dire che Dio si addormenta: ma non è colpa sua se noi combiniamo troppi malanni. Siamo noi, così stupidi, da pensare che debba essere sempre Lui a sbrogliare i nostri problemi.
E quanto gli uomini sono benevoli tra di loro? La risposta di Francesca è scontata: L'Amore esiste, c'è molta gente buona e una diffusa solidarietà , solo che il male si vede di più e fa più notizia. Allora sembra che non ci sia nulla di buono.

Tutti i numeri di Francesca

Francesca Porcellato nasce a Castelfranco Veneto il 5 settembre del 1970. A diciotto mesi perde l'uso delle gambe in seguito a un incidente. A sedici anni intraprende l'attività  agonistica nell'atletica leggera per disabili in carrozzina, praticando la corsa. Oggi è una campionessa di livello internazionale nelle varie distanze. Ha partecipato a: quattroParaolimpiadi (Seoul, Barcellona, Atlanta, Sidney) vincendo 7 medaglie di cui 2 d'oro; quattro Campionati del Mondo, conquistando sei podi di cui 3 d'oro e 2 d'argento; due Campionati europei vincendo 5 medaglie d'argento; due Giochi del Mediterraneo ( nel '97 e 2001) vincendo una medaglia d'argento e una medaglia d'oro negli 800 metri. I titoli italiani vinti dal 1987 al 2003 sono 76. Ha disputato 83 maratone, 62 vinte. Le più importanti vinte sono: Parigi nel '97, New York nel 2001, Londra nel 2003. Nel 2002 è arrivata seconda alla Maratona di New York. È considerata imbattibile nelle gare sprint. È diplomata in Ragioneria. Da otto anni abita a Valeggio sul Mincio, nel veronese.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017