Un viaggio nella «follia» del bene

Il regista Ferzan Ozpetek, una delle figure più rappresentative del cinema italiano in questo momento, parla del suo ultimo film Cuore sacro.
29 Aprile 2005 | di

Irene Ravelli (Barbora Bobulova), manager di successo, che riceve premi alla carriera, a un certo punto va in crisi. Conosce Benny (Camille Dugay Comencini), una piccola ladra, e si riappropria della storia della madre morta pazza e in preda a un delirio religioso che ingloba simbologie attinte dal patrimonio religioso di molti credi. Il mondo dell'economia, degli investimenti immobiliari, comincia a scricchiolare e lei si trasforma in una benefattrice che distribuisce pasti caldi, vestiti e che regala case popolari ai poveri. Il suo è un percorso portato alle estreme conseguenze: Irene si spoglia (come san Francesco) in una stazione della metropolitana e poco ci manca che non venga rinchiusa per sempre in un ospedale psichiatrico.
Questa è la storia che Ferzan Ozpetek racconta nel suo ultimo film Cuore sacro, un film che sta avendo un grande successo, che piace, commuove, divide.

Com'è nato Cuore sacro?
È nato - ha risposto il regista - non da un'idea ma da un'esigenza personale, nel senso che volevo raccontare qualcosa di quel sentimento che c'è in me, qualcosa di quell'altro Ferzan che è in me, quello dell'altruismo, del darsi agli altri. È nato anche da un'esperienza che ha fatto mia madre quindici anni fa: ha visto in una scuola elementare un bambino povero e l'ha portato a casa. Mia madre ha perso un po' la testa per quel bambino, si è presa cura di lui finché ha finito l'università : io la prendevo in giro e le dicevo che era diventata come Irene di Europa 51 di Rossellini.
In questo momento mi sto facendo anche delle domande sulla vita, soprattutto perché ho perso delle persone care. In Irene c'è un po' mia madre, ci sono io, ci siamo tutti noi con la nostra voglia di accumulare e quella di darsi agli altri da cui deriva il nostro cuore sacro.

Il film è dedicato agli sgusciati, i morti, le persone che non ci sono più, che sono però dei fantasmi che restano attorno a noi, appiccicati addosso, come Adriana, la madre di Irene Ravelli. Sono così i suoi morti?
Penso che il film piaccia molto alle persone che hanno conosciuto il dolore. Io, quando perdo delle persone amate, sto male, nel senso che mi mancano, però poi cerco di trovare delle risposte nella vita.

Lei ha detto di essere come Adriana, mischia tutte le religioni; in casa sua ha la statuina della Madonna, la menorah ebraica, il Buddha... Cosa trova bello e unificante in tutti questi credi?
Ho scoperto san Francesco e ho scoperto Mevlana, il capo dei Dervisci, che chiamano il piccolo san Francesco perché dice le stesse cose. Anche nelle religioni c'è un filo che unisce tutto, ci sono momenti in cui ci sono grandi divisioni, ma c'è un filo che le unisce. Io mischio molto, ho una statua della Madonna con la candela sempre accesa, ho un Buddha, un quadro di Mevlana... perché mi piace molto il sacro. Quella battuta del professore che nel film  dice: sua madre ha creato una flotta di vascelli per arrivare più facilmente a Dio, alla verità  un po' fa parte di me, della mia ricerca.

Lei è un regista che ha uno sguardo molto particolare sulla realtà , una grande felicità  inventiva, ma in Cuore sacro c'è  più consapevolezza, più sofferenza rispetto ai film precedenti. È cambiato qualcosa nella sua vita?
Sto andando avanti con l'età . Per spiegare il film io direi questo: provare la gioia di piantare una pianta e di vederla crescere dà  una sensazione meravigliosa. Come rendersi conto di tutte quelle cose che abbiamo intorno e di cui non ci accorgiamo: dalle piante agli animali, alle persone. In questo momento trovo ovunque un segno forte della vita. Quando tu innaffi una pianta e quella pianta comincia a crescere, tu hai un rapporto con quella pianta e quella pianta va oltre la terra, secondo me.
Quando ero bambino sentivo piangere un gattino fuori, pensavo che dovevo andare a prenderlo. Adesso se sono in una stanza e so che vicino a casa mia a mezzanotte c'è gente che dorme fuori  per terra, mi faccio delle domande e non sono molto contento. Sono combattuto: a volte non mi interessa, poi però mi prende il desiderio di fare qualcosa. Certo non è che posso  portarli in casa, però potrei cercare di aiutarli. Direte che lo faccio per la mia coscienza, ma non credo sia così. Lo faccio perché sento forte che non si può essere in questa terra felici, mentre ci sono altri infelici.
Fin da quando ero piccolo, e avevo letto il romanzo Per chi suona la campana, dico sempre, quando succede qualcosa: Per chi suona la campana?.

Padre Carras (Massimo Poggio) è una bella figura, un prete con i piedi per terra,  che allestisce  la mensa per i poveri, cerca di aiutarli ma si rende conto che comunque tutto questo non è sufficiente. Lei ha incontrato un padre Carras?
Io non ho avuto un'educazione religiosa, però ho conosciuto dei preti meravigliosi. Sono dovuti diventare razionali, realistici, per aiutare gli altri. Se c'è una persona che chiede un pezzo di pane, loro gliene danno una parte, per poterne dare anche a un altro. Io magari darei tutto. Loro invece ne danno una parte, ma si danno completamente agli altri. Nel film ho messo persone che ho conosciuto. Qualcuno mi ha criticato dicendo che i miei film sono buonisti, ma io racconto le mie esperienze. Non posso raccontare la cattiveria se non l'ho conosciuta.

Lei ha frequentato Sant'Egidio per girare il film.
Le persone che lavorano alla comunità  di sant'Egidio sono delle persone meravigliose. Si danno agli altri. Li ammiro molto. Mi commuovono tantissimo quelle persone che non hanno molto, ma quel poco che hanno lo danno agli altri.

La zia buona e pazza, Maria Clara (Erika Blanc) dice: Le persone che non mi piacciono mi fanno paura.... Si riconosce un po' in questo?
Fa parte di noi anche questo. Quattro personaggi del film fanno parte di me: Adriana, Irene, la zia Maria Clara, padre Carras, e rappresentano quel mio lato buono; poi per un venti per cento sono zia Eleonora... Però più gli anni passano più questo mio lato si assottiglia. Io sono una persona insicura, mi muovo come un animale che sente le cose, forse se avessi ragionato con la testa non avrei fatto questo film.

E Benny, bravissima e bellissima, dove l'ha trovata?
Benny è Camille Dugay, la nipote di Comencini. Avevo visto il film Mi piace lavorare che Camille aveva fatto con sua madre Francesca, che è una grande regista. Ho visto questa bambina straordinaria che ha mille facce veramente ed era perfetta per il ruolo. Camille è di una bellezza rara, a volte sembra una bambina piccola, a volte un'adulta: mi piace moltissimo. In questo film  ci sono personaggi femminili bellissimi, tutti scolpiti a tutto tondo.

Quali sono le donne della sua vita, oltre a sua madre, che sono rifluiti in questi personaggi?
Mia nonna era un po' come zia Maria Clara, le amiche che ho avuto nella vita, la donna con cui sono stato insieme per cinque anni era una persona molto interessante, molto forte...

Come è arrivato lei in Italia? Torna spesso in Turchia?
In Turchia ci vado pochissimo e l'Italia non l'ho scelta io. Stavo andando in America, poi, dieci giorni prima di partire ho cambiato idea e ho detto: vado in Italia a studiare cinema. Mio padre ha detto che ero matto. Sono venuto lo stesso e questo mi  ha cambiato moltissimo, per me è stato un momento magico: una scoperta dell'arte. Ho conosciuto Roma. Per me l'Italia non è mai stato un Paese straniero: dopo sei mesi parlavo l'italiano.

La stampa sulla Turchia riporta di chiusure, di difficoltà  di mettersi al passo con gli altri Paesi, di pestaggi alle donne...
In Turchia, quando sono successi i fatti di Genova, mi dicevano: in Italia succede questo. In Italia mi chiedono cosa è successo in Turchia, cioè da tutte e due le parti mi prendono per quello che vive ed è dentro l'altro Paese e mi dicono i difetti di quel Paese. Le immagini della manifestazione delle donne per l'otto marzo che ho visto in televisione erano bruttissime, ma è piena di bruttezza la vita in questo momento.

Forse è un Paese che ha ancora dei lati oscuri (curdi, armeni...)?
Sì, però è un Paese che ha dei grandi pregi, io sono cresciuto a Istanbul in un quartiere dove suonavano le campane e convivevano pacificamente diverse religioni. 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017