Un universo sconosciuto

Di adolescenza si è sempre parlato. Perché è una delle fasi più delicate e importanti della vita e, ammettiamolo pure, delle più faticose. Ma oggi i nostri adolescenti sono a rischio. Cerchiamo di capire il perché.
19 Dicembre 2007 | di



Filippo


«Forse stasera mi uccido, ma non è sicuro. Rinvio, se la strega mi ridà il pc che mi ha sequestrato e io posso chattare e aggiornare il diario sul mio blog (…) così Luca lo guarda e vede com’è bello e mi ama di nuovo, mi chiede scusa e poi torna da me e io non devo più uccidermi, non proprio oggi che in televisione danno The O.C. seconda serie».

Elisabetta


«Nessuno può sapere come volo quando mi calo le pasticche o mi fumo i cannoni o sniffo o bevo e sballo e sono fatto, e dentro di me si libera la rabbia e io la lascio scorrere e la rovescio fuori come un’onda, così che infranga ogni argine interiore e poi travolga tutto, gli oggetti, le persone e la vita maledetta che mi fa agguati ma io l’affronto, anzi, la sfido, la provoco senza lasciarmi intrappolare».

Saverio


Filippo, Elisabetta e Saverio insieme non raggiungono i quarant’anni. Le loro storie sono state raccolte dalla giornalista-mamma (ha tre figli di 16, 14 e 12 anni) Marida Lombardo Pijola in Ho 12 anni, faccio la cubista, mi chiamano principessa (Bompiani, 2007, pagg. 229), un libro-choc sull’adolescenza, scritto con un linguaggio molto crudo che nulla lascia all’immaginazione. Un’adolescenza problematica e preoccupante quella che emerge da queste pagine, al punto tale che, leggendo le confidenze di questi ragazzini di dieci, dodici, quattordici anni, ci si chiede se siano davvero tutti così, oggi, gli adolescenti, o se non ci stiamo allarmando per un fenomeno tutto sommato di nicchia.

«Non voglio generalizzare – afferma l’autrice – ma non credo si possa parlare di un fenomeno di nicchia. In realtà stiamo iniziando solo ora a prendere atto di una situazione cominciata agli inizi del 2000 e che, evolutasi con una rapidità impressionante, sta ormai assumendo i connotati di una tendenza. I ragazzini si adeguano a modelli copiati dalla vita adulta e portati alle estreme conseguenze: sesso, soldi facili, sballo. Il tutto ingigantito da internet, una cassa di risonanza che può potenziare questi comportamenti e diffonderli alla velocità di un virus. E questo fenomeno, in base alla mia esperienza, riguarda in modo indifferenziato sia le metropoli che i piccoli centri, il Nord piuttosto che il Sud. Magari non tutti gli adolescenti arrivano a questi comportamenti estremi, ma molti, comunque, li giudicano normali».

Adolescenti a rischio, quindi? «Penso di sì – prosegue Marida Lombardo Pijola – perché per differenziarsi dal gruppo e affrontare così il rischio dell’emarginazione bisogna essere molto forti. Oltretutto, spesso questi ragazzini non hanno alle spalle una famiglia salda, che li sostiene: sono figli unici, oppure appartengono a uno dei tanti nuclei familiari in crisi, nei quali non ci si ama, si litiga troppo, ci si separa. Famiglie nelle quali si viene poco ascoltati, non c’è il linguaggio della tenerezza, del tempo da dedicare. La nostra stessa società che, ricordiamolo, è stata plasmata così dagli adulti, considera la diversità non una ricchezza, ma un motivo di imbarazzo: il conformismo tipico dell’adolescenza è quindi rafforzato dai modelli che noi stessi proponiamo ai ragazzi».


Il nuovo adolescente

C’era una volta l’adolescente, insomma. Quel «bambino non più bambino ma non ancora adulto» che provocava nei genitori un misto di tenerezza e rabbia, affetto e disperazione. Che contestava sì – com’è giusto che sia, in fondo, per poter crescere – ma senza arrivare (tranne in alcuni casi estremi) a mettere a repentaglio la propria vita.

Oggi, invece, a leggere l’ultima ricerca (2006) della Società dei pediatri si resta di sasso. Le domande poste al campione di 1251 bambini tra i 12 e i 14 anni, non sono più «Usi il computer?», «Che giornali vedi in casa tua?», «Qual è stato l’avvenimento che più ti ha colpito quest’anno?» come accadeva fino a qualche anno fa, bensì «Hai mai visto un tuo amico ubriaco?», «Hai mai fumato una canna?». E il tragico è che a rispondere in modo affermativo alla prima domanda è il 37,4 per cento e alla seconda il 44,3 per cento del campione.

E ancora non basta. Bambine che giocano con il proprio corpo come un tempo si giocava con le bambole. Che mettono al primo posto nei loro desideri futuri l’essere cubista o velina. Bambini e bambine che vivono il sesso in un modo completamente slegato dai sentimenti, quasi una gara a chi colleziona più rapporti o, peggio ancora, come un modo per «raggranellare un po’ di soldi». Che disprezzano il mondo degli adulti. Che hanno una doppia vita: normali in casa e «sballati» fuori. Che, in definitiva, vivono la loro esistenza con rabbia e disperazione.

«Ma la rabbia – avverte a riguardo l’autrice del libro – non è che un’espressione immediata del dolore, una manifestazione di sofferenza. Spesso questi ragazzini non hanno avuto ciò che serviva loro per sviluppare una personalità armoniosa. Non cercano il piacere, perché nemmeno a 11-12 anni si prova piacere a fare sesso col primo che capita. Non conoscono i sentimenti, il cui linguaggio non fa parte del gruppo, e che rappresentano anzi una forma di debolezza, di fragilità, che va tenuta a bada, nascosta».


Nuovi genitori per nuovi adolescenti

A fronte di tanta disperazione adolescenziale spesso c’è un grande disorientamento dei genitori. Anche di quelli che hanno figli meno «problematici». Anche di quelli più motivati e responsabili, che si trovano comunque all’improvviso dinanzi a uno sconosciuto.

«L’adolescenza ha sempre spaventato i genitori – affermano Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese, sociologi, autori del libro Da Amore a Zapping. Dizionario per adolescenti incomprensibili, San Paolo, in libreria dal 15 di questo mese –. Essi sono disorientati di fronte ai mutamenti di umore dei figli che passano in modo repentino dall’esaltazione alla depressione, dall’allegria alla tristezza, dalla sensazione di potenza alla frustrazione, dall’entusiasmo per una persona alla sua dimenticanza, in uno spettro ampio di oscillazioni tra gli estremi. Non è facile fronteggiare le loro contrapposte esigenze di dipendenza e di autonomia. Si domandano come reagire a certe loro espressioni inadeguate ai contesti, che destano sorpresa e irritazione, a certi loro comportamenti rischiosi e ostentati».

Ma qual è, dunque, l’approccio giusto? «Prima di tutto – sostiene Ezio Aceti, psicologo infantile – dobbiamo far capire ai nostri figli che non siamo realizzati solo come genitori, ma anche come persone, come uomo o donna. Una ragazzina di 14 anni farà fatica a confidarsi con una mamma che si pone nei suoi confronti come una vecchia, perché in lei non si riconosce. Per questo ai genitori io consiglio di ritagliarsi sempre i loro spazi: fin da quando i bambini sono piccolissimi, almeno due volte al mese devono uscire insieme, da soli, lasciando i figli a nonne o baby-sitter. Un altro aspetto da non sottovalutare è la capacità di entrare in relazione con i propri figli, dicendo sempre loro come la pensiamo, ma ascoltando anche le loro esigenze e poi mediando. Fino ai 6/7 anni, infatti, sono i genitori a decidere cos’è bene e cos’è male per i bambini. Dopo tale età, invece, madri e padri devono imparare a contrattualizzare, come in qualsiasi rapporto tra adulti. Un esempio? I genitori dicono al figlio: “Questa sera tu rientri alle 10 di sera”. E il figlio: “No, è troppo presto”. E così si comincia a discutere. La discussione tra genitori e figli adolescenti è sempre positiva. L’importante è che alla fine si giunga a un accordo, che nel nostro caso potrebbe essere il rientro per mezzanotte. Ricordiamolo sempre: i nostri figli sono persone “altre” da noi che ci sono state solo affidate».


Cambiano i linguaggi

Oggi negli Usa metà dei ragazzi tra i 15 e i 25 anni passa più tempo davanti a internet che di fronte alla tv. I giornali cartacei non vengono nemmeno guardati. In rete, le nuove generazioni si dilettano con strumenti come l’instant messaging (una modalità di invio dei messaggi quasi in contemporanea, che tra i ragazzi ha già mandato in pensione le vecchie e-mail) o i Blog (ogni 7,4 secondi ne nasce uno). Poi cercano videogiochi, musica, divertimenti, strumenti di socializzazione immediata e di comunicazione facile.

«I nostri – aggiunge ancora Marida Lombardo Pijola – sono i figli primogeniti di una grande mutazione sociale: un progressivo degrado dei valori della società occidentale legato sia al tramonto delle ideologie sia a un assopimento della spiritualità e dovuto a una specie di ossessione materialistico-consumistica. Una mutazione che è senz’altro figlia dei mass-media, perché è stata incoraggiata da un certo tipo di televisione e diffusa velocemente da internet che per questi bambini è il mezzo di comunicazione per antonomasia».

A quanto sin qua sottolineato va ad aggiungersi un altro grande rischio: il fatto che i ragazzini di oggi non riescano più a distinguere in modo chiaro tra realtà e fantasia.

«Quando nella solitudine questi ragazzi si mettono di fronte al computer – spiegano infatti i sociologi Di Nicola e Danese – si confrontano con figure immaginarie, possono crearsi un loro mondo e rifiutare di ascoltare “gli altri” per restare incollati allo schermo. Questo, però, non significa che si debba impedire loro di utilizzare le nuove tecnologie: più saggio è insegnare l’uso discreto e non onnipervadente di questi strumenti, senza demonizzarli né idolatrarli, ma valorizzandone le risorse e mettendone in luce i limiti. C’è bisogno, in definitiva, di un lavoro di “ecologia della comunicazione” da realizzare in famiglia, perché i figli imparino a distinguere tra i contatti massmediali, il chiacchiericcio compagnone e i rapporti significativi che si costruiscono ogni giorno, tra cadute e riuscite, in famiglia e nel gruppo reale».


Adolescenti di oggi adulti di domani

Ma che adulti saranno, domani, quegli adolescenti di oggi, in lotta perenne con il vuoto, descritti così bene da Marida Lombardo Pijola nel suo libro? E, soprattutto, noi adulti, noi genitori, possiamo aiutarli nel loro difficile percorso?

«Con questo libro – ammette l’autrice – ho voluto solo lanciare un allarme. Io non sono un’esperta, non ho soluzioni preconfezionate. Però dobbiamo aprire gli occhi: sta succedendo qualcosa di preoccupante, di cui finora non ci siamo accorti. È giunto il momento di fare qualcosa. I ragazzini che ho incontrato per il mio libro hanno tutti una voglia inespressa ma percepibile di avere modelli positivi, figure adulte significative cui ispirarsi. Anche se non sono disposti a riconoscerlo apertamente, perché travolti dalla prassi, dalla moda. Se noi adulti, noi genitori, prendiamo atto della necessità di muoverci, abbiamo già fatto il primo passo. Dobbiamo smetterla con questa sorta di rimozione collettiva e renderci conto che quanto sta succedendo a molti dei nostri adolescenti potrebbe accadere a tutti. Solo così possiamo cominciare ad ascoltarli di più. Di recente ho chiesto a uno dei miei figli: “Ma tu non hai proprio paura di me? Non temi la mia reazione se scopro, per esempio, che sei andato male a scuola?”. E lui: “No mamma. Io non ho assolutamente paura di te, l’unica paura che ho è quella di deluderti”. Bene, questo mi ha dato speranza. Mi ha fatto capire che forse per lui sono riuscita a essere un punto di riferimento. In fondo, anche se non lo ammetterebbero mai, è solo questo che i nostri figli ci stanno chiedendo».


Nuovi media. «Ho un cellulare, dunque sono»

Tra i mezzi di comunicazione i ragazzi preferiscono il cellulare, visto come prolungamento della propria persona, in quanto permette di estendere la comunicazione al di là dei limiti spazio-temporali connessi alla fisicità. Se non sono al monitor, i ragazzi se ne stanno a casa a mandare messaggini al cellulare, in sostituzione dei luoghi tradizionali d’incontro come la piazza, il giardino sotto casa, la strada. Il cellulare ha il vantaggio di essere in diretta rispetto alla carta stampata che ragiona in differita, di procurare una presenza effettiva quando l’altro è lontano, di rassicurare i ragazzi che sanno di poter entrare in contatto «qui ed ora» con chiunque, specie con gli amici del gruppo dei pari. Sperimentano così la disponibilità «virtuale» di sé agli altri e degli altri a sé in qualunque momento, senza vincoli spaziali e contestuali. Si abituano a considerare l’altro sempre rintracciabile e disponibile e a rendere presenti gli amici assenti. Anche in caso di non raggiungibilità dell’interlocutore è possibile comunicare la propria presenza (sul display appare il nominativo di chi ha chiamato). È evidente che questo comporta cambiamenti significativi. Sul fronte negativo c’è chi sottolinea la perdita della comunicazione non verbale, e del senso della coesione del gruppo, a vantaggio delle relazioni «a due». S’indebolisce la solidarietà attiva che richiede vicinanza fisica, compresenza di più membri in un contesto. «Decontestualizzando» il processo comunicativo, il cellulare lo lega direttamente al soggetto. Rispetto alle paure dell’adolescente, il possedere un cellulare si presenta come valido antidoto alla solitudine. Grazie a questo strumento gli altri formano una vasta rete relazionale virtuale a propria disposizione, un mondo silente, pronto a interloquire non appena sollecitato.

Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese


i libri

Da amore a zapping. Dizionario per adolescenti incomprensibili

G. P. Di Nicola, A. Danese, San Paolo, pagg. 808 euro 34,00

Rituali degli adolescenti oggi. Tra religioso e secolare

M.Gallizioli in: Riti religiosi e riti secolari, a cura di A. N. Terrin, EMP - Abbazia di Santa Giustina, pagg. 347, euro 26,00

Ho 12 anni faccio la cubista mi chiamano principessa. M. Lombardo Pijola, Bompiani, pagg. 229, euro 12,00Lettera a un adolescente Vittorino Andreoli, Rizzoli, pagg. 144, euro 9,50



L’intervista. Caro adolescente, ti scrivo…


Il professor Vittorino Andreoli non ha bisogno di presentazioni: da decenni vive e lavora tra gli adolescenti e del loro comportamento è un attento e appassionato osservatore. Di recente ha dato alle stampe il libro Lettera a un adolescente.

Msa. Professor Andreoli, perché una «lettera a un adolescente»?

Andreoli. Perché, come scrivo all’inizio del libro, mi sembra insopportabile che padri e figli vivano all’interno della stessa casa nel mutismo o addirittura facendosi del male. Io ho avvertito il desiderio di realizzare questo libro non come psichiatra, bensì come nonno e padre, perché tanti interventi cosiddetti specialistici non hanno sortito finora grandi effetti. Ho poi voluto sottolineare il significato della parola «adolescente». La nostra società spesso tende a generalizzare troppo: si è voluta creare la «categoria» dei giovani, degli adolescenti come se si trattasse di un gruppo a caratteristiche univoche. Invece la realtà è diversa: gli adolescenti giustamente avvertono, pur tra problemi comuni, di essere individui, persone. Con il libro, dunque, ho voluto sottolineare che con gli adolescenti si deve costruire un rapporto personale, una relazione individuale.

Oggi, generalizzando purtroppo, gli adolescenti vengono spesso dipinti come persone incapaci di provare sentimenti e di rispettare il proprio corpo. È vero, secondo lei?

Gli adolescenti hanno caratteristiche comuni. Devono affrontare un periodo di grande cambiamento: corpo e personalità mutano, ma non si può prevedere a priori in quale modo. La loro è una metamorfosi vera e propria, molto rapida, che li spaventa. Gli adolescenti vivono nella paura: paura di trasformarsi in qualcosa di non piacevole, paura del cambiamento… Questo li porta ad attaccarsi a tutto ciò che è concreto. D’altra parte, come potrebbero preoccuparsi di come sarà la loro vita tra cinque anni se in questo momento, qui e ora, si sentono in una condizione di esclusione e hanno paura di essere abbandonati? Quindi è vero che gli adolescenti sono iperconcreti e non riescono a percepire il futuro: si tratta delle caratteristiche principali di questa fase della vita. E invece la percezione del futuro è fondamentale: perché a esso si lega il desiderio (inteso come la capacità di ciascuno di noi di pensarsi diverso, domani, da come è oggi) e, soprattutto, la capacità di sperare. Ho appena letto la nuova enciclica del Pontefice, Spe salvi. Io non sono un teologo, ma mi è piaciuto molto ciò che il Papa ha scritto sulla speranza e che ha un fondamento psicologico: la speranza non cambia solo l’immagine del domani, ma la stessa immagine del domani muta il nostro operare di oggi. Questo è verissimo, però è altrettanto vero, purtroppo, che gli adolescenti non hanno speranza.

Perché spesso dialogare con un adolescente è così difficile?

Gli adolescenti per passare da una dimensione infantile a una di maggiore espressione sociale, devono staccarsi dall’ambiente familiare. Paradossalmente, più il loro legame con la famiglia è forte, maggiore è la necessità di contrapporsi a essa. In sintesi, quindi, il loro è un «essere contro» funzionale alla fatica di staccarsi. Nel libro ho dedicato ampio spazio a questo aspetto. È molto importante che un genitore comprenda che l’aggressività di un adolescente è in realtà una richiesta di aiuto: è come se domandasse di essere aiutato a staccarsi dall’ambiente familiare per entrare nell’ambiente sociale, che per lui è rappresentato inizialmente dal gruppo dei pari età.



Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017