Un «posto di salute» accessibile a tutti

Due progetti per la salute in una delle zone più martoriate dell'Africa, l'Angola, teatro di una trentennale guerra civile.
28 Febbraio 2005 | di

Ogni anno, in Angola, muoiono 181 mila bambini al di sotto dei cinque anni. Bambini che hanno volti, sorrisi, lacrime. Che, sesolo potessero, avrebbero anche desideri. Bambini come i nostri, con la sventura, però, di essere nati nella parte più povera del mondo, dove la gente non ha né voce né diritti e dove la vita di un bimbo non conta nulla. In Angola la speranza di vita è di appena quarant'anni. Il reddito annuopro-capite non supera i 660 dollari, nemmeno due dollari al giorno. Il 38 per cento della popolazione non ha accesso all'acqua potabile e il 44 per cento non può avere servizi igienici adeguati (dati Unicef, aprile 2004).
Eppure l'Angola, con i suoi giacimenti di petrolio e le sue miniere di diamanti, è uno dei Paesi più ricchi di risorse di tutta l'Africa. Ma è stato per ventisette anni, fino all'aprile 2002, teatro di una guerra civile sanguinosa, che ne ha dilaniato il tessuto sociale e le infrastrutture di base,pregiudicandoneogni possibilità  di sviluppo sociale ed economico.
Nel nord dell'Angola, nella diocesi di Malanje, ha sede la missione delle suore francescane di san Giuseppe. Le religiose vivono qui, nel villaggio di Katepa, dal 1996. Nel 1999, a causa della guerra, hanno dovuto abbandonare la missione. Stipulata la pace, le suore sono rientrate a Malanje, ma hanno trovato una situazione disastrosa.
Nella zona manca tutto: cibo, scuole, vestiti, per non parlare delle infrastrutture e delle abitazioni. La tubercolosi è endemica, e molto diffuse sono anche le infezioni respiratorie e urinarie, le anemie, le malattie della pelle e, naturalmente, a causa della mancanza di acqua potabile, le gastroenteriti, letali soprattutto per i piccoli. L'associazione Medici senza frontiere che nel periodo bellico gestiva un ospedale nella zona in cui si trovano le suore, al termine della guerra ha abbandonato il territorio e l'ambulatorio governativo non ha né medicine né personale per garantire l'assistenza a tutti gli ammalati.
Nei villaggi - racconta suor Maria de Fatima Schwamberger, generale della congregazione, nella lettera con cui chiede aiuto alla Caritas Antoniana - la popolazione è facile preda dei quimbandeiros, stregoni o fattucchiere, gelosi delle proprie scarse conoscenze in campo medico, per le quali si fanno comunque pagare a peso d'oro. Ma nelle città  la situazione non è migliore. A Luanda - prosegue suor Maria - le medicine vengono vendute al mercato nero, a costi altissimi e senza alcuna garanzia. I farmaci sono privi di contenitori e chi li vende spesso sostituisce a piacere il farmaco prescritto dal medico con ciò che è in suo possesso in quel momento.


Specializzare in sanità 

L'opera delle suore si è dunque sin da subito focalizzata sulla sanità . Fino a qualche tempo fa esse prestavano la loro opera in un posto di salute, a Katepa, precario e fatiscente. Qui seguivano, medicavano, distribuivano medicine anche a più di cento persone al giorno. E facevano un po' di prevenzione. Il posto di salute sorgeva in un luogo di difficile accesso: ci si arrivava solo a piedi, dopo un percorso faticoso e gli ammalati più gravi dovevano essere trasportati a spalla. La popolazione è povera - scrive ancora suor Maria -. Nessuno ha in casa nemmeno una pasticca contro la febbre. E talvolta, chi arriva qui all'ambulatorio dopo aver percorso anche 500 chilometri, deve tornare indietro a mani vuote, perché le medicine sono finite.
Per questo le francescane di san Giuseppe hanno deciso di costruire un nuovo posto di salute che fosse più semplice da raggiungere. Hanno individuato la zona in un terreno di loro proprietà  e un benefattore ha fornito loro i soldi per costruire la struttura. Le religiose si sono poi rivolte alla Caritas Antoniana per  un contributo che consentisse loro di acquistare qualche arredo elementare per l'ambulatorio e il materiale sanitario necessario, come uno sterilizzatore, bilance pesapersone per adulti e bambini, un tavolo e relative sedie, un armadietto per custodire le medicine e un piccolo frigorifero per conservarle. E poi ancora forbici, termometri e altro materiale per il primo intervento e una sedia a rotelle. In una prima fase, la Caritas ha sostenuto il progetto con 10 mila euro. In seguito, altri 3 mila euro sono serviti per la costruzione di un pozzo che garantisse acqua potabile.
Vi ringraziamo molto - ha scritto di recente suor Maria de Fatima - per quello che ci avete consentito di realizzare. Ormai sia l'ambulatorio che ilpozzo sono quasi pronti e abbiamo già  ordinato il materiale che siamo riusciti a comperare con il vostro aiuto. Alla gente di qui non possiamo chiedere nulla. È gente poverissima, che vive d'agricoltura, ma spesso non ha nemmeno i soldi per comperare le sementi. I pochi alberi rimasti vengono tagliati per produrre carbone da scambiare in città  con sale, olio, medicine. Quelle medicine che ora, finalmente, potranno ricevere nell'ambulatorio gestito dalle suore di san Giuseppe.
E che, forse, potranno restituire ai bambini di Malanje i loro desideri.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017