Un patto per la scuola

La scuola è un bene prezioso; serve un accordo al di sopra delle parti che la metta al riparo dagli avvicendamenti politici.
28 Luglio 2005 | di

Al seminario internazionale, promosso dall'Associazione docenti italiani (Bologna, marzo 2005: «L'equità  nella tormenta delle riforme scolastiche») Norberto Bottani direttore del Servizio della ricerca sull'educazione di Ginevra, nell'analizzare le riforme in cantiere o già  avviate in Francia, Spagna, Inghilterra e Stati Uniti affermava: «C'è un filo rosso che unisce tutte le riforme: far riuscire tutti, non perdere per strada nessuno, occuparsi dei più deboli, di quelli che fin qui sono stati scartati, bocciati, esclusi; portare tutti a una soglia minima di conoscenze e competenze, fare in modo che tutti siano in possesso di uno zoccolo di base nelle discipline fondamentali, prima di essere prosciolti dall'obbligo scolastico; non sprecare il capitale umano».
Su questa lunghezza d'onda i titoli delle riforme in questi Paesi. Francia: «Per la riuscita di tutti gli alunni»; Inghilterra: «Ogni bambino conta»; Spagna: «Un'educazione di qualità  per tutti e con tutti»; Stati Uniti: «Nessun bambino deve restare indietro». Non così esplicito e incisivo il titolo della riforma Moratti, ma resta la sostanza espressa nell'articolo 1 della legge.
Ogni anno, a conclusione dell'anno scolastico, sono rari ma non meno drammatici, i casi di adolescenti che si tolgono la vita non riuscendo a reggere l'angoscia della bocciatura. Ebbene, uno degli obiettivi principali delle riforme scolastiche in atto in diversi Paesi è di ridurre le bocciature e gli abbandoni degli studenti, soprattutto nell'età  dell'obbligo scolastico.
Addolcire la pillola cambiando le bocciature in «non promozioni» o «non ammissioni alla classe successiva», non serve. Bisogna invece che i docenti rivedano il loro metodo di insegnamento. In che modo? La questione è molto discussa. C'è chi sostiene che una scuola di qualità  debba essere selettiva e chi invece propone di coniugare la qualità  del servizio scolastico con l'equità , cioè che nessun alunno deve lasciare il sistema educativo senza avere raggiunto una soglia minima di competenze che gli consenta di vivere decentemente la propria vita in una società  moderna. Così il Gruppo europeo di ricerca sull'equità  dei sistemi scolastici (2004).
È necessario allora che le istituzioni scolastiche cambino mentalità : i docenti non devono dire: «se non sai ti boccio», ma se «non sai ti recupero». Il Consiglio europeo afferma che «non dotare i giovani di una formazione di base (valori, atteggiamenti, conoscenze, competenze) che consenta loro di diventare persone, cittadini consapevoli dei loro diritti e doveri, attivi nella vita sociale e nel mondo del lavoro, può determinare gravi difficoltà  individuali, un elevato costo sociale, nonché una perdita di competitività  del sistema Paese».

Come funziona la scuola italiana

Ma come sta la scuola italiana che la legge Moratti vuole riformare? Una fotografia impietosa ce la offrono le indagini Ocse-Pisa del 2000 e del 2003, con risultati sostanzialmente simili, cioè pessimi, nonostante che la spesa per l'istruzione non sia inferiore a quella di altri Paesi che raggiungono performance eccellenti. Pisa è l'acronimo di un programma internazionale per la valutazione degli studenti quindicenni nelle competenze matematiche, scientifiche e di comprensione del testo, promosso dall'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) nel 1997 e che si effettua con cadenza triennale.
Nell'indagine 2003 sulle competenze matematiche, l'Italia si è collocata al trentunesimo posto su quaranta Paesi, prima di Grecia, Turchia e Messico, ma molto lontana dai primi: Hong Kong, Finlandia, Corea e Olanda. Quasi uno studente italiano quindicenne su tre raggiunge appena o è al di sotto delle competenze minime in matematica, compromettendo in questo modo sia l'opportunità  di proseguire gli studi, sia il passaggio al mondo del lavoro ma anche le possibilità  di apprendimento durante tutto l'arco della vita. Occupa il ventinovesimo posto nella comprensione del testo, anche qui molto lontana da Finlandia, Corea e Canada, ed è al ventisettesimo posto nelle scienze.
Per Andreas Schleicher, direttore per la statistica della Divisione Education dell'Ocse l'indagine ha messo in evidenza che gli studenti quindicenni italiani hanno spesso difficoltà  ad applicare le conoscenze e le competenze acquisite in aree tematiche chiave e mostrano scarse capacità  di analisi, di ragionamento e comunicazione nel momento in cui si trovano a porre, risolvere e interpretare problemi in situazioni diverse e contesti nuovi, denotando così l'inconsistenza di tali competenze, destinate invece ad assumere sempre una maggiore rilevanza nella loro vita futura.
Il ministro Moratti, consapevole della gravità  della situazione italiana, ha istituito a livello nazionale, regionale e provinciale gruppi di esperti nel campo della valutazione e dei processi di insegnamento-apprendimento con il compito di individuare le azioni da intraprendere per migliorare i risultati dell'Italia nell'indagine Pisa 2006. Siamo però all'inizio dell'anno scolastico 2005/06 e non risulta siano state prese iniziative in merito.

Il futuro in cinque obiettivi

A fine dello scorso marzo è stato pubblicato il secondo rapporto sui risultati e i progressi compiuti dalla scuola nei venticinque Paesi dell'Unione europea rispetto agli obiettivi definiti dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000 e adottati nel marzo 2003. A metà  del cammino i cinque obiettivi da raggiungere entro il 2010 sono ancora una bella sfida.
Il primo obiettivo chiede di ridurre al 10 per cento l'alto numero di abbandoni precoci dalla scuola (dopo le elementari o dopo le medie). Nel 2004 la media Ue era del 15,9 per cento e quella italiana del 23,5. Lo raggiungeremo?
Il secondo obiettivo : aumentare del 15 per cento il numero dei laureati nelle discipline matematiche, scientifiche e tecnologiche. Questo sarà  possibile raggiungerlo. In Italia nel biennio 2000/2002 l'incremento è stato del 10,6 per cento contro un valore europeo del 4,6 per cento.
Il terzo obiettivo : portare a 85 la percentuale dei giovani tra i 18 e i 24 anni che conseguono il diploma di scuola secondaria superiore. Nel 2004 la media europea era del 76,4 per cento e quella italiana del 69,9.
Il quarto obiettivo : aumentare al 12,5 la percentuale della popolazione tra i 25 e i 64 anni che partecipano all'apprendimento e all'aggiornamento. Nel 2004 la media europea era del 9,4 per cento contro una media italiana del 4,9. Obiettivo difficilmente raggiungibile.
L'ultimo obiettivo , che riguarda l'acquisizione delle competenze di base e che costituisce un primo gradino per partecipare attivamente allo sviluppo della società  della conoscenza, prevede di ridurre al 15,5 la percentuale dei quindicenni con scarse abilità  di lettura. Nell'indagine Pisa del 2003 la media Ue era del 19,4 per cento contro una media italiana del 23,5. Obiettivo difficilmente raggiungibile.

La riforma targata Moratti

Il 10 febbraio 2000 nasceva, contrastata dal centrodestra e dopo un percorso partito dalla Commissione dei quarantaquattro «saggi» coordinata da Roberto Maragliano docente del Dipartimento di scienze dell'educazione della III Università  di Roma, la riforma della scuola «Berlinguer» (dal nome del ministro) che prevedeva una scuola dell'infanzia triennale e non obbligatoria, un ciclo primario di sette anni (scuola di base ) e un ciclo secondario di cinque anni (licei) articolato in quattro aree: classico-umanistica, scientifica, tecnica e tecnologica, artistica e musicale. Si sarebbe cominciato a 6 anni e si sarebbe terminato a 18, un anno in meno rispetto alla situazione attuale, ma in linea con gli altri Paesi europei.
La riforma non ebbe seguito. Berlusconi, vincitore delle elezioni, come aveva promesso in campagna elettorale, cancellò quella riforma mentre, nel luglio 2001, il ministro Moratti nominava una commissione di sette saggi presieduta dal professor Giuseppe Bertagna docente nel Dipartimento di Scienze dell'educazione dell'Università  di Bergamo e già  nella commissione dei quarantaquattro.
La riforma Moratti veniva alla luce nel marzo del 2003 con la netta opposizione del centrosinistra e dei sindacati. La legge n. 53 prevede una scuola dell'infanzia triennale e non obbligatoria (ex scuola materna), un primo ciclo di otto anni comprensivo di cinque anni di primaria (ex elementare) e tre anni di scuola secondaria di primo grado (ex scuola media), un secondo ciclo quinquennale che comprende il sistema dei licei e il sistema di istruzione e formazione professionale (di competenza regionale). Con la riforma Moratti la scuola inizia a 3 anni e terminerà  a 19 (la legge consente ai genitori la possibilità  di un'iscrizione anticipata fino a quattro mesi, sia alla scuola dell'infanzia che a quella primaria).
Molti non sono d'accordo su questa riforma: protesta l'opposizione, ma ci sono alcuni distinguo anche nella maggioranza; contestano i sindacati, in particolare la Cgil, e con loro molti docenti, parte dei dirigenti scolastici (presidi), dei genitori e molti studenti.
Alcuni collegi dei docenti applicano la disobbedienza civile con delibere che rifiutano alcune delle novità  previste dalla Riforma come l'insegnante tutor, il portfolio delle competenze, gli Obiettivi specifici di apprendimento, i Laboratori per l'approfondimento, il recupero e lo Sviluppo degli apprendimenti e altro ancora.
Che fa l'Amministrazione? Minaccia, blandisce e temporeggia! Il ministro tenacemente continua nel dare seguito ai decreti attuativi della legge delega di riforma. Ne sono stati approvati definitivamente quattro: le norme generali relative alla scuola dell'infanzia e del primo ciclo; l'istituzione del Servizio nazionale di valutazione del sistema educativo di istruzione e formazione (Invalsi); l'alternanza scuola-lavoro e il diritto-dovere all'istruzione e alla formazione. Sono in via di approvazione il decreto legislativo sul reclutamento dei docenti e quello sulla riforma della scuola secondaria superiore (il più difficile da realizzare).
La riforma, dopo una fase sperimentale negli anni scolastici 2002/03 e 2003/04, è partita ufficialmente nell'anno scolastico 2004/05 con la scuola dell'infanzia, con le cinque classi della ex scuola elementare e con la ex prima media. Nell'anno scolastico 2005/06 riguarderà  la seconda media, mentre nell'anno successivo è previsto il coinvolgimento della prima classe della scuola secondaria superiore. Per un'analisi più dettagliata della riforma si veda il riquadro.

Conclusioni: un Patto per l'educazione

Niente di nuovo sotto il sole. In Spagna stanno succedendo più o meno le stesse cose. Aznar, vinte le elezioni, affossa la riforma scolastica del socialista Gonzales, rimessa in pista da Zapatero, dopo aver cancellato quella di Aznar. Un gioco che non è piaciuto nemmeno ai sindacati spagnoli di sinistra i quali, consapevoli che i continui cambiamenti creano disorientamento e danneggiano la scuola pubblica, hanno lanciato un Patto di Stato per l'educazione che protegga il sistema di istruzione e formazione dagli avvicendamenti politici.
Anche in Italia stiamo correndo gli stessi rischi (i risultati Pisa di Italia e Spagna sono quasi simili), ma non si sentono grida d'allarme. Tra le poche eccezioni, l'appello di Giuseppe Bertagna e Roberto Maragliano (considerati gli ispiratori della riforma Moratti, il primo, e della riforma Berlinguer, il secondo) che nel 2003 nella rivista Reset scrivevano: Se non si farà  uno sforzo congiunto per superare questa condizione di anacronismo intellettuale e politico, difficilmente il nostro Paese maturerà  una democrazia compiuta e, soprattutto, saprà  darsi gli strumenti progettuali necessari per evitare l'auto-emarginazione economica, culturale ed educativa, e il conseguente, inesorabile declino.
Sapranno, le forze politiche e sociali, in questo difficile congiuntura economica, superare le barriere ideologiche, partitiche e sindacali per il bene comune e non per quello di parte? Lo speriamo, nell'interesse del Paese e dei giovani che rappresentano il nostro futuro.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017