Un medico e un missionario testimoni di solidarietà

Andrew Simone, fondatore di «Canadian Food for Children», e padre Bernardo Cervellera, direttore di «Asia News», sono tra i vincitori della quinta edizione del Premio internazionale sant’Antonio.
22 Giugno 2006 | di

Il Premio internazionale sant’Antonio, istituito nel 1998 con cadenza biennale, lo scorso 23 giugno ha celebrato la sua quinta edizione. Agli inizi nella fastosa cornice del maggior teatro cittadino, poi in quella più austera della Basilica del Santo e, quest’anno, sotto le stelle, nel suggestivo sagrato della stessa, il Premio ha ogni volta messo in luce persone – di alto profilo professionale e morale – che hanno testimoniato con le opere o promosso attraverso il cinema e la televisione, la solidarietà e la vicinanza ai poveri. Insieme allo spirito missionario, questi valori rappresentano il cuore dell’attività e del messaggio di sant’Antonio di Padova. Vangelo e carità, appunto.
Quest’anno sono stati premiati per la sezione «Solidarietà» Andrew Simone, fondatore del «Canadian Food for Children», un’associazione che raccoglie e invia generi alimentari ai bambini che soffrono la fame e, per la sezione «Testimonianza», padre Bernardo Cervellera, direttore di «Asia News», un’agenzia di informazione sui Paesi dell’Asia.
Nelle altre sezioni hanno ricevuto il Premio: la fiction, in due parti, Karol, un uomo diventato Papa (2005) e Karol un Papa rimasto uomo (2006) del regista Giacomo Battiato, interpretata da Piotr Adamczyk («Televisione»); il film La rosa bianca - Sophie Scholl, diretto da Marc Rothemund, protagonista Julia Jentsch («Cinema»). Il premio speciale della Giuria per il Cinema è andato ad Antonio, guerriero di Dio di Antonello Belluco, interpretato da Jordi Mollà.


Andrew Simone: innanzitutto carità


Andrew Simone è un noto dermatologo di Toronto. Studiava Medicina quando fu colpito da sordità. Qualcuno gli consigliò di lasciar perdere, mentre il preside della Facoltà lo esortò a continuare. «Scelsi dermatologia perché avrei usato di più gli occhi che l’udito», spiega il dottor Simone. Così nel 1963 Andrew si laureava e, cinque anni dopo, conseguiva la specializzazione.
Sposato con Joan, ha sempre sognato di avere la casa piena di figli e oggi, tra i suoi e quelli adottati, ne ha ben tredici. Per un periodo ha collaborato con madre Teresa, la quale nel 1981 gli aveva scritto una lettera chiedendogli di inviare generi alimentari alle sue suore in Africa. Fu il primo di una serie di contatti con la santa di Calcutta che, incontrandolo qualche anno dopo, gli disse: «Dottor Simone, la gente pensa che io e le mie suore possiamo prenderci cura di tutti i poveri del mondo, ma non è possibile. Tu e tua moglie avete il dono di coinvolgere la gente, utilizzate questo dono!». Da qui l’iniziativa del «Canadian Food for Children».

Dottor Simone, quale spirito anima il «Canadian Food for Children»?

Lo stesso spirito di madre Teresa: ama il prossimo tuo come te stesso. La nostra è un’organizzazione di pura carità. Nessuno di noi ha mai ricevuto un dollaro per il lavoro svolto, ma con un dollaro canadese possiamo fornire ai bambini quaranta pasti.

Migliaia di canadesi partecipano al vostro progetto e ogni anno organizzano più di trecento container. Come garantite che il tutto giunga alle persone giuste?

La Chiesa cattolica ha bravissimi missionari in ogni parte del mondo. Se ci servono informazioni o referenze, ci rivolgiamo ai vescovi del Paese interessato, dove anche molti di noi vanno per verificare la situazione. Certo, alcuni Paesi sono così corrotti che non riusciamo a far giungere il cibo ai poveri: questo per noi è un grande problema.

Nei suoi viaggi ha vissuto situazioni che l’hanno particolarmente commossa?

In Malawi ho incontrato una suora che assisteva un centinaio di madri povere, i cui figli erano paurosamente malnutriti. Le chiesi: «Che cosa dà loro da mangiare?». «Niente! – mi rispose –. Perché non abbiamo niente. Le donne sono venute qui per pesare i bambini». La cosa mi sconvolse. Mia moglie osservò: «Forse vengono perché sperano di trovare qualcosa». Andammo subito a comprare della farina e il giorno dopo la portammo a quelle mamme. Qualche giorno più tardi ho visto in un ospedale, per la prima volta in vita mia tutti insieme, cinquanta bambini in condizioni avanzate di malnutrizione. Ne avevo viste di situazioni difficili, ma di così drammatiche, mai. Non volevo credere ai miei occhi.

Quali Paesi oggi hanno più bisogno di aiuto?

Direi quasi tutti i Paesi in via di sviluppo. A volte sono i governi a ostacolare i nostri interventi. A volte la mancanza di amore nel cuore della gente. Per questo cerchiamo di coinvolgere i nostri giovani, gettando in loro il seme dell’amore, che li guiderà quando aiuteranno i poveri.

È un dermatologo di successo, con moglie e tredici figli e, per di più, impegnato in molte organizzazioni: dove trova il tempo?

Dio mi ha messo a fianco Joan per badare alla numerosa famiglia. Gesù ha detto: «Quando metti mano all’aratro, non devi tornare indietro». Dono ogni mio giorno al Signore. Pratico sport, e questo mi mantiene in salute. Non resta molto tempo per me, ma quello che ho mi basta. Desidero solo prendermi cura dei poveri.

Lei è considerato un esempio di come si può vivere il Vangelo in una società che ignora i valori religiosi e morali. Che cosa direbbe ai giovani che vogliono vivere il Vangelo in modo più autentico?

Questo direi: «Credete in quello che Gesù ha detto. Sempre». Ha detto, per esempio: «Quando dai da mangiare a un affamato, dai da mangiare a me». Allora, ogni nostra energia deve essere spesa per nutrire chi ha fame. Direi inoltre: «Non ascoltate il mondo. Se volete la vera felicità, seguite Gesù». Mia moglie e io abbiamo dato tutto ai poveri, ma abbiamo ricevuto molto di più. Abbiamo tanti fratelli e sorelle; incontriamo molta gente buona e generosa; piccole cose, che ci ridanno la carica quando ci sentiamo scoraggiati.

È devoto di sant’Antonio? Quanto conta nella sua vita?

Sant’Antonio è una delle figure più affascinanti che io abbia incontrato. Della sua vita mi colpisce soprattutto il suo desiderio di diffondere il Vangelo. Io amo molto il Santo, e mi sono sposato nella chiesa a lui dedicata a Toronto, quarantaquattro anni fa.


Padre Cervellera: una finestra sull’Asia

 

Padre Bernardo Cervellera, religioso del Pime (Pontificio istituto missioni estere), è direttore di «Asia News», un’agenzia di stampa che apre ogni giorno una finestra sui Paesi e sulle Chiese del Continente asiatico.

Padre Cervellera, come è nata l’idea di «Asia News»?          All’inizio c’era una rivista, ideata da padre Piero Gheddo, mio maestro di giornalismo. Egli, già nel 1986, aveva previsto che l’Asia sarebbe diventata sempre più importante nel mondo, ma anche che c’era un grande bisogno di missionari per i Paesi asiatici, nei quali la Chiesa cresceva con fatica. Ha pensato allora a una rivista per far conoscere quelle realtà. La rivista è stata prima quindicinale e poi, per problemi economici, mensile. Nel 2003 i superiori mi hanno chiesto di trasformare «Asia News» in un sito internet, facendola diventare agenzia quotidiana. Questo per due motivi. Anzitutto, si è presa maggiore coscienza dell’urgenza dell’evangelizzazio-ne in Asia. Non dimentichiamo che Giovanni Paolo II nel 1995 ha detto che l’Asia è il continente del futuro, quello in cui giocare tutte le carte dell’evangelizzazione. E poi perché già nel 2003 era chiaro che l’economia mondiale ruotava intorno a quel continente. Con «Asia News», ci siamo quindi trovati al centro della corrente missionaria verso l’Asia e del fiorire di interesse per capire quel miracolo economico. Questa l’origine, e forse anche il motivo, del nostro successo.

Quali sono i Paesi che voi monitorate in particolare?

Abbiamo trenta corrispondenti in Asia: dalla Cina, dalla Corea, dal Giappone, dalle Filippine, da Hong Kong, dalla Thailandia, dalla Cambogia... Sono di solito giornalisti cattolici, attenti a cogliere la realtà, a informare, soprattutto a leggere gli avvenimenti in riferimento alla missione della Chiesa. L’intento è di coscientizzare la popolazione locale, di richiamare l’attenzione dei suoi governanti e dell’opinione pubblica internazionale sulla dignità dell’uomo, sulla libertà religiosa, sulle necessità dei poveri...

Lei accennava alle non poche difficoltà dei cristiani dell’Asia nel praticare la propria religione. C’è un Paese dove questo è più difficile che in altri?

Vale la pena di fare delle distinzioni. In Asia, il continente più abitato del mondo (quattro miliardi di abitanti, due terzi della popolazione mondiale), sono presenti vari tipi di limitazioni della libertà religiosa. Si possono individuare due blocchi: da una parte, le dittature che fanno riferimento al comunismo e al marxismo, per le quali la religione non deve avere nessuna influenza nella società, e per questo si cerca di ridurla a fatto privato o di sopprimerla. In alcuni Paesi la religione viene anche usata come edulcorante per i problemi sociali. Il Vietnam, ad esempio, è un Paese marxista, ma, avendo molti problemi sociali, chiede alla Chiesa di intervenire nelle scuole, nell’assistenza ai bambini e nella cura dei lebbrosi, riconoscendo al cristianesimo una funzione sociale importante. Ma non basta. In Cina, invece, si è creata una Chiesa di Stato più facilmente controllabile. Chi non accetta il controllo, come sappiamo, viene puntualmente imprigionato. «Asia News» continua a chiedere ragione al governo cinese della scomparsa, da alcuni anni, di sei vescovi della Chiesa non ufficiale, dei quali non si sa più nulla. C’è poi la situazione della Corea del Nord, dove non esistono religioni. Ci sono alcune associazioni a sfondo religioso, ma sono solo istituzioni di facciata, volute dal regime, per convincere i Paesi ricchi a fornire aiuti.

L’altro blocco è formato dalle dittature fondamentaliste, soprattuto islamiche, nelle quali solo la religione predicata dal Profeta Muhammad è ammessa e tutte le altre vietate, in particolare quella cristiana, perché i cristiani sono molto impegnati nella società per il bene dell’uomo, e hanno successo. Ma per questo vengono accusati di fare proselitismo e perciò perseguitati. Si veda, ad esempio, l’Arabia Saudita, che ha otto milioni di stranieri tra i quali un milione di cattolici che non possono praticare la loro fede.

Un commento al Premio ricevuto per l’impegno di «Asia News» nel far conoscere il continente asiatico?

Sono grato per la generosità e l’amicizia del «Messaggero di sant’Antonio». Il lavoro di informazione sulle Chiese perseguitate in Asia, sembra a volte che non interessi a molti. E soprattutto che non interessi ai politici. Il Premio ci conforta, benedice il nostro lavoro, che vogliamo continuare per parlare di più di queste Chiese, le quali, proprio perché minoranze perseguitate, hanno qualcosa da dire alle Chiese occidentali, fatte di maggioranze soddisfatte ma sonnolente.

Che rapporto ha, lei, con sant’Antonio?

È un santo che in vita ha desiderato di essere martire. Lo sento molto vicino alla mia vocazione missionaria, perché anch’io desidero dare la vita per la mia fede, perché la Chiesa cresca nel mondo.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017