Tutte le strade portano a Francesco

Sulle orme del santo di Assisi e dei suoi compagni, dal Nord e dal Sud della penisola si snodano vie di pellegrinaggio da percorrere a piedi o in bicicletta.
26 Giugno 2013 | di

«Andiamo, andiamo, ventiquattro piedi siamo» cantano i frati nel famoso musical Forza venite gente, sulle scene dal 1981. L’associazione tra l’esperienza di Francesco d’Assisi e il camminare viene davvero naturale, e così non stupisce che il quinto Festival Francescano, in programma nel centro di Rimini dal 27 al 29 settembre, abbia scelto il «cammino» come motivo conduttore. Mettere un piede avanti all’altro, del resto, è una delle azioni qualificanti della nostra storia, tanto che con emozione ascoltiamo i nostri genitori raccontarci di come abbiamo compiuto, da poppanti, i primi passi. Poi lo diamo per scontato, tanto più che per spostarci, noi del terzo millennio, usiamo bici, motorino, auto, treno, nave, aereo. Anche nell’ultimo continente che stiamo colonizzando, ovvero internet, si naviga, non si cammina.

Per i primi francescani, invece, non era né scontato né banale andare a piedi. San Francesco e i suoi seguaci furono grandi camminatori. Le analisi sui resti mortali di sant’Antonio, ma anche quelle recentissime dei primi compagni del Poverello (Bernardo, Silvestro, Guglielmo, Eletto e Valentino), lo confermano: furono «sottoposti a stress biomeccanico interessante in particolar modo il rachide e gli arti inferiori» si legge nella relazione medico-scientifica stilata lo scorso febbraio. Francesco fu un pellegrino d’eccezione, sulle strade che conducono alle tombe degli apostoli a Roma, in Terra Santa, a Santiago di Compostela, a Monte Sant’Angelo. Il primo scritto conosciuto di san Francesco, ovvero la Preghiera davanti al Crocifisso di San Damiano, risalente agli anni della conversione, può essere considerato la preghiera del pellegrino, che sempre ha una – piccola o grande, centrale o periferica – notte nell’anima bisognosa di luce. «Altissimo, glorioso Dio, illumina le tenebre de lo core mio» avrà pregato Francesco sulle strade umbre, e così ce lo immaginiamo anche mentre recita – canta? – il Cantico di frate Sole, per lodare le creature e il loro Signore, passo dopo passo, lungo la via. Ora, le orme lasciate dal santo di Assisi sono ancora percorribili. Lo sono sempre state, ma solo di recente sono state «rispolverate», rinverdendo la tradizione di raggiungere a piedi i grandi santuari.

Succede così alla Basilica del Santo di Padova, succede così alla Basilica di San Francesco nel cuore dell’Umbria, dove i cammini che vi fanno tappa sono i più diversi. Sembra aver ragione il titolo della guida di Carla De Bernardi edita da Mursia (2011): Tutte le strade portano ad Assisi. Sì, perché districarsi tra i cammini francescani, in libreria, in internet e sul territorio, non è semplice. Si trovano le varianti più fantasiose e le più svariate titolazioni, magari per percorsi che si sovrappongono. Che ci siano più cammini che camminatori? Fortunatamente non è così. Da qualche anno i pellegrini, a piedi o in bicicletta, tra Emilia, Toscana, Lazio e Umbria, non mancano. È da loro che vogliamo partire, indicando alcuni percorsi possibili.
 
All’inizio fu Santiago
Parlando della riscoperta dei pellegrinaggi a piedi, non stupirà che la si prenda geograficamente larga, spingendoci verso la Spagna del Nord. Perché è sufficiente dire «Santo» per indicare Antonio da Padova allo stesso modo in cui se si parla di «Cammino» s’intende Santiago di Compostela. È lungo la strada che ogni anno porta alla tomba di san Giacomo moltitudini di pellegrini (oltre 192 mila nel solo 2012), che nasce l’idea di realizzare qualcosa di simile in Umbria. A confermarlo è Angela Maria Seracchioli, autrice della fortunata guida Di qui passò Francesco (Terre di mezzo), giunta ad aprile 2013 alla quinta edizione, disponibile anche in tedesco e inglese: «Mentre nel 2002 percorrevo la via spagnola, mi è tornato in mente Francesco, l’amico di sempre. Una volta rientrata, decisi di recarmi a piedi ad Assisi per ringraziare il mio “compagno di viaggio”. Camminando, mi tornavano alla mente le tante persone conosciute a Santiago: avrei voluto far conoscere loro il cuore dell’Italia e il cuore del suo cuore, l’amico antico».

Ecco l’idea di tracciare un percorso che collegasse i luoghi attraverso i quali, come suggerisce la guida, «passò Francesco» (www.diquipassofrancesco.it): si parte da nord, da La Verna (AR), dove il santo assisiate ricevette le stimmate; si devia poi per Cerbaiolo, dove soggiornò sant’Antonio, quindi si è a Montecasale, e giù giù, passando per Città di Castello e Gubbio, fino ad Assisi, in otto tappe. Ma non è la conclusione, perché il tracciato prosegue verso sud, sempre sulle orme di Francesco, con altre nove tappe che toccano Spello, Spoleto, l’incantevole Romita di Cesi, Greccio, Rieti e infine Poggio Bustone, per un totale di circa trecentocinquanta chilometri.

Ma volendo si può andare oltre. Infatti, da un paio d’anni al cammino è stata aggiunta un’appendice che fa continuare la discesa lungo lo Stivale: attraversando Abruzzo e Molise, in venticinque tappe si arriva fino a San Giovanni Rotondo e, infine, a Monte Sant’Angelo, la montagna sacra all’arcangelo Michele dove la tradizione vuole che anche san Francesco si sia recato. La guida da seguire, in questo caso, è Con le ali ai piedi (Terre di mezzo 2011).

Interpellata al telefono, Angela Seracchioli racconta: «Non ho numeri ufficiali di quanti hanno percorso il tracciato La Verna-Assisi-Valle reatina, ma dal 2006 sono state spedite a chi ne ha fatto richiesta 11.780 credenziali, e la guida cartacea ha venduto oltre 20 mila copie». A questo punto la nostra interlocutrice interrompe brevemente il colloquio telefonico: deve fornire indicazioni a un camminatore francese appena giunto ad Assisi. Angela, infatti, incontra di persona molti pellegrini che arrivano alla tomba di Francesco, aiutandoli a orientarsi. «Fino a qualche tempo fa li accoglievo all’ostello “La perfetta letizia”, nei pressi della Porziuncola.

Ora purtroppo questo luogo non esiste più: il sogno di noi dell’associazione “Amici del cammino Di qui passò Francesco” è riaprire un “rifugio per pellegrini” in un’altra casa nelle vicinanze. Abbiamo lanciato un appello internazionale per racimolare la quota necessaria. Noi ci speriamo». Tra i tanti incontri che serba nel cuore, Angela ne rivela uno: «Ho in mente un uomo che non andava in chiesa né aveva mai camminato. Partì, senza sapere bene perché. Arrivato all’ostello di Assisi, nel poco tempo che potei dedicargli riversò su di me le sue angosce: non gli piaceva il suo lavoro, si stava dividendo dalla moglie, la figlia soffriva di anoressia… Il giorno successivo ripartì e non ne seppi più nulla. Un mese dopo mi giunse una sua lettera. Scriveva: “Tu mi dicesti che i cammini lasciano una traccia, e che a volte se ne accorgono più gli altri che noi stessi. È andata così: sono tornato e mia moglie non si capacitava di come fossi diverso…”. In breve, la coppia si era ricomposta e voleva sposarsi in chiesa ad Assisi, perché erano sposati solo civilmente. Al contempo, la figlia aveva preso coscienza del suo problema e aveva deciso di farsi curare...».
 
Verso sud e verso nord
Da quanto detto finora, salta agli occhi una profonda differenza con Santiago. Infatti nei cammini francescani la meta principale, Assisi, non è l’arrivo, bensì una tappa, all’incirca quella di mezzo. Ciò è evidente prendendo in mano La Via di Francesco (www.viadifrancesco.it), guida curata da Paolo Giulietti e Gianluigi Bettin (San Paolo 2012) che disegna un tracciato pressoché analogo a quello consultabile su Di qui passò Francesco, e che fa tesoro, come si legge nella prefazione, «dell’itinerario delineato dalla Regione Umbria nel 2008, in collaborazione con l’Opera Romana Pellegrinaggi». Con Assisi come spartiacque, il libro presenta Il percorso del Nord (da La Verna, con una variante da Perugia) e Il percorso del Sud (da Greccio, con una variante da Terni). In Assisi è poi possibile richiedere, ad avvenuto pellegrinaggio, il Testimonium Viae Francisci (serve aver percorso almeno 75 chilometri a piedi o 150 in bicicletta).

Sempre a sud di Assisi vanno ricordate altre due iniziative. Una è il Cammino di Francesco (www.camminodifrancesco.it), che ha il suo cuore nei santuari francescani della Valle Santa reatina. L’altra invece ripercorre i luoghi di origine dei protomartiri francescani (www.camminoprotomartiri.it). I loro nomi (Berardo da Calvi, Pietro da San Gemini, Ottone da Stroncone, Accursio e Adiuto da Narni) non sono molto noti, ma sono legati alla storia del francescanesimo e a quella di sant’Antonio, perché fu grazie alla loro testimonianza in Portogallo prima e in Africa poi che il giovane Antonio decise di lasciare gli agostiniani per indossare il saio di Francesco. In occasione del 790esimo anniversario del martirio dei cinque, la diocesi di Terni-Narni-Amelia ha realizzato questo anello in sei tappe nel territorio ternano.

Sempre nel segno di sant’Antonio ci spostiamo invece a nord, ovvero in Romagna, all’eremo di Montepaolo (FC), dove il Santo fece vita ritirata prima di essere chiamato alla predicazione itinerante. In questo santuario si conclude il Lungo Cammino di sant’Antonio (www.ilcamminodisantantonio.it) proveniente dalla provincia di Padova, e qui riparte il Cammino di Assisi (www.camminodiassisi.it) che, attraversando le foreste casentinesi, raggiunge prima Camaldoli e quindi La Verna, scendendo poi fino ad Assisi. In questo modo le due grandi figure di Francesco e Antonio si ricongiungono, con quasi seicento chilometri a piedi.
 
I passi di Chiara e quelli della Marcia
Ma c’è un’altra grande figura francescana che non poteva mancare: santa Chiara. Anche lei ha un suo cammino, descritto in I passi e il silenzio. A piedi, sulle strade di Chiara d’Assisi (Porziuncola 2011), scritto da Francesco Gallo e Monica Cardarelli, che ci racconta: «Abbiamo unito i luoghi che la giovane santa percorse prima di giungere a San Damiano. Infatti si parte dalla casa paterna, ad Assisi; quindi si scende alla Porziuncola, dove avvenne il taglio dei capelli. Da lì Francesco accompagnò Chiara al monastero benedettino di San Paolo delle Abbadesse, a Bastia Umbra, dove la giovane rimase solo pochi giorni, trasferendosi poi nella chiesetta di Sant’Angelo in Panzo, alle pendici del Subasio, per giungere infine a San Damiano, dove Chiara visse per quarantadue anni». In totale sono ventiquattro chilometri «di cammino umano e spirituale» precisa Monica: «I siti toccati sono perlopiù noti, ma abbiamo scelto percorsi inusuali e alternativi per raggiungerli, immersi tra gli ulivi della campagna assisiate».

Del resto, arrivare ad Assisi a piedi è di per sé un modo alternativo per vivere l’incontro con i santi che hanno reso speciale questo lembo d’Italia. Lo sanno bene i frati minori, che da trentatré anni invitano i giovani alla Marcia francescana, un cammino di dieci giorni di cui i primi nella regione d’origine dei partecipanti, gli ultimi nei pressi di Assisi, per arrivare tutti insieme il 2 agosto alla Porziuncola, nel giorno della festa del perdono. «Saremo circa 1.300 marciatori provenienti da Italia, Austria e Croazia» spiega fra Francesco Piloni, responsabile della Marcia per l’Umbria. «Le tappe di avvicinamento ad Assisi, secondo il tema “Chi crede cammina”, saranno scandite dalle autopresentazioni che Gesù offre di se stesso nel Vangelo di Giovanni: “Io sono la vita”, “Io sono la via”, eccetera. In parallelo, proporremo ai giovani la domanda di Francesco: “Chi sei tu, Signore? E chi sono io?”. La meta è l’abbraccio del Padre alla Porziuncola, la chiesa dalle porte sempre aperte, come sempre aperta è la misericordia di Dio. Il fatto è che noi ci mettiamo in cammino per cercare, e camminando facciamo invece l’esperienza di essere cercati. Chi cerca è trovato. Quando Francesco andò da papa Onorio III per chiedere l’indulgenza della Porziuncola, il Pontefice gli chiese: “Per quanti anni?”. E il santo rispose: “Non domando anni, ma anime”. Ai ragazzi della marcia lo dico sempre: “Francesco aveva già in mente anche noi pellegrini del terzo millennio». Chi crede, davvero cammina.
 
 

L’intervista
Né vagabondi né turisti, ma pellegrini
 

 «Cominciare da se stessi, ma non finire con se stessi; prendersi come punto di partenza, ma non come meta; conoscersi, ma non preoccuparsi di sé». San Francesco d’Assisi non aveva certo letto Il cammino dell’uomo di Martin Buber (Qiqajon 1990), ma altrettanto certamente ha camminato «trascendendo» se stesso. Ne parla il manifesto del Festival Francescano 2013, redatto tra gli altri da fra Paolo Martinelli, cappuccino, preside dell’Istituto francescano di spiritualità all’Antonianum di Roma.

Msa. Che cosa significava camminare per san Francesco?
Martinelli. Nella sua esperienza e in quella dei francescani, camminare è segno dell’itineranza, cioè della vita come itinerario, con una meta e una destinazione: il mondo va attraversato, non perché negativo, ma perché non è il fine ultimo. Per certe filosofie l’universo stesso è negativo, ma non così in Francesco. Basti pensare al Cantico di frate Sole: l’esistenza terrena, per quanto segnata dal peccato, è voluta da Dio.

Attraversare significa non fermarsi.
Sì, non bloccarsi: l’assetto migliore per abitare il mondo è attraversarlo, vivendo tutte le circostanze dentro una prospettiva ultima. Il cammino è sempre sentito come anticipo del sapore della meta, dove le cose sono belle proprio perché portano altrove.

La meta perciò è oltre questa vita.
Decisamente. L’esistenza francescana ha un valore escatologico, che non significa automaticamente l’aldilà: ciò che viviamo ha un senso che va oltre l’immediato.

Lei ha citato l’aldilà: spesso è rappresentato come immobile e fisso. Nulla a che fare col «cammino» quindi…
Siamo eredi di una cultura che ha separato l’elemento storico dal soprannaturale, quindi anche l’aldilà è presentato come imponderabile, statico e astratto. Fosse così, sarebbe anche poco desiderabile… Invece sono proprio i santi a darci una percezione estremamente vitale e vivente di Dio, per cui il cammino che l’uomo percorre nell’esistenza in qualche modo anticipa l’esistenza in Dio, che è vita in sé. Dio è la massima profondità di tutto ciò che sperimentiamo nel mondo, proprio perché ne è l’origine e ne è il destino. L’idea stessa della trinità, di un Dio che è comunione, evento eterno di amore, ha una radicale attrattiva vitale. Crea il mondo come esuberanza di vita, come libertà che si partecipa.

Anche i cristiani sono accusati di «immobilismo». Di ogni cammino di pellegrinaggio si evidenzia che sì, lo percorrono i cristiani, ma poi anche le persone in ricerca, come se un cristiano non cercasse più nulla.
La realtà paradossalmente è proprio il contrario. Aver scoperto la risposta offerta da Dio fa capire ancora di più la domanda, ma non chiude affatto la partita, che è continuamente ridestata dall’incontro con il Signore. Sant’Agostino lo aveva capito: la ricerca dell’uomo nei confronti di Dio è continuamente aperta, perché Egli è infinito, non diventa mai un «concetto» da mettersi in tasca.

Il manifesto del Festival individua tre modi di camminare: da vagabondo, da turista e da pellegrino. Quali le differenze?
Il vagabondo è senza meta; il turista conosce la meta, ma non si lascia cambiare dal viaggio. Solo il pellegrino intercetta la traiettoria del desiderio profondo, restando fedele al cuore dell’uomo. A questa dimensione antropologica comune a tutti, il cristiano aggiunge un elemento: il pellegrinaggio dice il vero rapporto con Cristo, colui che devi sempre seguire e rincontrare.

Come coltivare uno spirito da pellegrini nella quotidianità?
Attraverso la povertà, che è custode dello spirito dell’itineranza. Povertà è camminare leggeri sul reale. L’alternativa è bloccarsi sulle cose e farne una falsa meta. Se ci avventiamo sulle cose, aspettandoci ciò che non possono darci, alla fine il cammino diventa pieno di delusioni.
  

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017