Tra le due guerre

01 Febbraio 2007 | di

          La guerra non risolve i problemi per i quali era scoppiata, alcuni anzi risultano acuiti, mentre se ne aprono di nuovi. La vecchia Europa esce dal conflitto profondamente lacerata e divisa e perde gran parte del suo prestigio internazionale, compresa la sua posizione di centro del mondo. Altre potenze extraeuropee, come Giappone e Stati Uniti, entrano con autorità nel gioco politico ed economico mondiale.

          Il lungo e tormentato dopoguerra, sia in Italia come in Europa, si trova ad affrontare nuove situazioni quali: l'irrompere delle masse e dei grandi partiti sulla scena politica; la crisi delle istituzioni e dei regimi liberali; le grandi difficoltà economiche a raggio mondiale; la nascita dei partiti totalitari (fascismo e nazismo) che prenderanno il potere in Italia e in Germania.

          Il vecchio stato liberale, diventato durante la guerra il motore dell'economia bellica, non riesce a gestire, come altri paesi del resto, il passaggio dall'economia militare all'economia di pace, causando grande disagio e miseria. Molte industrie, non debitamente adattate a produzioni diverse, rimangono ferme, per i reduci è difficile trovare lavoro. Aumenta così la disoccupazione e il prezzo di molti prodotti, mentre il malcontento aumenta e sfocia in scioperi, assalti di negozi, manifestazioni di protesta nelle fabbriche e nelle campagne.

          Di fronte al moltiplicarsi e all'acuirsi delle proteste, il governo Giolitti mantiene una posizione neutrale, non ricorre alla forza per sedare i conflitti, ma non si adopera con la dovuta energia e impegno per risolvere i problemi e finisce con lo scontentare tutti.

          Agrari e industriali pensano di difendersi da soli, mentre squadre d'azione scatenano un'ondata di violenza contro le Camere del lavoro, le sedi dei partiti socialista e comunista e i circoli cattolici. Poi Benito Mussolini trasforma le squadre d'azione nel Partito nazionale fascista e nelle elezioni del 1921 riesce a portare in parlamento 35 deputati. Giolitti si dimette, ma neppure i suoi successori, Bonomi e Facta, sono all'altezza della situazione. Mussolini, astuto politico e buon organizzatore, approfitta delle difficoltà e organizza prima una grande adunata di seguaci a Napoli (24 ottobre 1922) e qualche giorno dopo marcia su Roma, seguito da colonne di squadre fasciste provenienti da tutte le parti d'Italia, al comando di un quadrumvirato composto da Emilio De Bono, Italo Balbo, Cesare De Vecchi e Michele Bianchi.

            Inizia così l'era fascista, destinata a durare un ventennio.

          Inutile cercare nel "Messaggiero", diretto da padre Giorgio Spangaro dal 1919 al 1924, tracce di tanto travaglio. Fedele al proposito più volte ribadito, il bollettino si tiene lontano dalla politica. Non lo distoglie neppure il tentativo di don Luigi Sturzo di organizzare l'impegno politico dei cattolici creando nel 1921 il Partito popolare. Il bollettino continua a privilegiare un certo suo stile che un editoriale del gennaio 1926 riassume e ribadisce con significativa forza: "Anche per il "Messaggiero" comincia un anno nuovo: entra nel suo XXIX anno di vita. La sua vita passa inosservata e silenziosa. Non ama la réclame, non corre dietro alle follie che cessano e scompaiono ad ogni ora, ad ogni momento. Non ama le lotte clamorose, i chiassi mondani, le notizie stupefacenti. Vive la vita di anima. Ama il chiostro ed il sacrificio come i frati da cui esce. Non rumori vani, non polemiche. Vita claustrale nel più ampio senso della parola.

          "Non vi sembri strano questo mio modo di parlare all'aurora di questo nuovo anno di grazia che sta per incominciare alla nostra vita, alla nostra attività... Quante cose si sono mutate, quante vite si sono spente, quanti fati si sono svolti nelle vicende umane. Eppure egli è sempre come era agli inizi della sua esistenza, sempre immutato, sempre pieno di forza, di speranza, come allora che apriva gli occhi alla luce nella eterna primavera della perenne giovinezza di sant'Antonio di Padova.

          "Egli nasce nel convento, vive nel convento e parte come un sorridente missionario per portare la pace, e la parola di fede viva nelle case, nelle famiglie... In mezzo a questo dilagare di carta, che sembra voglia affogare la vita in un mare di interessi, di brutalità, di passioni sfrenate, di cupidigia e di discordia, esso passa silenzioso ed arriva alle vostre case, alle vostre cose, o venerati associati, e vi porta un parola semplice di pace e di conforto".

          Stabilizzatosi sulle 24 pagine, il "Messaggiero" non esce dal canovaccio di sempre: la vita del Santo, il suo insegnamento, il fenomeno della devozione estesa in tutto il mondo ma che ha il suo centro propulsore nello straordinario santuario padovano. Vi spiccano lunghi elenchi di grazie ricevute, alcune riferite in estrema sintesi, altre trascritte con notevole grazia e brio dai redattori della rivista, tra i quali spicca padre Colaiori. Accanto ad essi le liste, fittissime, di offerte per il pane dei poveri, che nella loro apparente aridità testimoniano la solidità di quel filo rosso di solidarietà dei poveri tra loro che sarà sempre una delle caratteristiche della rivista.

          Il canovaccio viene di tanto in tanto variato sotto l'incalzare di avvenimenti, soprattutto ricorrenze centenarie che invitano, nel ricordare il passato, a riflettere sul presente e ad aprirsi al futuro. Nel 1921 si celebrano il sesto centenario della morte di Dante, "l'altissimo poeta", onorato con una serie di dotti articoli di don Pietro Bertini, e il settimo della fondazione del Terz'Ordine francescano.

          L'anno successivo è il "Messaggiero" stesso a celebrare una felice ricorrenza, i suoi 25 anni di vita. Sono tempi brutti, oscure nubi ci sovrastano minacciose, osserva il direttore nel primo editoriale dell'anno. Tuttavia la ricorrenza non può passare senza lasciare traccia: qualche progetto bolle in pentola. Il direttore promette che si faranno tante cose, ma non le svela: "per ora le teniamo secrete perché, improvvisate, tornino doppiamente gradite". Il tutto è però condizionato dall'impegno dei lettori a procurare almeno un nuovo abbonato: occorrono soldi per finanziare le previste iniziative. La campagna riesce bene perché al termine di essa gli abbonati raggiungono quota 50mila.

          Ma nella rivista le novità non compaiono, se si eccettua la "pagina del fratino" apparsa in quell'anno (negli anni successivi diventerà un inserto di quattro pagine) dedicata agli aspiranti alla vita religiosa francescana. Le novità non riguardano la rivista stessa, ma una pubblicazione destinata ai fanciulli, la cui uscita viene annunciata nel numero di giugno. "L'idea del giornaletto pei fanciulli, dedicato a sant'Antonio, che a ricordo del 25° anno di vita del "Messaggiero", uscirà il prossimo agosto, nel giorno sacro al trionfo della Vergine e alla nascita del Santo, ha incontrato il favore unanime di tutti gli abbonati del "Messaggiero" e devoti del Santo". Nasce così il "Sant'Antonio e i fanciulli" che negli anni sessanta muterà il nome in "Messaggero dei ragazzi". L'accoglienza, stando alle lettere e alle nutrite liste di sottoscrittori, è davvero lusinghiera.

          Nel giugno del 1924 il capitolo dei francescani conventuali elegge alla direzione dell'Ordine, padre Alfonso Orlich, già direttore del "Messaggiero". In risposta alle felicitazioni espressegli dai confratelli il neoeletto scrive: "Ella sa bene quali vincoli di affetti mi leghino a cotesto periodico. Prima, per molti anni, come collaboratore, come direttore poi, gli diedi con giovanile entusiasmo, parte - e non la meno nobile - di me stesso. Non sarà vanità dire che perciò io l'amo". La lettera è indirizzata a padre Giorgio Montico, direttore del "Messaggiero".

          La pubblicazione del "S. Antonio e i fanciulli" introduce nel bollettino una più desta attenzione ai problemi dei giovani che a partire dal giugno del 1924 (fino al 1929 è direttore padre Domenico Bertolo, gli succederà per un solo anno padre Stanislao Bertolo) si concretizza in una rubrica dal titolo "Lettere ad un giovane sui punti principali della dottrina cristiana", scritte da monsignor A. Frassinetti, vicario generale di Modigliana. Le lettere offrono uno spaccato interessante sulla condizione giovanile di allora, soprattutto sul versante religioso.

          Poi intervengono altri eventi ad animare la vita del bollettino: l'Anno Santo del 1925; la conclusione del ciclo di affreschi sull'abside della basilica, condotto dal pittore bolognese Achille Casanova, per celebrare le glorie del Santo; l'anno successivo le celebrazione del settimo centenario della morte di Francesco d'Assisi, offrono l'occasione di rinverdire nella memoria dei lettori gli stimoli della spiritualità francescana. Ma anche di cominciare a parlare di un altro centenario non lontanissimo, quello della morte di sant'Antonio (1231).

          Indifferente alla politica, il bollettino propone a tutti i valori fondamentali, che dovrebbero animare qualsiasi attività che abbia di mira il bene spirituale e materiale dei cittadini. Non si sottrae perciò dal difendere, e con grinta, quei valori quando qualcuno li svilisce o offende.

          Si leggono in questa fase pagine grondanti indignazione e sarcasmo contro istituzioni ostili alla chiesa e alla religione come la massoneria, definita figlia di Satana, "serpente verde" che "continuò a strisciar cauto accanto ai Gabinetti di tutto il mondo, mercanteggiandone la protezione, e volendo nelle sue viscide spire strozzare, se era possibile, la libertà della Chiesa". La massoneria nel 1923 attraversa un periodo brutto: "Dopo quattro anni - scrive g. cat. - ecco che sulle spalle della megera piovono anche le manganellate fasciste: il fascismo, e gli va dato lode, avendo trovato nel suo nido abbondanti uova depositatevi dal solito zelante cucùlo, volendo aquilotti e non rettili, le ha schiacciate inesorabilmente, ed ha posto la setta al bando. Ora la massoneria passa giornate grigie: neanche il cencio vecchio del mentito patriotismo le serve più: la sua fronte di sgualdrina è mesta e rugosa. Morrà?" (1923, pagina 98).

          Ma il "Messaggiero" va giù pesante anche con il comunismo che in Russia stava facendo strame della religione, servendosi di ogni mezzo. "Parliamo - scrive ancora g. cat. - di una mastodontica, mostruosa arlecchinata, organizzata dalla gioventù rossa di Mosca, col compiacente permesso ed autorizzazione delle autorità bolsceviche (una sfilata di autocarri, il giorno di Natale, sui quali tutte le divinità, da Jeova a Gesù, da Budda a Maometto, erano esposte al ludibrio dei passanti)... Quei giovinastri di cattivo gusto, superlativamente stupidi, meritavano davvero le sculacciate... Le condizioni della Russia, dalla falce e dal martello - simboli sacri del lavoro, che in mano di irresponsabili si traducono in armi stroncatrici di ogni umana energia - sono note a tutti. Una volta i nostri pappagalli rossi, innamorati delle gesta dei santoni asiatici, ci dipingevano quel lembo di terra un Eden, affrancato da tutte le servitù, capace di tutte le audace ricostruttive. Ora quelle bubbole non trovano sul mercato un allocco di compratore, e sanno pure le telline che la Russia è un inferno, dominato e diretto da un pugno di criminaloidi...".

          Come si atteggia il "Messaggiero", diretto dal 1931 al 1937 da padre Giorgio Montico, nei confronti del regime fascista e della sua politica? C'è un certo allineamento sulle posizioni ufficiali, qua e là anche tracce di simpatia, ma non si lascia travolgere che raramente dalla retorica del regime. Ad esempio, nel marzo 1929 festeggia la firma dei Trattati del Laterano e il Concordato tra Stato italiano e Vaticano, che sanano la dolorosa ferita apertasi con la breccia di Porta Pia, lo fa con gioia per la riconciliazione avvenuta e riconoscenza e ammirazione per coloro che li hanno voluti: Pio XI, il Bianco Prigioniero, e Mussolini, il Duce.

          "È così grande questo avvenimento, che al suo confronto scompariscono come pallide luci crepuscolari tutte la alterne vicende della miserabile vita politica del mondo - commenta il direttore padre Domenico Bertolo -. Quello che è avvenuto l'11 febbraio di quest'anno di grazia, assurge alla grandiosità di un'epopea immortale. È un nuovo trionfo di Gesù sulla terra. È un segno dei tempi. Gli uomini sono stanchi degli uomini e di satana. Si sono accorti che invece di edificare distruggevano. Hanno cozzato contro la pietra angolare e sono rimasti sfracellati. Hanno lanciato i più crudeli insulti contro l'inerme Bianco Prigioniero della cattiveria umana; hanno gettato a piene mani il fango contro il Vicario di Cristo. Essi sono passati ed il fango è ricaduto sopra di loro". E più avanti: "Gli uomini hanno trovato un Duce. Egli vide le vie radiose per le quali l'Italia deve incamminarsi; il suo sguardo, come sguardo d'aquila, penetrò l'abisso iscandagliabile della Divina Provvidenza e indirizzò gli italiani per le vie di Dio".

          I Patti non pacificano del tutto gli animi. Al regime fascista, ad esempio, che vuole il controllo sull'educazione della gioventù, non piace l'Azione cattolica e quanto fa in campo educativo, la contrasta fino a scatenare nel maggio del 1931 squadracce di facinorosi che ne devastano le sedi e usano violenza contro le persone. Ma il "Messaggiero", forse perché in quell'anno occupato a celebrare i fasti del centenario antoniano, di quegli episodi di violenza non dà notizia.

          Il "Messaggiero", insomma, nei confronti del regime fascista non si espone troppo né con il sale della critica né con l'incenso dell'elogio. Tant'è vero che quando il Duce Benito Mussolini, il 27 luglio 1937, visiterà la basilica, sarà ricordato da una sola foto con scheletrica didascalia: "Il Duce in visita alla Basilica".

          Intanto il bollettino concentra le sue energie nella preparazione spirituale al settimo centenario della nascita di sant'Antonio, iniziata con una rubrica mensile "Nel giardino del Santo": il pensiero di sant'Antonio sulle virtù teologali e la sua vita a raffronto. Dopo il lungo confronto - osserva l'autore, fr. Nico (padre Domenico Bertolo) - "siamo arrivati a conchiudere che il suo pensiero è stato perfettamente la norma costante della sua vita".

          Nel 1930 il "Messaggiero" raggiunge le duecentomila copie: un bel traguardo, facilmente superabile, secondo i frati, per l'attenzione che richiamerà sulla basilica, sul bollettino, il centenario antoniano ormai alle porte. Per questo la rivista promuove un'intensa campagna di abbonamenti, promettendo ai lettori un ricco premio, "un bellissimo orologio... elegante, moderno e preciso" che "porta incastata nella cassa la medaglia di sant'Antonio in argento". Oggetto già in vendita al prezzo di 60 lire, tuttavia il "Messaggiero" lo dà in omaggio a chi procura 75 nuovi abbonamenti (per l'abbonamento non c'è una cifra: basta inviare un'offerta, è scritto, e chiedere l'invio del bollettino. Come termine di paragone citiamo "Sant'Antonio e i fanciulli" per il cui abbonamento si chiedono invece lire 3.

          Il centenario, dunque: la preparazione spirituale all'evento nel bollettino si accentua, e anche i progetti di iniziative per ricordare ai posteri il fatto. La redazione si attiva e sollecita la collaborazione dei lettori per un dono al Santo che consisterà in un "grande paramento festivo da usarsi nelle solennità", meraviglioso per la ricchezza del tessuto e lo splendore dell'arte, che porterà "intessuto l'oro della nostra riconoscenza, l'argento della nostra devozione al Santo. Ogni punto deve poter ridire una parola di grazie al Taumaturgo, deve essere un sospiro di fiduciosa invocazione dinanzi all'Arca benedetta di sant'Antonio".

          Tra gli altri ricordi da lasciare ai posteri, c'è il monumentale altare del Santissimo Sacramento, nella basilica del Santo, progettato dal Pogliaghi, e per la realizzazione del quale si chiedono offerte.

          Il 1931, dunque. Le novità non sono molte per un anno eccezionale, ma quelle poche sono significative. Anzitutto il "Messaggiero" diventa "Messaggero" dal numero di febbraio. Da gennaio invece prende il via una nuova rubrica nella quale il padre direttore si rivolge ai lettori per informarli sulle iniziative, progetti, che riguardano la vita del bollettino, soprattutto per sollecitarne la divulgazione. È un colloquio con i lettori che in seguito prenderà forma di dialogo nelle lettere al direttore, e sarà una delle caratteristiche più vivaci della rivista. Per pura curiosità citiamo uno di questi interventi (settembre 1931) nel quale il direttore si sfoga, e si diverte, fornendo un lungo elenco dei modi con cui i lettori scrivono nelle lettere il nome del bollettino: Mesaggiero, Mesagere, Menaggiero, Messacciero, Masocero, Messazziero e altri ancora...

          Per il resto l'anno delle celebrazioni non porta vistosi mutamenti grafici o di contenuti nel canovaccio del bollettino, se si eccettuano due controcopertine a quattro colori nel numero di giugno, recanti due belle immagini di sant'Antonio e della basilica molto gradite dai lettori. Non mancano ovviamente puntuali e documentate, anche fotograficamente, cronache degli avvenimenti religiosi, e civili che accompagnano con grande solennità il centenario: le solenni liturgie con affollata partecipazione di vescovi e prelati, i concerti (Il transito di sant'Antonio di padre Giacomo Gorlato e Il santo di padre Bernardino Rizzi), la prosecuzione degli affreschi del Casanova che in questo torno di tempo sono completati sui piloni e sulla cupola, l'acquisto di un nuovo organo corale...

          Nel 1931 ricompare un romanzo storico antoniano, L'innocente, già precedentemente pubblicato, di don R. Manfredi. La pubblicazione di romanzi o biografie di santi a puntate interessa in modo vistoso il bollettino in questi anni Trenta, tanto da occupare gran parte delle sue pagine. Accanto all'Innocente diluito in 40 puntate, compaiono via via La storia vera di un fratino di 15 anni fa, La vita di S. Francesco d'Assisi osservata e contemplata di P. Carlo Varotto, S. Margherita da Cortona di Alma Rizzi, B. Luca Belludi compagno del Santo di P. Amedeo, In cerca di oblio, romanzo storico del XV secolo... Nel settembre del 1935, anno di maggior utilizzo delle storie a puntate, troviamo contemporaneamente pubblicati: Francesco d'Assisi, Margherita da Cortona, Storia di un fratino, In cerca di oblio.

          Il valore letterario delle opere non è eccelso, una loro funzione culturale però la svolgono: in un periodo in cui l'accesso alla lettura non era facilissimo, mentre facilissima era la ricaduta nell'analfabetismo, esse assieme al "Messaggero" hanno costituito spesso le uniche possibilità di leggere qualcosa, di mantenere desto l'interesse culturale, facilmente soffocato dalle necessità della vita, che erano assillanti.

          In un editoriale già citato del gennaio del 1926, il direttore sottolineava tra le particolarità del "Messaggiero", di nascere nel convento e di vivere nel convento, quindi di non poter dimenticare quello che tra le mura dei conventi avviene. Nel decennio 1930-1940, più che in altri periodi, trovano ampio spazio e dovuto risalto ai capitoli provinciali e generali dei frati, profili dei religiosi assurti a incarichi importanti e di quelli defunti, il ritorno nei conventi dai quali erano stati sfrattati dalle soppressioni, quella napoleonica prima, e quella del regno italico poi: ai Frari di Venezia, ad esempio, a Milano, a Treviso. E poi la vita dei fratini nei collegi dove si preparano a diventare religiosi, e le vicende, spesso straordinarie e avventurose, dei missionari, con particolare sottolineature di quelle della Cina, paese ancora misterioso e lontano.

          Insomma, la vita delle comunità dei religiosi conventuali si mescola con quella dei lettori narrata nelle lettere, nei tributi di riconoscenza, per fare dei devoti del Santo una sola grande famiglia: un orizzonte ancor oggi perseguito, anche se la vita e le vicende delle comunità religiose sono passate in secondo ordine, sostituite dagli avvenimenti, dalle problematiche che coinvolgono l'intera chiesa e il mondo, allargando a dismisura i confini della famiglia antoniana.

          Verso la fine del decennio il bollettino ha già raggiunto le 265mila copie. Nelle sue pagine, ridotte a 24 pagine per difficoltà economiche, ha vasta eco la guerra civile di Spagna che coinvolge le truppe del generale Francisco Franco, appoggiate da Germania e Italia, e quelle del Fronte popolare, composto da comunisti, socialisti e anarchici, sostenuti invece dalla Russia, al governo per avere vinto le elezioni.

          Per il "Messaggero", diretto dal 1937 al 1943 da padre Placido Cortese, la chiave di lettura dei tragici avvenimenti, che hanno avuto un precedente nella guerra civile del Messico, è chiara: "Ormai - scrive il direttore nell'editoriale dell'aprile del 1937 - dopo tutto quello che fu operato in Spagna e nel Messico, non c'è più da dubitare: la lotta del comunismo è una lotta di religione: è Mosca che vuole abbattere la sovrumana potenza di Roma, quella Roma onde Cristo è Romano. Follia... Il Pontefice dalla rocca di Pietro alza forte - benché con voce stanca e affievolita da lunga e assidua fatica - il grido di condanna: il Comunismo è distruzione, è negazione del vero progresso, è apostasia, è ribellione a Dio". Quindi il bollettino si schiera "Con Roma, centro di civiltà a molte generazioni; contro Mosca, centro di disordine a una generazione malata".

          Di fatto l'esercito del Fronte popolare infierisce con particolare crudeltà contro la chiesa cattolica spagnola e i suoi membri. Tra i primi a cadere vittime della brutalità dei comunisti ci sono alcuni confratelli dei frati della basilica. La loro tragica fine è narrata in un servizio dell'aprile 1937: "...In questi giorni abbiamo appreso la triste sorte dei nostri confratelli Frati minori conventuali del convento di Granollers, nei pressi di Barcellona. Vi erano in tale convento 9 sacerdoti, 5 fratelli laici, 19 fratini. Il convento fu bruciato il 20 luglio dello scorso anno 1936, i banchi, i confessionali, i candelieri e le altre cose del tempio furono portate in piazza dai giovani comunisti e lì tutto fu divorato dal fuoco. Anche il miracoloso Crocifisso che veniva portato in processione il Venerdì santo fu fatto a pezzi e bruciato. Il padre Dionisio Vicente, già vecchio e quasi cieco, erasi ricoverato all'ospedale; si sperava che la sua vecchiaia lo avrebbe salvato dalla caccia dei feroci lupi bolscevichi. Ma questi demoniaci appena lo presero, gli fecero fare un lungo cammino e quando giunsero al cimitero, lo trucidarono a fucilate; il P. Modesto Vegas e fra Francesco Remon... ebbero la stessa sorte...". Per la cronaca, furono trucidati anche il padre Alfonso Lopez, i fratelli laici Giuseppe Coll e fra Antonio a S. José...

          La guerra civile spagnola viene ricordata anche in seguito, soprattutto nelle lettere dei confratelli. Drammaticamente significativa quella scritta dal Superiore del convento dei minori conventuali di Barcellona, che fa il resoconto di una settimana di fuoco nel capoluogo catalano, dal 26 luglio ai primi di agosto, durante la quale venne incendiato il convento di Granollers assieme a 500 fabbriche, 48 chiese, conventi e monasteri...

          Per questo, a guerra conclusa (vittoria dei franchisti sul Fronte popolare), il "Messaggero" dà ampio rilievo alla visita dei rappresentanti dei vincitori al neo eletto Papa Pio XII, e alle parole a loro rivolte dal pontefice che li ha salutati come "i difensori pazienti, tenaci e leali della Fede e della cultura della vostra patria... avete saputo sacrificarvi fino all'eroismo per la difesa dei diritti inalienabili di Dio e della Religione".

          Oggi si dice che la guerra in Spagna era stata una specie di prova generale del secondo conflitto mondiale. Allora lo si intuì solo. Di fatto il 1° settembre 1939 Hitler dava ordine alla Wermacht di invadere la Polonia: è l'inizio della guerra.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017