Tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare

Ogni cambiamento comincia col confutare questa credenza, che inibisce l’azione e la possibilità di fare qualcosa di diverso e di più utile, generando un pensiero alternativo: tra il dire e il fare c’è di mezzo non il mare, ma il cominciare.
27 Febbraio 2024 | di

«Mentre si aspetta di vivere, la vita passa» (Dum differtur, vita transcurrit), scrive acutamente Seneca all’amico Lucilio (Lettere a Lucilio I,1). Qualcuno si potrebbe chiedere, allora: che cosa aspettiamo a fare una vita che sentiamo davvero nostra e nella quale ci riconosciamo? Che cosa ci impedisce di realizzare i nostri sogni e di vivere la nostra vita da protagonisti invece che da comparse anonime? Spesso l’ostacolo si cela nei meandri sfuggenti e non facilmente afferrabili della nostra mente. Siamo davvero quello che pensiamo, come affermava il Buddha? Quanto influiscono le nostre convinzioni profonde, talvolta strutturate come veri e propri dogmi mentali, sui cambiamenti che desideriamo fare e che non riusciamo ad attuare? Finché nella nostra mente prevale il pensiero che «tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare», lo scarto tra l’intenzione e l’attuazione, tra il desiderio e la sua soddisfazione, rimane incolmabile. Per questo è importante lavorare sui propri pensieri e sulle proprie convinzioni radicate, perché sono elementi indispensabili per la costruzione di una vita serena. 

Gli ostacoli più difficili da superare sono nella nostra mente: finché pensiamo che una cosa sia impossibile da realizzare, lo sarà. Poche cose sono così efficaci come quelle credute in maniera rigida e dogmatica.
Tante volte mi sono chiesto, nel mio lavoro di accompagnamento delle persone, che cosa ostacoli più frequentemente un cambiamento desiderato. Quasi sempre emerge, seppure in maniera non sempre e non subito consapevole, che «tanto è tutto inutile» e che «non c’è niente da fare», perché «nessuno può far niente per me». Insomma, che tra il dire e il fare… c’è un abisso incolmabile. E questa convinzione radicata paralizza il cambiamento, perché inibisce l’azione e la possibilità di fare qualcosa di nuovo, di diverso e di più utile. Ogni reale ed efficace cambiamento comincia dal confutare questa credenza e dalla capacità di generare delle alternative: e se tra il dire e il fare non ci fosse il mare, ma il cominciare? 

Le convinzioni limitano la visione del mondo oppure la ampliano; se nelle difficoltà si infettano i pensieri, tutta la vita si infetta, perché i pensieri, le emozioni e i comportamenti interagiscono e si influenzano reciprocamente. Martin Seligman, uno dei pionieri della «psicologia positiva», una disciplina recente che si interessa al funzionamento umano ottimale, ci ha aiutato a comprendere i meccanismi cognitivi che stanno alla base della depressione e anche dell’ottimismo. Alla radice della depressione si riscontrano meccanismi cognitivi, cioè modi di pensare infettati da virus mentali che conducono a una forma di impotenza che instilla nella mente la sensazione di non potercela fare, di non avere vie d’uscita, e porta quindi alla paralisi di ogni possibile cambiamento. Il pessimista pianifica il peggio, pensa a quel che potrebbe andare storto e poi lo applica alla perfezione. Il pessimista vede sempre e solo il mare, tra il dire e il fare, e si sdraia più o meno comodamente nella poltrona della propria mente. E l’ottimismo allora che cos’è? Non è certo una visione ingenua che banalizza le difficoltà o minimizza il dolore; è un modo di vedere la vita che non ne sottovaluta le asprezze. È aprire la mente a nuove possibilità e prospettive e cominciare a muoversi nella direzione della luce, alla fine del tunnel. L’ottimismo non è focalizzarsi soltanto sul bicchiere mezzo pieno, ma chiedersi che fine hanno fatto gli altri bicchieri, perché non c’è un solo bicchiere nella vita: ci sono sempre delle alternative e un altro modo di vedere le cose. 

C’è anche un altro aspetto importante a cui dovremmo fare più attenzione: come interpreti il bicchiere mezzo vuoto? Come reagisci a un insuccesso, a un fallimento, a una crisi? Ti deprimi, ti butti giù al punto che ti lasci cadere le braccia? Che cosa ti dici quando ti accade qualcosa che non ti aspettavi: ti chiudi in te stesso e cominci a lamentarti perché nessuno ti capisce? (Cfr. S. Olianti, Scegli di vivere. Cambiamento e gusto della vita, Emp, 2017, pp. 78-81). Oppure provi a generare delle alternative e dei pensieri potenzianti? Se vuoi rendere migliore la tua vita, devi prima rendere migliori i tuoi pensieri su di essa e su te stesso. Le parole che ci diciamo hanno un grande peso, ma non basta, perché le intenzioni non producono risultati, le azioni sì! Puoi diventare molto consapevole e ristagnare nella situazione che ti ha paralizzato; c’è una grande differenza tra conoscenza e applicazione della conoscenza! Bisogna rinsaldare la fiducia che la vita può sempre rifiorire, anche nella desolazione dell’inverno; come ci ricorda il poeta Gibran: «Se l’inverno dicesse: ho la primavera nel cuore, chi gli crederebbe?». Coraggio, dunque, riprendiamo il cammino pieni di speranza, con la certezza interiore che tra il dire e il fare c’è sempre il cominciare. E quando si cade, rialziamoci in fretta e ricominciamo a credere nella primavera e a gustare la gioia di vivere.

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Data di aggiornamento: 27 Febbraio 2024

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