Terra Santa: preparare la pace, nonostante la guerra

Intervista a Yehuda Stolov, fondatore dell’Interfaith Encounter Associacion, un’associazione interreligiosa che da 22 anni costruisce ponti tra i popoli della Terra Santa.
16 Febbraio 2024 | di

Tessere la pace in una terra divisa, instabile, contesa da oltre 75 anni come la Terra Santa, richiede perseveranza, libertà di visione, capacità di vedere un futuro migliore per tutti i popoli coinvolti. Questa missione e questa visione sono da oltre 22 anni il cuore dell’Interfaith Encounter Association, un’associazione interreligiosa e interculturale, nata nel 2001, al tempo della seconda Intifada. L’associazione attraverso gruppi misti in Israele e nei territori palestinesi e grazie a un metodo consolidato riesce non solo a far comunicare cristiani, musulmani ed ebrei ma a creare tra di loro profondi legami umani, vere e proprie amicizie, nonostante le differenze e, in un certo senso, proprio grazie a esse. Su questi 22 anni di paziente tessitura si sono abbattuti l’attacco di Hamas a Israele del 7 ottobre 2023 e la guerra conseguente di Israele contro Hamas. Yehuda Stolov è il fondatore e l’attuale direttore dell’Interfaith Encounter Association, nessuno più di lui può testimoniare lo stato d’animo dei popoli coinvolti nel conflitto e dove poggiare la speranza per il futuro della Terra Santa.

«Quando la guerra è scoppiata - racconta Yehuda Stolov - eravamo tutti sotto shock e molti dei nostri incontri sono stati cancellati. Tuttavia due gruppi non solo hanno continuato gli incontri ma li hanno intensificati. Il primo gruppo era quello delle Nazioni Unite dei teenager, che ha preso a incontrarsi tutti i giorni per sostenersi l’un l’altro ma anche per elaborare il loro processo di pace. L’altro era un gruppo di donne nel deserto del Negev, dove le partecipanti ebree hanno continuato ad aiutare le donne beduine nelle loro necessità più urgenti. Più in generale da subito l’associazione ha preso contatto con i coordinatori, spronandoli a riprendere le attività, fedeli alla regola che non dobbiamo mai permettere agli eventi contingenti, per quanto gravi siano, di distoglierci dal nostro obiettivo di lungo termine, che è quello di costruire un futuro migliore, di mutua comprensione , rispetto e cooperazione. Non dobbiamo lasciare che il passato s’innesti nel presente. Le persone trovano molta consolazione in questo lavoro fatto insieme, nonostante la guerra e il dolore. Ad oggi 25 gruppi si stanno incontrando e solo 1 si è sciolto per divergenze sull’interpretazione dei fatti del 7 ottobre».

Perché ha fondato un’associazione che ha alla base l’incontro interreligioso?

Essendo cresciuto nel nord di Tel Aviv, non avevo mai avuto alcuna interazione significativa con qualcuno che non fosse ebreo. Vivevo di pregiudizi negativi. I cristiani erano quelli dell’Inquisizione e delle Crociate e i musulmani quelli delle guerre, descritte dai media. Qualcosa è cambiato quando, studiando alla Yeshiva (accademia ebraica), ho imparato che l’umanità è interconnessa e che l’ebraismo ha a cuore tutte le persone. Ho iniziato a interessarmi alle altre religioni, finché un giorno sono capitato in un gruppo di dialogo interreligioso. È stata una rivelazione. Ho iniziato a confrontarmi con un gli studenti di teologia cristiana. La loro ricerca di Dio era autentica, così come lo era la loro difficoltà di vivere la propria fede in un contesto moderno. Nel tempo ho capito che queste conversazioni profonde avevano trasformato i miei pregiudizi in comprensione e apprezzamento. E ho pensato che queste interazioni potessero essere usate per costruire ponti tra le genti della Terra Santa.

Che cosa può unire al di là delle differenze e del dolore di questi giorni?

La prima motivazione nel momento attuale è non lasciare che ciò che sta accadendo oggi, frutto dei danni del passato, possa pregiudicare il futuro. In via più generale è importante non pretendere di trovare un accordo su temi divisivi come la teologia, la morale, la politica o altri argomenti scottanti. La trasformazione avviene su un altro piano e accade quando la gente si guarda negli occhi e comprende che si può rimanere amici pur essendo in disaccordo. Il contesto della Terra Santa aiuta questa comprensione, perché chiunque di noi, ebreo, cristiano, musulmano o druso che sia, sa bene che continueremo a vivere insieme in questo fazzoletto di terra ed è nell’interesse di tutti farlo in modo pacifico. La parte più difficile di questo processo di trasformazione è convincere le persone a stare insieme nella stessa stanza. Quando ciò accade, l’umano comune che si percepisce oltre le differenze, fa in modo che le persone entrino in contatto subito e facilmente.

Perché proprio la religione come ponte tra le culture?

Un incontro interreligioso è un dialogo profondo, nel quale i partecipanti si scambiano idee su argomenti che per loro hanno un grande significato esistenziale, e così facendo arrivano a conoscersi in modo più intimo gli uni con gli altri. Il dialogo, inoltre, rivela le similitudini tra le culture e nello stesso tempo permette alle persone di condividere le proprie differenze in maniera costruttiva e rispettosa, senza porsi sulla difensiva o sentirsi minacciato. Oserei dire che l’incontro interreligioso offre alle persone comuni la possibilità di dare un personale contributo alla costruzione della pace, senza dipendere dai rispettivi leader politici.

Che cosa può fare la gente comune di altri Paesi per aiutare il processo di pace in Terra Santa?

Innanzitutto smettere di pensare che simpatizzare con una delle due parti significhi essere contro l’altra. È importante rendersi conto che entrambe i popoli vivono nello stesso piccolo pezzo di terra e devono imparare a convivere, convivenza, tra l’altro, che nelle diverse tradizioni religiose si è spesso verificata. Altra cosa importante è sostenere tutti quei gruppi che all’interno delle zone divise costruiscono ponti tra le comunità, come l’Interfaith Encounter Association. Lo si può fare direttamente, tramite una donazione, o indirettamente, costruendo gruppi paralleli nei propri contesti. Immaginate se invece di aggressive dimostrazioni contro Israele o contro i palestinesi, avessimo visto gruppi misti, che dimostravano insieme, pacificamente, per sostenere la coesistenza tra i popoli.

Per un approfondimento sull’efficacia della nonviolenza consulta l’articolo pubblicato nel numero di gennaio 2024 del «Messaggero di sant'Antonio».

Data di aggiornamento: 16 Febbraio 2024
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