In televisione i santi al cinema i briganti

In tv trionfa la fiction religiosa, al cinema quella trasgressiva. Che cosa si nasconde dietro questa schizofrenia?
10 Maggio 2003 | di

In tv il filone religioso va a gonfie vele. Lo conferma l`€™esito di Maria Goretti di Giulio Base (lo stesso regista del Padre Pio prodotto dalla Rai e interpretato da Michele Placido): 35 per cento di share e 10 milioni di spettatori, vale a dire uno degli ascolti più alti per i film-tv in una sola puntata. E i precedenti non sono da meno: Papa Giovanni con Ed Asner e Massimo Ghini, produzione Rai, è stato visto da oltre 14 milioni di spettatori; i due Padre Pio hanno fatto registrare un ascolto fra gli 11 e i 12 milioni (con puntate da 14 milioni e share da 51 per cento per lo sceneggiato della Rai con Michele Placido); San Giovanni: l`€™Apocalisse, diretto da Raffaele Mertes e interpretato da Richard Harris, ha superato gli 8 milioni e ha sfiorato il 30 per cento di share, nonostante il giudizio sfavorevole di molti biblisti. E altrettanto bene è andato il Francesco con Raoul Bova trasmesso su Canale 5: 8 milioni di spettatori con quasi il 29 per cento di share. Numeri e dati che confermano il trionfo del «genere» su tutta la linea.
Tanta «grazia di Dio» ha comportato una corsa al sacro senza precedenti, con Rai e Mediaset che fanno a gara per mettere in cantiere miniserie a sfondo religioso, i cui protagonisti sono papa Wojtyla, don Bosco, padre Kolbe, Madre Teresa di Calcutta e santa Rita da Cascia.
Sociologi e analisti del costume si interrogano su questo bisogno del sacro che, nonostante una strisciante e progressivasecolarizzazione confermata dal calo dei matrimoni religiosi, trova inoppugnabile prova in questa verifica, che mette a confronto proposte mediatiche e consumi popolari. Un bisogno del sacro che resiste anche a opere «prive di qualsiasi tensione estetica... e dunque etica», come ha scritto un critico paludato che va per la maggiore. Ma, e questa è la voce di un altro critico, queste opere sono «gradite soprattutto alle anime semplici e a coloro che hanno la fortuna di saper decantare il superfluo per giungere all`€™essenziale».

Ritorno a Nietzsche

Un`€™altra spiegazione di questo bisogno del sacro, che trova in tv la sua espressione più tangibile, potrebbe risiedere in un inconscio desiderio di pace, di serenità  e di salvezza in momenti di forte tensione internazionale, ma anche collegarsi a certi punti di riferimento che infondono sicurezza e che manifestano una linea di tendenza contrapposta all`€™altra faccia dell`€™immaginario collettivo: quella di un cinema che cerca sempre più le vie della trasgressione e del sensazionalismo a effetto. Questione non di oggi, ma vecchia come il mondo. Fu Nietzsche a individuare queste due anime nella Grecia antica, allora epicentro del mondo culturale, ovvero nella contrapposizione fra lo spirito dionisiaco (espressione del disordine, celebrato da Euripide nelle Baccanti) e quello dei filosofi (che, al contrario, indicavano le vie dell`€™ordine e della razionalità ). Differenza evidenziata oggi da questo contrasto fra grande e piccolo schermo: da una parte, Poco più di un anno fa, il film di Marco Filiberti dedicato a un pornodivo gay, e dall`€™altra, Maria Goretti, la piccola santa della purezza.

Raidue padana a rischio bancarotta

L`€™hanno chiamata «tv allo zafferano». È il progetto di una Raidue padana prospettata dal trio Baldassarre, Albertoni, Saccà  (già  presidente, consigliere d`€™amministrazione e direttore generale del vertice di viale Mazzini) e mai accantonato.
Anche la tv ha la sua «devolution» e il video federalista bussa alle porte. L`€™idea in sé non dovrebbe sollevare eccezioni o perplessità : in un Paese dove il regionalismo è sancito dalla Costituzione, e dove il federalismo è diventato una scelta politica, che nelle linee generali ha incontrato il consenso di tutti gli schieramenti, non si vede perché la centralizzazione del medium televisivo dovrebbe sopravvivere e procedere controcorrente rispetto al resto. Ma la cosa assume prospettive diverse se si fanno due conti. Spostare Raidue a Milano significherebbe, innanzitutto, dotare la nuova sede di teatri in grado di ospitare le riprese e le lavorazioni dei programmi. E questi teatri, a Milano, non ci sono. Si potrebbero acquistare i padiglioni della Fiera (una tombola), ma in più bisognerebbe trasformarli alla bisogna (altra tombola). E anche se, ammesso e non concesso, la Rai vincesse al Totocalcio e all`€™Enalotto in una sola botta, l`€™improvvisa dotazione di un tale patrimonio immobiliare e tecnico non sarebbe a costo zero, ma triplicherebbe le spese per collegamenti, viaggi, ospitalità , diarie, indennità  varie di tutto il personale (non solo i dipendenti Rai, ma artisti, ospiti, esperti e via dicendo) costretto a spostarsi abitualmente da Roma a Milano. Difficile, dunque, che un problema del genere possa trovare priorità  rispetto a tanti altri che si accumulano negli ordini del giorno da affrontare e che, ove ciò avvenisse, possa trovare soluzione con un Consiglio d`€™amministrazione della Rai costretto a continui equilibrismi per far quadrare il bilancio dell`€™azienda. Anche i più esperti amministratori finirebbero a gambe all`€™aria di fronte a un problema del genere. Più volte sconsigliato, inoltre, da Stefano Munafò, l`€™ultimo direttore di Raifiction, che tempo fa aveva già  avuto un`€™esperienza di questo tipo. Con quali risultati? Un fallimento, perché ci si avvide subito che si stavano facendo le nozze con i fichi secchi. Frenata improvvisa e rapida marcia indietro.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017