Speranza che soffia nelle vele della vita

Agli inizi di novembre, la festa di tutti i santi e la commemorazione di tutti i fedeli defunti rimettono a fuoco la mèta di ogni vita cristiana.
24 Ottobre 2006 | di

Novembre è un mese mesto e misterioso. Le giornate si fanno brevi e ce-dono presto il passo alle ombre della sera, mentre nei campi – dalle mie parti – sbuffi di nebbia si alzano dai fossi e rendono il paesaggio quasi irreale. Dopo i fichi e le castagne arriva il vino novello, che rende più allegra la compagnia e ingrossa le parole, e, dopo il caldo umido che a volte si trascina anche fino a ottobre inoltrato, tutto in un momento viene il freddo. I bambini hanno preso il ritmo della scuola, e gli adulti si spendono nel lavoro. Nelle campagne si porta a termine la semina, e i contadini fanno auspici per un’abbondanza affidata alla nuova stagione e – almeno una volta – alla benedizione di Dio.
È in questo clima che vengono a cadere due feste – il primo e il secondo giorno del mese – che i cristiani vivono in profonda unità, senza troppo sottilizzare sulla specificità di ognuna. Tutti i santi e, subito dopo, i defunti, per cui l’esultanza per la mèta raggiunta e la prospettiva di una definitiva comunione con Dio dalle dimensioni inimmaginabili, si uniscono al pensiero di una vita fugace, nella quale è facile perdersi, e che si chiude con il doloroso passaggio della morte, un evento che è «fine» e insieme, ma più difficile da cogliere, «compimento».
«Apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani» (Ap 7,9). La contabilità della santità è difficile, per non dire umanamente impossibile, poiché intorno all’Agnello – immagine di Gesù trionfatore, che ha attraversato la passione e ne porta i segni gloriosi – si accalca una moltitudine di eletti. A prima vista sembra che questi provengano unicamente dalle tribù d’Israele, ma subito si capisce che la loro origine è da ogni dove. Ciò che li accomuna, precisa più avanti il testo dell’Apocalisse, è aver testimoniato la fede in mezzo alla grande tribolazione, vale a dire nel bel mezzo della persecuzione violenta sferrata dal potere di Roma contro i cristiani. Difficile trovare parole che esprimano meglio la perenne identità e attualità della Chiesa: nella prova, quando è messa alle strette, essa dà il meglio di sé, producendo santi, martiri e confessori.
C’è un filo rosso di testimonianza, fino allo spargimento del sangue in alcuni casi, ma il più delle volte incruenta (quotidiana e invisibile, e però non per questo meno autentica), che attraversa i due millenni di cristianesimo che ormai ci troviamo alla spalle. Chi oggi è cristiano sa bene che questo filo rosso non ha finito la sua corsa, e che anche ai nostri giorni è indicatore sicuro di santità.
La commemorazione dei fedeli defunti, il 2 novembre, prende piede già dal pomeriggio del giorno prima, quando ci si reca a visitare i cimiteri per riempirli di fiori, di piccole luci che accendono i ricordi e ci fanno vedere la vita in tutta la sua profondità.
Per chi è pacificato vengono a galla sentimenti di gratitudine, e si pensa a quel lungo viaggio che ha radici molto lontane e avrà termine solo in un desiderato (e un po’ temuto) abbraccio finale, dopo il salto della morte. Per tutti, in ogni caso, le domande restano quelle di sempre, inevitabili e dirompenti. Non a caso il documento conciliare Gaudium et spes, nel leggere la complessità della situazione dell’uomo contemporaneo, mette a fuoco il problema dei problemi, affermando che «in faccia alla morte l’enigma della condizione umana raggiunge il culmine. L’uomo non è tormentato solo dalla sofferenza e dalla decadenza progressiva del corpo, ma anche e ancor più dal timore di una distruzione definitiva» (n. 18). Da queste inquietudini si leva la speranza cristiana, che riempie le vele della vita e a tutti sussurra: la mèta è in Dio.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017