San Giuseppe, l’«antimacho»

Giuseppe, cui il Papa ha voluto fosse dedicato pastoralmente l’anno in corso, è maschio in un modo che col maschilismo non c’entra niente.
22 Ottobre 2021 | di

Papa Francesco, con una di quelle mosse pastorali che durante il suo papato ci hanno spesso spiazzato, ha dedicato l’anno in corso alla figura di san Giuseppe, invitando a guardare a lui anche per ridefinire il concetto di maschilità. Nel preteso ritorno ai ruoli di genere tradizionali che sta vivendo il nostro Paese, per violare i quali ancora muore una donna ogni tre giorni, l’invito suona tutt’altro che scontato. La maschilità patriarcale si fonda infatti su una sostanziale vocazione al «perché», mentre la femminilità, per dirsi tale, non può sottrarsi all’ineludibile ricerca di un «per chi».

Nel sistema patriarcale l’uomo viene validato in base a cosa fa, agli scopi che persegue, alle scoperte e alle imprese portate a termine o, in assenza di cose compiute, anche in ragione dell’orizzonte desiderato. La donna è invece per definizione una creatura dominata dalla propria natura intima e per questo è raccontata in base a chi ama, alle relazioni che coltiva, agli affetti e ai desideri che suscita e alla sua minore o maggiore concentrazione sulla dimensione familiare, che parte dalla cura domestica e culmina nella maternità. Su come le donne stiano ridefinendo il loro ruolo in questi decenni c’è molta letteratura. Molta meno è la riflessione su come possano invece farlo gli uomini, ma quelli che volessero intraprendere la strada verso una nuova consapevolezza, difficilmente troverebbero figura migliore di Giuseppe di Nazareth per ispirarsi.

Lo sposo di Maria incarna la negazione di ogni espressione di maschilità tossica e le sue scelte di padre e di marito sono leggibili solo con categorie antitetiche a quelle previste dalla culturale patriarcale. Non è un caso che Giuseppe sia il santo più bullizzato della storia della cristianità nelle battute popolari, perché gli capita quello che nessun fidanzato vorrebbe mai: scoprire che la tua promessa sposa aspetta un figlio e il padre non sei tu. Secondo il ruolo di genere assegnato culturalmente al maschio, Giuseppe appare volgarmente un cornuto, un uomo tradito nella sua legittima aspettativa di esclusiva fisica sulla proprietà affettiva della moglie. Poco importa che il rivale sia lo Spirito Santo, anzi l’incolmabile dislivello di sostanza tra l’uomo e Dio è un elemento che rende lo scorno eterno e insanabile.

In quella battaglia per il ruolo accanto a Maria, Giuseppe per i criteri maschilisti risulterà perdente in modo non recuperabile, perché per lui, semplice essere umano, contro la divinità non ci sarà mai partita. Il secondo dato di rivoluzione è che Maria nella dottrina cristiana viene dichiarata vergine in modo permanente, cioè prima, durante e dopo il parto. Giuseppe è stato di conseguenza narrato come sposo di facciata, un uomo senza istinti virili.

L’arte cercò di mettere rimedio a questa pur santa vergogna ricorrendo all’estetica accomodante degli apocrifi, sempre puntuali nel cercare di smussare agli occhi del popolo lo scandalo dei Vangeli canonici, ed è così che nasce il falso immaginario di un Giuseppe senile, non tanto sposo quanto tutore di una Maria giovanissima, talmente vecchio al suo fianco da sottintendere di aver raggiunto quel po’ di pace dei sensi che potesse rendere digeribile alla sensibilità popolare la sua altrimenti inspiegabile rinuncia sessuale.

C’è un terzo passaggio che nella storia del falegname di Nazareth rompe lo schema comportamentale del maschile ed è la totale assenza dell’esercizio dell’autorità paterna patriarcale nell’educazione di Gesù, che pure qualcosa di indisciplinato nell’infanzia lo combina. La sua scomparsa e il conseguente ritrovamento tra i dottori nel Tempio vede Giuseppe silenzioso e in alcun modo punitivo, a dispetto delle parole durissime del Cristo ragazzino, che per dirimere le preoccupazioni della madre apostrofa «Padre mio» qualcuno che evidentemente non è lui. Date queste premesse, non stupisce che la devozione per il santo Giuseppe tra gli uomini abbia goduto di così poca fortuna.

Il problema insanabile che il patriarcato ha con Giuseppe è che è difficile riconoscere in lui qualunque forma di potere nel senso dominante del termine. Non comanda sulla moglie, non comanda sul figlio, a differenza di Maria non induce Gesù a compiere miracoli e per tutta la storia della cristianità sarà marchiato da quell’aggettivo a suo modo terribile – putativo – che nel sentire comune non ha mai voluto dire altro che finto. Eppure è grazie a lui che Maria non è stata uccisa a causa di una gravidanza difficile da spiegare a un paese intero già con le pietre in mano. È grazie a lui che Gesù e sua madre sono sopravvissuti alla furia del tetrarca di Giudea. È grazie a lui che il Figlio di Dio ha avuto un’infanzia e un’adolescenza talmente serene da non offrire manco mezzo appiglio narrativo agli evangelisti.

Il punto dolente è che Giuseppe è maschio in un modo che col maschilismo (e quindi con i maschilisti) non c’entra niente, perché in lui il «perché» e il «per chi» coincidono in modo esatto. Niente è più liberatorio per un uomo credente contemporaneo del fatto che la fragilità del Figlio di Dio incarnato sia stata protetta non da un eroe dal profilo già pronto a farsi leggendario, ma da un uomo mite e affidabile, che per salvare i suoi cari non trova umiliante nemmeno l’esilio.

 

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Data di aggiornamento: 22 Ottobre 2021
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