«Ruben», il ristorante solidale

Un’iniziativa, promossa da Ernesto Pellegrini, famoso imprenditore e già presidente dell’Inter, per quanti si trovano in una temporanea difficoltà economica. «Ho avuto tanto dalla vita – dice –, ora voglio aiutare gli altri».
29 Ottobre 2014 | di

Le tavole sono preparate con cura, mentre in cucina c’è grande fermento. I cuochi sono impegnati a realizzare gli ultimi piatti. Il menu del giorno è affisso all’ingresso e prevede risotto alla milanese, pennette pomodoro e basilico, arrosto di vitello al forno, filetto di pesce dorato e verdure di stagione. Arrivano i primi clienti e i volontari addetti al ristorante, con gentilezza e un sorriso, li fanno accomodare. I commensali sono uomini, donne, ma anche bambini con i genitori. Con compostezza scelgono uno dei tanti tavoli sistemati nella grande sala, un luogo bello e moderno. L’atmosfera è familiare, serena.

È all’incirca questa la scena che si saranno trovati davanti quanti sono passati a fine ottobre davanti a «Ruben», ristorante solidale voluto dal cavaliere del lavoro Ernesto Pellegrini, già presidente dell’Inter dal 1984 al 1995 e noto imprenditore del colosso della ristorazione «Pellegrini Spa».

Inaugurato proprio il 27 ottobre, in via Gonin 52, quartiere Lorenteggio, a ovest della città di Milano, il ristorante sorge in una periferia dove il sacrificio e le contraddizioni del vivere quotidiano si vedono e si sentono. Dove il disagio, a volte, attraversa anche parchi poco curati e palazzi malmessi, tipici delle grandi periferie metropolitane. Dove, spesso, il lavoro manca e il vivere diventa sempre più difficile: famiglie senza reddito, ridotte alla fame; figli da crescere e mandare a scuola; bollette da pagare. Senza contare i tanti giovani, disoccupati, in cerca di un lavoro che tarda ad arrivare.

È a queste e ad altre persone in difficoltà che si rivolge l’originale e unica struttura del genere in Italia. La prima, nata con la volontà di offrire un aiuto concreto a chi si trova in una situazione di temporanea difficoltà economica e sociale. Cinquecento i pasti completi preparati, ogni giorno in due turni, dal lunedì al sabato, dalle 19 alle 20.30. Costo della cena: 1 euro. Un prezzo simbolico, ma importante per «salvare la dignità» dei clienti. Perché il «Ruben» non è una mensa dei poveri, ma un vero ristorante «solidale», con tanto di servizio al tavolo.

I clienti (che possono accedere al ristorante con una card della validità di due mesi, rinnovabile) vengono inviati da parrocchie, associazioni di volontariato, centri di ascolto. A questi ultimi spetta, infatti, il compito di segnalare le situazioni più urgenti, analizzando caso per caso. E ce ne sono davvero tante. Sono genitori separati, disoccupati, famiglie in gravi difficoltà, ex carcerati in cerca di un reinserimento sociale, immigrati, ma anche parenti di malati in trasferta che vogliono restare a fianco dei loro cari.
 
La storia di Ruben
Non è un caso, comunque, se il ristorante, primo frutto della neonata «Fondazione Pellegrini Onlus», porta il nome di «Ruben».

«È una persona che nella mia infanzia e nella mia gioventù ha avuto una grande importanza», spiega commosso l’ex presidente dell’Inter al «Messaggero di sant’Antonio». I Pellegrini erano semplici ortolani, abitavano in una cascina in affitto alle porte di Milano. Ruben, gran lavoratore, viveva con loro. Erano tempi duri e lui era diventato in breve uno di famiglia. Ruben infatti non era solo un salariato. Era molto di più: un simbolo stesso della cascina, un’immagine conosciuta e rispettata in paese.

Così Pellegrini lo descrive sul sito della Fondazione: «Non aveva casa, dormiva nella stalla su un letto di paglia e il suo guardaroba era appeso a tre chiodi infissi nel muro. Ruben era una persona particolare: sempre sereno e allegro, mai coinvolto nelle discussioni o nei litigi che nelle cascine erano frequenti». Negli anni Sessanta, però, i Pellegrini devono lasciare i terreni coltivati in affitto e la cascina, poi abbattuta per costruire delle case popolari. A quel punto Ruben si è ritrovato solo, in una baracca di fortuna. In quel momento nessuno aveva la possibilità di aiutarlo. Ernesto aveva 20 anni appena, era un semplice contabile d’azienda e non aveva possibilità economiche. «Mi ero riproposto di aiutarlo – confida Pellegrini –, ma purtroppo non ho fatto in tempo. Un giorno, d’inverno, uscendo dal lavoro acquistai un giornale della sera con un titolo agghiacciante: “Barbone muore assiderato nella sua baracca”». Era Ruben.

La notizia lo colpì nel profondo. L’immagine di quell’uomo ha accompagnato Pellegrini negli anni. Dapprima come un punto fermo nei ricordi della sua adolescenza e giovinezza. E poi come un pensiero costante nella felice scalata professionale che lo ha reso famoso imprenditore nel settore della ristorazione. «Ho conservato nel mio cuore – aggiunge Pellegrini – il ricordo di Ruben, uomo buono, gran lavoratore, che non è riusci­to ad affrontare un cambiamento duro, che la realtà di quel periodo aveva imposto a lui e a tutti noi».

È per questo che oggi, in una congiuntura economica così difficile, Pellegrini ha voluto aiutare i molti Ruben che, per varie ragioni, vivono il loro momento di difficoltà e di disagio. «È un modo per ringraziare il buon Dio del tanto che ho avuto dalla vita − dice −. E ho voluto farlo attraverso quello che so fare meglio: dare ristoro alle persone. Ho cercato, insieme con i collaboratori della Fondazione, di unire con un filo invisibile ma concreto, l’idea cristiana dell’amore per il prossimo nella sua integrità di persona, la possibilità di offrire nutrimento al corpo e ristoro all’anima, l’esigenza laica di contribuire attivamente alla protezione e al rafforzamento di una rete sociale che i tempi attuali hanno pesantemente intaccato».

La Fondazione ha già una rete di volontari formati e pronti a trasformare la cena dei commensali in un momento di condivisione, a partire dall’ascolto offerto per dare a loro la possibilità di ricostruire il proprio percorso di autonomia e dignità. 
 
Oltre il cibo, il ristoro
Il progetto, come già ricordato, coinvolge molte altre realtà del territorio, a cominciare dalla rete dei centri di ascolto della Caritas. «Le persone che ci chiedono aiuto – sottolinea don Roberto Davanzo, direttore della Caritas Ambrosiana – sono in costante aumento e, sempre più spesso, hanno il volto di uomini e donne che fino a qualche anno fa non avremmo considerato a rischio di impoverimento. Uomini e donne che, grazie al loro lavoro, vivevano una vita “normale”. Persone che all’improvviso, a causa di una crisi economica e occupazionale di dimensioni epocali, hanno perso il lavoro e rischiano ora di perdere anche la casa».

«Di questo progetto − insiste don Davanzo − condividiamo molte cose, a partire dall’originale attenzione ai nuovi volti della povertà di oggi. Ma ci piace anche questo voler sottolineare l’importanza di uno stile conviviale nel mangiare insieme. E anche l’idea di aprire il locale alle famiglie, facendo così di “Ruben” un luogo di incontro tra persone che stanno vivendo uno stesso temporaneo momento di difficoltà». Il responsabile della Caritas Ambrosiana fornisce anche un dato emblematico: dal 2007 al 2012 sono aumentate del 12 per cento le persone che chiedono ai centri di ascolto Caritas un aiuto sotto forma di beni alimentari.

L’iniziativa ha trovato un grande supporter anche nel sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, per il quale il progetto, nato dal ricordo di una persona in difficoltà morta di stenti in una baracca cinquant’anni fa, diventa un simbolo di speranza e di umanità: «Un gesto concreto affinché nessuno possa sentirsi abbandonato in una città che è e sarà sempre attenta ai bisogni di chi è in difficoltà» ha affermato. Una difficoltà che ci auguriamo tutti sia momentanea. Perché le emergenze non possono continuare all’infinito. «Il nostro deve diventare un Pae­se meno burocratico e sprecone e più efficiente – conclude il fondatore del ristorante “Ruben”–. Solo così si potranno creare nuovi posti di lavoro che genereranno, a loro volta, nuove risorse». In un momento così difficile per il nostro Paese ognuno deve fare la sua parte, spiega Pellegrini: «Io ho iniziato. Ma il mio è solo un primo passo a cui potranno seguirne altri, sempre in una logica di accoglienza».

La speranza ora è una sola: che ci siano altri imprenditori pronti a seguire il suo esempio, per aiutare le tante persone in difficoltà a reinserirsi pienamente nel mondo del lavoro e nella società.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017