Rinascere a Roman

Il Centro sociale Sant’Antonio a Roman è il cuore di un sistema di servizi a favore dei bambini e delle famiglie più povere. Un miracolo di carità, frutto della storia e dei sacrifici dei francescani conventuali in Romania.
23 Aprile 2012 | di

Oggi è una giornata di festa per Adrian, 5 anni. La mamma ha chiamato dall’Italia e ha detto che presto verrà. Sono anche arrivati i suoi dolci. Adrian vive a Roman, nella regione moldava della Romania, con i due fratellini e il papà, che ha perso la gamba sinistra lavorando nella miniera di Petrosani. La mamma, Crina, fa la collaboratrice domestica in una città del Nord Italia. «Sembrano felici, ma se entri in profondità c’è una tristezza che se ne sta in silenzio» afferma padre Emilian Dumea, uno dei frati francescani conventuali che anima il Centro sociale Sant’Antonio, sorto sulle rovine di una vecchia azienda agricola comunista e oggi avamposto di carità, nella città di Roman.

«Nel nostro centro accogliamo tanti bambini che soffrono per la mancanza dei genitori, emigrati all’estero per lavoro. Facciamo del nostro meglio, ma sappiamo bene che un bambino senza mamma è disorientato, impaurito, solo».
L’altra faccia della medaglia è la povertà di chi resta in patria con scarse prospettive di lavoro. Come Maria, oligofrenica, che con i numerosi figli vive in un’unica stanza, con 140 euro di pensione statale al mese. La povertà ha tante facce, lo sanno bene padre Emilian e i suoi confratelli, ma quando coinvolge i bambini diventa davvero difficile da sopportare. Per questo sono proprio i più piccoli i prediletti, quelli per i quali il Centro sociale Pacea, emanazione del Sant’Antonio – istituito nel 2000 da fra Roberto Peretti, con il sostegno di Caritas Antoniana –, ha avviato negli anni decine di iniziative di aiuto: dai beni di prima necessità alla mensa sociale, dal rinforzo scolastico alla formazione professionale, dalle cure sanitarie all’accompagnamento psicologico.
 
Una storia di condivisione
Il giorno per giorno è difficile, tanti sono i fronti e limitate le risorse, eppure guardando questa realtà francescana con gli occhi del passato, anche il poco che si riesce a fare sembra un miracolo. «Nell’89, quando è caduto il comunismo, avevo 13 anni – racconta padre Emilian –: si ascoltava di nascosto Radio Europa Libera e si sognava l’Occidente. I cattolici non potevano professare la loro fede, ma le chiese erano piene alla domenica, la gente pregava anche in casa; per noi bambini a volte era noioso, ma per mamma e papà era un raggio di luce, la speranza che Dio non ci avrebbe abbandonato». La libertà alla fine arrivò, ma non fu indolore. «A Roman c’erano molte industrie, ma tutto era razionato: pane, olio, polenta, zucchero. Con il crollo del regime, si chiusero le fabbriche e si passò dalle razioni di cibo, limitate ma sicure, al dover ripartire da zero». Fu uno shock indicibile a causa del quale molti si persero, mentre i più intraprendenti cercarono fortuna all’estero. «Non eravamo preparati, dopo quarant’anni di comunismo, a camminare sulle nostre gambe. Volevamo la libertà, ma non sapevamo da dove cominciare».
Uno shock che non colpì, invece, i frati rumeni, come padre Patrascu, padre Albert, padre Demeter, ormai anziani e ridotti a qualche decina, dopo il lungo inverno comunista: «Pensavano di essere al tramonto della loro missione – ricorda padre Emilian – e invece diventarono il lievito della Chiesa cattolica in questa e altre città della Moldavia. Dopo la prigionia, si rimisero il saio, andarono incontro alla gente, aprirono alcune opere di carità e un istituto teologico. Fu una rinascita. Noi frati più giovani siamo il frutto di quella stagione».
La città di Roman, come altre città della Romania, presenta oggi, con l’entrata in Europa, un discreto sviluppo economico, ma in alcuni quartieri, quelli seguiti dai frati, la disoccupazione è ancora alta, i genitori sono emigrati, lasciando spesso soli vecchi e bambini. Ancora più emarginati sono i figli degli zingari: «Vivono relegati in quattro grandi stalle divise in stanzette a tre chilometri dalla città, con scarsità di acqua, fogne e riscaldamento. Duemila famiglie condannate al degrado, insieme ai loro numerosi bambini. Il rischio è che i piccoli abbandonino anche la scuola, unica possibilità di riscatto. Per questo abbiamo organizzato un servizio di scuolabus, un ambulatorio e una cappella». L’impegno dei frati si spinge fino ai villaggi rurali intorno alla città, dove la crisi che colpisce l’Europa sta divorando le fragili economie delle famiglie. «Portiamo aiuti materiali – afferma padre Emilian – ma soprattutto sproniamo i genitori a far continuare gli studi ai figli».
Non c’è progetto a favore dei bambini e delle famiglie più povere in questi ultimi dieci anni a cui la Caritas Antoniana non abbia collaborato. Gli ultimi due, in ordine di tempo, sono il restauro di una stalla e l’avviamento di una piccola azienda di produzione del latte: «Ciò ha permesso di avere più risorse per le nostre opere sociali, di creare alcuni posti di lavoro (al centro Caritas c’è ora anche la produzione di mattoni e la fornitura di legno per l’inverno) e di migliorare la qualità di vita delle famiglie più povere».
 
Puntare sui giovani
Tra i servizi, l’ultimo nato è l’assistenza psicologica per bambini e adolescenti: «Abbiamo aperto tre studi di consulenza: uno presso il nostro centro, uno in città e uno nella scuola statale, con dei buoni risultati».
Sugli adolescenti i frati stanno puntando moltissimo: dai progetti di alfabetizzazione per coloro che non hanno più l’età per frequentare la scuola fino ai corsi professionali per i lavori più richiesti: «I ragazzi sono quelli più a rischio di devianza e disadattamento – spiega padre Emilian –, ma sono anche quelli sui quali più facilmente si possono ottenere buoni risultati: basta far loro capire che dietro di noi c’è tanta altra gente che si impegna per aiutarli».
Molta strada rimane ancora da fare, ma ormai le opere sociali dei frati di Roman sono una rete di servizi integrati, sempre più professionali, che dà lavoro ad alcuni laici e che collabora con efficacia con le istituzioni del territorio. Un’oasi solidale che è segno di discontinuità e dimostra che cambiare è possibile.
Uno spazio di novità che alimenta i sogni: «Un tempo – conclude padre Emilian – c’era un detto: “Anche se il pane è peggiore è sempre meglio vivere nel mio Paese”. Benché la storia recente sia andata in un’altra direzione, io sogno che in futuro i romeni restino in Romania e che questo splendido Paese possa un giorno riabbracciare i propri figli sparsi nel mondo».

 

I SERVIZI

 
- Adozioni a distanza
 

- Asilo alternativo
 


- Asilo estivo

- Scuola di alfabetizzazione

- Assistenza psicologica

- Borse di studio/lavoro

- Primo soccorso nei campi rom

- Mensa sociale, panificio

- Laboratori di sartoria, meccanica, pittura

- Centro medico

- Stalla sociale, produzione latte


Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017