Quell’indistinto minestrone che nega ogni valore alle cose

Impariamo a chiamare le cose con il proprio nome, dando a tutto il giusto valore e distinguendo, per capire e diventare responsabili.
08 Marzo 2003 | di

Ci sono voluti anni di onorate battaglie con mamma, a colpi di «salti la cena!» e contraccolpi di «piuttosto morto!», per arrivare a proclamare che la carota non è un fagiolo e questi non è una patata. Differenza, invece, che il minestrone, ai miei occhi di ragazzo, annullava: in esso tutte le verdure diventavano una brodaglia non meglio identificata.
Lo stesso senso di disgusto e «omologazione culinaria» provo spesso in questo periodo ascoltando i tiggì, le conferenze stampa, i giornali.
«Disastro», «indignazione», «dolore», «tragedia», «grave perdita»: gli stessi vocaboli e concetti usati indistintamente e ugualmente per qualche catastrofe naturale e per l`€™errore tragico dell`€™arbitro, per la balena arenata sulle spiagge della Normandia e per l`€™ennesima carestia nell`€™Africa subsahariana, per l`€™estinzione del colibrì delle isole Vattelapesca e per gli ultimi sei o sette adolescenti palestinesi uccisi nei territori occupati.
Così come non capisco perché un attacco militare è intelligente se non muore nessuno degli attaccanti, ma «solo» qualche centinaio di attaccati. E se un kamikaze che si fa saltare imbottito di tritolo alla fermata dell`€™autobus è un terrorista, e lo è, cos`€™è allora una multinazionale che persegue il proprio profitto senza paura di distruggere o affamare un`€™intera popolazione, sfruttando manodopera a bassissimo costo e senza garanzie, non dico, sindacali ma nemmeno «umane»?

I morti non sono tutti uguali?

Capisco che i sentimenti sono i sentimenti, e ciascuno (ogni persona, ogni nazione, ogni popolo) ha i suoi da difendere e da cui difendersi, ma perché le migliaia di morti dei brutali attentati alle Twin Towers continuano a indignarci, mentre i milioni di morti che il nostro sistema di vita consumistico sta seminando quotidianamente nelle periferie del mondo dovrebbero lasciarmi indifferente? E dove sta ormai il confine tra il morale e l`€™immorale, quando una nota pubblicità , che forse nelle intenzioni dei suoi committenti doveva essere «progresso», ci ha martellati, nei mesi scorsi, non tanto per convincerci a fare dei gesti di «servizio» agli altri, ma piuttosto a «comperare»? Risorgerà  l`€™economia italiana grazie ai nostri acquisti? Spero proprio di sì, di tutto cuore.
Spero anche che Mario trovi un lavoro, perché è dura tirare avanti con tre figli e una moglie a carico. Spero che Luisa smetta di bucarsi, perché ormai ha ridotto a un inferno la sua e l`€™altrui vita. Spero che Juri a 13 anni trovi finalmente qualcuno che gli dica: «Tu per me sei importante!». Spero che Ervis ed Elton non siano più costretti ad attraversare l`€™Adriatico in gommone in cerca di un posto migliore per i loro sogni di ragazzi. Spero che ciascuno di noi ritrovi spazio e coraggio per gesti gratuiti, disinteressati e solidali.
E se devo essere sincero, e Antonio di Padova mi autorizza ad esserlo, lui che non ha dimostrato «peli sulla lingua» nemmeno di fronte a vescovi e principi, faccio il tifo più per Mario e compagni`€¦
Sì, la realtà  è ben più complessa delle mie semplificazioni, ma se non riprendono a chiamare le cose ciascuna con il proprio nome, dando a tutti e a tutto il proprio posto e il giusto valore, distinguendo per aiutarci a capire e renderci responsabili, sarò costretto a organizzare una solenne veglia di preghiera davanti`€¦ alla reliquia della lingua di sant`€™Antonio!

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017