23 Gennaio 2022

Quella volta a Mosul

Arrivai a Mosul in autobus nelle ore centrali di un torrido pomeriggio di agosto. La città era semivuota e nell’aria si percepiva l’odore acre della paura…

Quella volta a Mosul

Non ero finito per caso a Mosul. Correva l’anno 1996, nel Kurdistan iracheno era in atto uno sterminio nei confronti della popolazione civile senza precedenti. Mentre il mondo stava a guardare alla finestra, come se nulla stesse accadendo, Saddam Hussein stava usando armi chimiche per sterminare una parte del suo popolo.

Arrivai a Mosul in autobus nelle ore centrali di un torrido pomeriggio di agosto. La città era semivuota e nell’aria si percepiva l’odore acre della paura. I pochi negozi aperti avevano le tende abbassate per proteggersi dalla calura e creare un riparo dagli occhi indiscreti. 

Di solito non uso portare il cappello per ripararmi dal sole, ma in quell’occasione, prima di mettermi a camminare nella periferia della città in cerca di storie da raccontare, mi avvolsi sulla testa una fascia di cotone bagnata. Non conoscevo ancora il luogo, non sapevo dove andare, ero spaesato. La voglia di raccogliere testimonianze aveva preso il sopravvento sulla logica. Camminavo a vuoto da ormai un paio di ore calpestando i ciottoli di un sobborgo malmesso, nella mia mente stavo già meditando di rientrare in albergo, per godermi la brezza creata dalle pale del ventilatore appeso al soffitto.

Faccio inversione di marcia, deluso. Ma proprio in quel preciso istante un bambino scalzo mi viene incontro con passo deciso. Nonostante la calura soffocante, ci mise poco a raggiungermi. Quando fummo l’uno di fronte all’altro, mi sentii in dovere di regalargli un sorriso e stringergli la mano. Sembrava disponibile al dialogo con uno sconosciuto. Ricordo i suoi occhi e la spontanea dolcezza nel porsi davanti allo straniero venuto da lontano: diventammo subito amici.

Ci misi poco a creare l’intesa per scattare una fotografia. Impugnai la fotocamera e mi abbassai per ritrarlo dal basso con una prospettiva che riprendesse al meglio il luogo. Il bimbo fu incuriosito dal mio movimento, non perse tempo per imitarmi. Le sue spalle si chinarono al mio livello. Lo sguardo era pronto a bucare la pellicola. Si chiamava Khaled questa creatura venuta dal nulla, oggi dovrebbe avere poco più di 30 anni. In quella terra martoriata nel nord dell’Iraq non ci sono più tornato, di lui non ho più saputo nulla.

Succede spesso, attraverso lo sforzo di una messa a fuoco, di fissare indelebilmente nella mente un ricordo. A distanza di tempo capita anche che i pensieri vissuti riecheggino, assieme agli stati d’animo archiviati. Inevitabilmente si viene portati al processo dell’anima. Dove nessuno è colpevole, ma le vittime restano.

 

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Data di aggiornamento: 23 Gennaio 2022
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