Quei «figli speciali» ora hanno una casa

Essere poveri e disabili è una doppia condanna per i bambini del Sud del mondo. Ecco un progetto per aiutarli ad avere un futuro insegnando ai grandi a capirli e ad amarli.
24 Ottobre 2006 | di

È la primavera del 2004 quando alla Caritas Antoniana arriva una lettera da Pesqueira, cittadina dello Stato del Pernambuco, nel Nord-Est del Brasile, una delle zone più povere del Paese e del mondo. La firma padre Bartolomeo Bergese a nome dell’associazione che presiede, il Pode, un acronimo che sta per Portadores de direitos especiais, letteralmente «Portatori di diritti speciali». Chi mai avrà «diritti speciali» in un posto in cui oltre il 50 per cento di persone vive in estrema povertà? Bisogna far fare una capriola al proprio punto di vista per capire che quella categoria imprecisata sono i bambini e gli adolescenti con lesioni cere-brali, idrocefalia, sindrome di down, microcefalia, insufficienza mentale. Colpisce questa definizione che non fa riferimento alle loro mancanze ma a quelle degli altri, dei «normodotati» per intenderci: delle famiglie povere e senza mezzi cognitivi per prendersi cura di loro; delle comunità che li emarginano per ignoranza e per comodità; dello Stato che non ha approntato per loro nessun tipo di assistenza.
Quei «diritti speciali», provocatoria-mente sottolineati, sono tutti da costruire.
Padre Bartolomeo ha per le mani un «sogno» – come dice lui – appena abbozzato. Per ora ci sono solo il progetto dell’architetto, il terreno, tre edifici costruiti (dei sei previsti), ancora senza tetto. Si chiama «Casa e scuola di salute». È un centro di prevenzione, cura e riabilitazione per i bambini e gli adolescenti con gravi di-sabilità fisiche e mentali: gli ultimi degli ultimi. «Una volta che la casa sarà funzionante – spiega con entusiasmo padre Bartolomeo – potremo recuperare le loro facoltà residue, accompagnarli nell’apprendimento di un mestiere, insegnare alle loro famiglie come amare e curare un bambino speciale, sensibilizzare la società a comprendere e accettare ciò che è diverso».
Un bel progetto davvero, ma dopo i primi 70 mila euro, raccolti da varie associazioni, enti e singole persone in Brasile e, soprattutto, in Italia, padre Bartolomeo non ha più un quattrino. Ne servirebbero almeno altri 120 mila: «Fra due mesi dovremo bloccare i lavori», conclude asciutto nella sua lettera.


Alle radici del progetto
Il sogno che sta per arenarsi è iniziato quattro anni prima. Suor Irene e suor Indalva, delle Missionarie di Gesù risuscitato, congregazione specializzata nell’accoglienza dei disabili, sono arrivate a Pesqueira nel 2000. «Hanno cominciato a visitare le famiglie – racconta padre Bartolomeo – e hanno “scovato” più di duecento bambini e ragazzi con gravissimi handicap, rinchiusi in casa per vergogna, usati per chiedere la carità o l’assistenza di qualcuno. Tutti abbandonati, molti in stato quasi vegetativo, senza un briciolo di vita vera». Le suore hanno iniziato a portarli in casa loro e ad assisterli con mezzi di fortuna. Ma il bisogno era tanto, aggravato dalla povertà dei genitori e dall’assenza totale di strutture. A Pesqueira il 53 per cento delle persone vive con meno di 1 euro al giorno, molti capi-famiglia sono ex contadini analfabeti, incapaci di trovare lavoro in città.
«Potevamo fingere di non sapere o limitarci a dare una mano alle suore – continua padre Bartolomeo –. Ma la gravità della situazione richiedeva una risposta di fede e di amore da parte di tutta la diocesi: “Quello che avete fatto a uno di questi piccoli – dice Gesù – lo avete fatto a me”». Il vescovo ha subito appoggiato l’iniziativa e così pure il sindaco e la giunta. «L’architetto ha fornito uno splendido progetto, degno dei figli di Dio», sottolinea padre Bartolomeo, perché il bene va fatto bene, non può essere «arrangiato alla meglio» solo perché si tratta di poveri.
Ed ecco sulla carta mille metri quadri a misura di disabile, distribuiti in cinque edifici (cucina-refettorio, aule per le terapie musicali e occupazionali, per gli ambulatori medici e la fisioterapia) e una piscina coperta per la riabilitazione. Un’oasi lussureggiante nel deserto.


Evviva le «ali di sant’Antonio»
In quel sogno padre Bartolomeo ci ha creduto, tanto da imbarcarsi in un’impresa più grande di lui. Ma ora «ci vuole un segno». Quella stessa primavera del 2004, la Caritas Antoniana invia 16 mila euro. È una cifra modesta, ma è quel che basta per non fermare i lavori. Padre Bartolomeo scrive entusiasta: «Grazie di cuore. Eravamo senza risorse. La provvidenza è arrivata nel tempo giusto, tramite le ali di sant’Antonio. Altri fondi stanno arrivando e potremo terminare questo sogno».
La casa è inaugurata ufficialmente nel maggio del 2005, ma in realtà è già da mesi che in essa si lavora, pur nel via vai degli operai. È a quel punto che la Caritas Antoniana manda altri 5 mila euro per coprire una richiesta specifica: quattro computer e un programma per bambini con deficit visivo.
Oggi i piccoli assistiti sono 138 e lo sforzo sia economico che professionale è davvero grande. A sostegno della «Casa e scuola di salute» c’è una rete di soggetti: le associazioni locali laiche o religiose che aiutano l’inserimento e la formazione, lo Stato e gli Enti locali che forniscono attrezzature e personale specializzato, le associazioni straniere – molte delle quali sono italiane – che continuano a offrire finanziamenti, la gente comune che dà quel che può perché ha capito che quel sogno appartiene un po’ a tutti.
Per le famiglie quel centro nel quale i loro «figli speciali» sono ormai di casa è il dono più inatteso e più grande della vita. «Ho avuto mio figlio a 18 anni – afferma Jucilene –. Alla nascita mi hanno detto che soffriva di paralisi cerebrale:non sapevo neppure che cosa significasse. Ma tre mesi dopo l’ho capito: non si muove-va, non stava seduto, non parlava… Poi sono venuta qui al Pode; ora il bambino fa progressi di giorno in giorno, è intelli-gen-te, partecipa, si muove… E ho tutti i servizi qui nella mia città. È un privilegio davvero grande, ringrazio Iddio. Questa è una vittoria per la gente».
Prova inequivocabile che i «diritti speciali» a Pesqueira ora non sono più solo un sogno.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017