Quando uno sguardo ti cambia la vita

Per la sua attività a favore dei piccoli rumeni colpiti da Hiv, Mino Damato ha vinto, per la sezione solidarietà, la terza edizione del «Premio internazionale sant’Antonio».
06 Gennaio 2003 | di

Alle volte basta uno sguardo a cambiarti la vita. A farle prendere una direzione che mai avresti immaginato. È accaduto al giornalista Mino Damato. Gli occhi che lo interpellano sono quelli di un`€™orfana rumena, da un giornale. La bimba ha labbra sottili, la bocca serrata. Si chiama Andreia, ha quasi tre anni ed è malata di aids. Tutto questo Damato, però, lo scopre solo dopo qualche tempo. La foto è anonima, a corredo di un servizio sulla rivoluzione contro Ceausescu. Il giornalista risale all`€™autore dell`€™immagine, un fotografo francese, che lo indirizza a tre ospedali rumeni. In uno potrebbe essere ricoverata la bambina.

Dall`€™Italia, siamo nel 1989, partono intanto convogli umanitari per quel Paese stremato dalla povertà . E anche Damato contribuisce, inviando, con dei Tir, gli aiuti raccolti tra gli italiani, attraverso il programma Alla ricerca dell`€™Arca. La foto viene affidata a uno dei responsabili dei soccorsi. È come un messaggio nella bottiglia. Eppure, arriva a destinazione. Andreia viene rintracciata nel padiglione malattie infettive dell`€™ospedale «Victor Babes» di Bucarest.

L`€™incontro con la figlia adottiva

«Era denutrita, non camminava, non faceva alcun gesto `€“ ha raccontato più volte Damato `€“. La prima volta che ha girato la testa verso di me è stato solo sull`€™aereo, quando, ottenuta la sua tutela, siamo partiti per l`€™Italia. Mi ha guardato e ha appoggiato il suo viso al mio». Da quell`€™incontro e da quell`€™adozione nasce un`€™associazione con un progetto organico di aiuti dedicato ai «Bambini in emergenza».

Dal 1995 ad oggi l`€™associazione ha risistemato tre strutture ospedaliere con 120 posti letto e ha costruito cinque case famiglia. Il tutto finanziato da donazioni private. Nel 1997 è diventata fondazione, ente morale con decreto ministeriale e Onlus (Organizzazione senza scopo di lucro). E ha esteso le aree di interventi in Italia e in Africa. Ma la Romania resta il punto di riferimento principale.

Non potrebbe essere altrimenti. Nel grave quadro di crisi economica lasciato dalla dittatura, l`€™Europa, agli inizi degli anni Novanta, scopre il dramma dei bambini infettati dal virus dell`€™Hiv. Le cifre sono drammatiche: tra gli 80 e i 100 mila bambini sono orfani o abbandonati. Tra questi, secondo le cifre ufficiali, circa 4 mila sono sieropositivi, ma le stime ufficiose parlano di un numero che oscilla tra i 20 mila e i 30 mila casi.

La diffusione del virus `€“ dicono i medici `€“ è avvenuta negli stessi ospedali e orfanotrofi, a causa di pratiche sanitarie inadeguate e non controllate, di condizioni igieniche al limite della sopravvivenza e per l`€™estrema inadeguatezza del personale medico e paramedico. Qualche giornale parla di veri e propri esperimenti fatti sui bambini, usati come cavie per testare eventuali vaccini anti-aids.

L`€™arrivo in Romania

Sul sito dell`€™associazione (www.bambiniinemergenza.org) è ben descritto lo spettacolo che, nel 1990, accoglie Damato la prima volta che mette piede all`€™ospedale «Victor Babes»: «Bimbi di ogni età  abbandonati nei loro `€œgiacigli`€ fra i propri escrementi e coperti da sacchi neri dell`€™immondizia; bambini incapaci di parlare e camminare poiché nessuno gli aveva mai insegnato a stare eretti o aveva rivolto loro la parola». Insomma, un inferno, al quale Damato strappa la piccola Andreia, alla quale i medici non avevano dato più di tre mesi di vita. Vivrà  ben sei anni, la piccola rumena, in Italia, circondata dall`€™affetto della famiglia adottiva. E proprio a lei verrà  intitolato l`€™ex padiglione lager dell`€™ospedale di Bucarest, ristrutturato nel 1997 dalla fondazione «Bambini in Emergenza».

Oggi la struttura è formata da sette stanze di degenza, fornite di impianto a ossigeno, un reparto isolamento, un gabinetto di stomatologia e odontoiatria, una palestra per la riabilitazione neuromotoria, una mensa e una sala per le attività  didattiche e ricreative.

Anche la prima struttura ospedaliera, il primo padiglione del «Victor Babes» che Damato rimette in piedi, è intitolata a un bambino. Si chiama «Casa Doru», come il piccolo al quale era stato promesso che sarebbe stato il primo ospite della struttura. Doru non ce l`€™ha fatta a vedere completata l`€™opera, ma oggi nella «casa» a due piani che porta il suo nome trovano ospitalità  50 bambini: il piano terra è dedicato alle terapie intensive e il primo piano a quanti sono in migliori condizioni di salute.

L`€™associazione, inoltre, è riuscita a far applicare una legge del `€™95 che sancisce il diritto alla scuola per i bambini sieropositivi e affetti da aids ricoverati in ospedale. Così, dal primo ottobre 1996, all`€™interno del padiglione «Casa Doru», funzionano due classi regolari. L`€™associazione fornisce gli arredi per le aule e i materiali scolastici. Per i più piccoli o per coloro che hanno problemi di ritardo psicomotorio e non sono in grado di seguire i programmi di studio, vengono avviate attività  extrascolastiche e ricreative, grazie a volontari italiani che si alternano sul campo e allo staff locale, pagato dall`€™associazione.

Le attività  della fondazione

La fondazione ha poi realizzato a Singureni, località  a quaranta chilometri da Bucarest, un progetto caratterizzato da molteplici iniziative all`€™interno del comprensorio ospedaliero di malattie infettive.

Nel 1997 parte la ristrutturazione di un intero padiglione ospedaliero di due piani, riservato ai 400 e più bambini Hiv positivi provenienti dall`€™intera regione. La struttura viene provvista di sale degenza, sale per day hospital, sala di isolamento, medicheria, ambulatorio dermatologico, sala dentistica, cucina e sala mensa. Tra gli altri ambienti vengono ricavate le aule scolastiche, una sala di fisioterapia e riabilitazione e un deposito per farmaci e vestiario. Segue la ristrutturazione di un edificio separato dal padiglione, che diventa l`€™alloggio per trenta bambini abbandonati e sieropositivi, le cui condizioni non richiedevano ancora ricovero ospedaliero. Infine, viene progettata una casa-famiglia per assicurare ai piccoli ospiti una vita quotidiana «normale». Li seguono cinque suore francescane missionarie di Assisi. Alla fine del `€™97, sempre all`€™interno del complesso ospedaliero di Singureni, la fondazione recupera un magazzino diroccato di 200 metri quadri al cui posto nasce il secondo Centro operativo di «Bambini in Emergenza», sede della foresteria per i volontari, dotato di ufficio, sala riunioni, e biblioteca medico-scientifica.

Nel giugno del `€™98 vengono acquistati due lotti di terreno, uno di fronte al centro-pilota e uno all`€™inizio del villaggio di Singureni, con la prospettiva di potervi, un giorno, edificare nuove case famiglia per ampliare la ricettività  di quella già  esistente all`€™interno del comprensorio ospedaliero. Gli anni successivi vedono l`€™inaugurazione di un vero e proprio laboratorio di analisi per la diagnosi precoce e il monitoraggio costante della malattia.

Nel dicembre del 1999 la fondazione realizza tre nuovi chalet per l`€™accoglienza di trenta bambini; nell`€™agosto successivo acquisisce una grande villa, per la prima volta al di fuori del circondario ospedaliero.

A settembre del 1999, la fondazione riesce a iscrivere, presso la scuola pubblica di Giurgiu, i tre ragazzi più grandi che vivono al Centro di Singureni, che frequentano la IV e la V classe. Anche così il lento processo di avvicinamento alla «normalità » continua.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017