29 Maggio 2014

Prima di fare, essere!

È l’abbraccio di Dio che ci rende capaci di altrettanti abbracci tra di noi. Questo il messaggio che giunge dalla fraternità «S. Maria dell’Abbraccio» di Mazara del Vallo (TP), oasi francescana nella «casbah».

Arrivarci all’ora di pranzo è un’autentica orgia per il naso: profumi intensi e speziati stanno lì a mezz’aria a darti il benvenuto, scivolano giù dai balconi e ti danzano attorno prendendoti per fame e lasciandoti immaginare cibi per niente abituali al tuo palato. Perché che il Mediterraneo fosse piuttosto un luogo di incontro di civiltà tra loro lontane – i greci che fondano città in Puglia, i romani in Libia e gli arabi in Sicilia – non era vero solo nel passato. Ma lo è, talvolta drammaticamente ma se sappiamo ascoltare attentamente anche con speranza, pure oggi.



Mazara del Vallo (Trapani), magnifica cittadina che si affaccia dalle parti del canale di Sicilia, meno di 200 km dalle coste tunisine del Nord Africa, porta del Mare nostrum –, dove quel nostrum è misteriosamente già nel nome qualcosa di più che non «mio» –, lo è sempre stata per «difetto di nascita». Nel senso che fu variamente «attraversata» da greci, fenici, cartaginesi, conquistata dagli arabi nell’827, quindi dai normanni, e via dicendo. Tutti ne hanno approfittato, evidentemente, ma tutti vi hanno lasciato anche qualcosa di sé. Il centro storico della città, per esempio, che mantiene ancora l’originale impostazione araba con strade strette, vicoli e cortili. Che oggi tutti chiamano, non per niente, casbah. E che, scherzo del destino, dagli anni Settanta del Novecento, svuotatasi progressivamente dai mazaresi, si è invece ripopolata di arabi, in particolare tunisini, e ultimamente slavi fuggiti dalla guerra che imperversava nell’ex Jugoslavia. Al punto che oggi circa il 10 per cento dei 50 mila abitanti di Mazara è straniero e, per la maggior parte, musulmano. Espresso in altro modo, un pescatore su due è di origine tunisina.

 

«Casbah» francescana

Nella casbah vivono anche, dal 2011, tre frati francescani: Francesco, Antonio e Pinuccio. Più che una novità, forse persino un ritorno, visto che poco distante si trova il convento – nelle forme attuali secentesco ma molto più antico come origine – di San Francesco, da anni ormai non più abitato dai frati. E la distanza, almeno quanto a cubatura e fasto, è molto più della manciata di metri che separano i due «luoghi» francescani.



I tre giovani frati vivono in un sobrio appartamentino, incastonato nella struttura compatta della casbah, dove architettonicamente niente è troppo regolare o razionale e i confini abitativi non sono così evidenti né marcati, ma dietro il portone si apre uno spazio imprevedibile, le scale si avvitano su se stesse, i cortiletti interni si sovrappongono e non sai se la finestra accanto è tua o dei vicini. All’entrata, una stanza divisa in due ti accoglie e ti offre già il «menu» della fraternità che ci vive: la prima parte è arredata all’araba, con divano, ceramiche alle pareti – una in arabo con la prima sura del Corano, Al-F`tiha («L’Aprente»), Bismilla¯hi r-rahma¯ni r-rahı¯m… («Nel nome di Dio, il Clemente, il Compassionevole») – e lampade tunisine a rischiararla. Dietro, la parte della stanza che si affaccia sul vicolo è invece un classico ambiente francescano: tavolo e libreria in legno scuro, statua mariana, una delle pareti dipinta di azzurro e animata di pesci e conchiglie, omaggio al mare di Mazara.



Un paio di belle icone danno le giuste coordinate di questa presenza. Una si trova nella cappellina, al piano terra: raffigura l’annuncio a Maria, con le ultime parole dell’Angelo che si spengono nel ventre gravido della futura mamma di Gesù. È l’abbraccio di Dio alla sua creatura. All’entrata, invece, la scena dell’incontro tra le due madri «improbabili», Maria e la cugina Elisabetta, con i due pancioni che si riconoscono, si sfregano ed esultano. È l’abbraccio umano, tra sorelle. A ricordarci che all’inizio sta, sempre e di nuovo, l’abbraccio di Dio. Ma poi questo ci rende capaci di altrettanti abbracci tra di noi. La fraternità non può quindi che chiamarsi «Santa Maria dell’Abbraccio».

 

Preghiera che rimbalza

Nient’altro. Né chiesa conventuale né attività pastorali istituzionalizzate né servizi sociali. Tutto qui? Poco di più. Fra Antonio aiuta alla Caritas diocesana. Tutti si prestano per dare una mano al doposcuola che le suore francescane missionarie di Maria gestiscono da molti anni per i bambini e i ragazzi della casbah. Disponibili poi per le esigenze delle parrocchie. La scommessa non sta ancora in tutto questo, però. Ma in una frase di Francesco d’Assisi. «I frati che vanno tra gli infedeli possono comportarsi spiritualmente in mezzo a loro in due modi. Un modo è che non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani. L’altro modo è che, quando vedranno che piace a Dio, annunzino la parola di Dio perché essi credano…».



Ma se ci è tutto sommato abbastanza chiaro cosa comporti l’annuncio missionario, un po’ più in difficoltà siamo a mettere in pratica la prima parte dell’indicazione di Francesco. La stessa difficoltà che avremmo a raccontare di noi non tanto per ciò che facciamo, ma per quello che siamo. Essere così poveri da poter solo esserci, avere da dare non tanto cose, ma se stessi: la propria amicizia e stima, il ricordo nella preghiera, una benedizione magari solo sussurrata. Il pranzo del venerdì condiviso alla mensa della Caritas. Persino la banalità di un saluto, per strada: a Nicola, che ci offre un caffè, non frequenta la chiesa, ma ha trovato nei frati dei fratelli che ascoltano il suo dolore. O agli sciami di bambini che, la mattina presto, sbucano all’improvviso dai vicoli della casbah diretti a scuola, ti tagliano vocianti la strada, e come ti vedono ti lanciano un sonoro «ciao!». «Sono i nostri ragazzi», mi dice orgoglioso fra Francesco. Mi piace quell’aggettivo possessivo-affettivo che ha usato.



La campana a martello della chiesa di San Nicolò, accompagnata dal latrare dei cani, ci ricorda l’ora dei Vespri. Scendiamo nella cappellina accompagnati dal canto del muezzin: Alla¯hu Akbar («Dio è grande»). H·ayya ‘ala¯ al-sala¯t («Orsù alla preghiera»). E mai preghiera più fraterna si sarebbe potuta dare di questa: rimbalza dalle pareti della cappellina dei frati a quelle della moschea, accarezzando ogni casa della casbah, entrando silenziosamente nel cuore di ogni uomo e donna che vi abita. Andata e ritorno. Senza bisogno di passaporto né patentino religioso.



 

INFO



Fraternità S. Maria dell'Abbraccio

Via S. Nicolò 91026 Mazara del Vallo (TP)

e-mail: frafra_70@yahoo.it

 

 

Se ti stai domandando che cosa il Signore desidera per te, o se ti incuriosisce la vita francescana, visita: www.vocazionefrancescana.org



Vi troverai un frate pronto ad ascoltarti e a consigliarti!

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017