Policoro, laboratorio di speranza

In sedici anni di vita ha lanciato oltre 400 attività imprenditoriali. In occasione del 25esimo corso di formazione per animatori di comunità, ecco un viaggio alla scoperta del Progetto promosso dalla Cei contro la disoccupazione giovanile.
27 Giugno 2012 | di

Verde come la speranza; rotondo come il mondo che abitiamo. Nell’aula magna dell’hotel romano Domus Mariae un palloncino gigante volteggia in aria, sostando di tanto in tanto tra le mani tremolanti dei giovani ospiti emozionati. A ogni lancio si accompagna uno strillo. «Sono Caterina e vengo dal Paese dei tortellini», saluta una ragazza dallo spiccato accento emiliano, prima di scaraventare il pallone dalla parte opposta della sala. «Domenico, parola chiave: sfogliatella», le fa eco un coetaneo che è riuscito per un pelo a fermare la sfera e ora l’abbraccia stretta, neanche fosse la fidanzata. E ancora, «Virginia dalla terra dei nuraghi» o «Francesco, direttamente dalla patria delle orecchiette».

È il momento delle presentazioni al 25esimo corso di formazione nazionale del Progetto Policoro. Più che animatori di comunità, questi venti-trentenni, appollaiati a gruppetti sulle poltroncine blu che cingono l’aula a mo’ di anfiteatro, sembrano quasi concorrenti di un quiz televisivo, tanto prendono sul serio la loro «missione». Fare l’animatore di comunità non è un gioco da ragazzi: tre anni al servizio della diocesi e dei giovani. Dodici ore settimanali il primo anno, ventiquattro i successivi due, spese ad ascoltare storie, a consigliare strategie di business e a incentivare l’imprenditorialità under 30 nel proprio territorio. In più, un appuntamento formativo regionale ogni dodici mesi e due corsi nazionali annuali. Dopo l’incontro del novembre scorso ad Assisi, siamo al primo step targato 2012. È sabato 21 aprile, oggi (e per i quattro giorni successivi) la ciurma Policoro si è radunata al gran completo: quasi centoquaranta giovani provenienti da novantotto diocesi italiane e suddivisi in tre annualità, più sette degli oltre venti formatori che partecipano al Progetto. E ancora, docenti e imprenditori chiamati a portare la loro testimonianza. Senza scordare i direttori dei tre uffici (Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro, Servizio nazionale per la pastorale giovanile, entrambi della Cei, e Caritas italiana) che sedici anni fa diedero vita all’iniziativa contro la disoccupazione giovanile. Era il 14 dicembre 1995, la Chiesa italiana aveva da poco celebrato, a Palermo, il convegno Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia. Di fronte ai dati sulla disoccupazione diffusi dall’Istat – oltre 2 milioni e 700 mila italiani in cerca di lavoro (nel Nordest il 5,9 per cento; nel Mezzogiorno il 21,1) con un aumento del 6,4 per cento rispetto al ’94 –, ai tre uffici nazionali, riunitisi a Policoro, nei pressi di Matera, parve indispensabile un intervento concreto, specie in quei territori del Sud Italia da dove i giovani cominciavano a fuggire in cerca di lavoro. Il Progetto Policoro (dal greco polychorion, territorio ampio) nasce come rete di sostegno reciproco tra pastorali e forze laiche (delle associazioni coinvolte fanno parte anche Acli e Coldiretti). In sedici anni l’iniziativa ha formato ottocento animatori di comunità e ha messo in piedi oltre quattrocento attività che danno lavoro a circa tremila giovani. È passata dal coinvolgimento iniziale di Basilicata, Calabria e Puglia alla quasi totalità delle diocesi meridionali, guadagnando punti anche al Nord, grazie ai rapporti di reciprocità Calabria-Trentino, Campania-Lombardia, Sicilia-Piemonte e Puglia-Emilia Romagna.
 
Investire a casa propria
Ma torniamo alla «nostra» aula magna. Sempre più accoccolati nelle poltroncine, i ragazzi ascoltano il discorso d’apertura di monsignor Angelo Casile, direttore dell’Ufficio per i problemi sociali e il lavoro. La tensione della prima mezz’ora cede il posto all’impazienza di confrontarsi con i coetanei e con chi ne sa qualcosa in più sul «mestiere» dell’animatore di comunità. Ben presto i tre gruppi (I, II e III anno) si ritirano in altrettante aule oltre il corridoio. Peccato che la sottoscritta non goda del dono dell’ubiquità. Tre contro uno. Decido che la tattica migliore per una cronaca puntuale del convegno sia lasciarsi trasportare dalla corrente e fare come l’ape che si sposta di fiore in fiore. Esco dall’aula magna. Cinquantadue passi dopo, entro nel vivo della questione Policoro. I ragazzi del primo anno vantano una striminzita esperienza di animatori, eppure la voglia di raccontare i loro primi sette mesi è entusiasmante.
Sguardo stralunato, ma piedi ben saldi a terra, Giuseppe Familiari è un 25enne di Pozzuoli (Napoli) neo laureato in ingegneria aeronautica. A differenza di molti suoi compaesani, ha deciso di rimanere in patria e di impegnarsi per incentivarne lo sviluppo. Come? Accettando l’invito del suo vescovo a divenire animatore di comunità. Così, ora il giovane fa lo «sportello itinerante», bussando all’uscio di parrocchie, associazioni, scuole e biblioteche del territorio: «Oltre ad aiutare i ragazzi nella compilazione del curriculum vitae, organizzo incontri di evangelizzazione e cerco di seminare speranza per il futuro». Missione non facile, specie se si ha a che fare con una gioventù disillusa che guarda all’estero come all’unica via per realizzarsi. «A Pozzuoli circa il 30 per cento dei ragazzi emigra negli Usa, un altro 30 per cento va a lavorare sulle navi, e solo una minoranza rimane a casa, spesso accontentandosi di lavori che non hanno nulla da spartire con la formazione scolastica». Contro questa «fuga di cervelli» dalla località napoletana, il Progetto Policoro ha già raccolto qualche timido successo: «Mi sto occupando di un gruppo di giovani deciso ad aprire una cooperativa specializzata in corsi musicali», conferma Giuseppe Familiari.

L’avventura imprenditoriale è un passo che va ponderato bene. Ne sono convinti i ragazzi del terzo anno che, qualche aula più in là, discutono sugli ostacoli incontrati nella loro carriera di animatori. Una di questi è Virginia Soggiu, 27 anni, studentessa in scienze infermieristiche della diocesi di Alghero Bosa (Sassari), che ha dovuto combattere a lungo contro la paura di mettersi in gioco tipica dei giovani e contro la scarsa apertura mentale di parrocchie e associazioni. L’anno prossimo per Virginia scadrà il limite temporale per la sua missione. Ma a sostituirla è già pronta una ragazza del primo anno. Perché il Policoro è un Progetto a lunga scadenza, un bagaglio di nozioni tramandate, un seme che passa di mano in mano e che germoglia grazie al contributo di tutti. Seduta a pochi metri da Virginia, Caterina Mingazzini, 36enne, è l’animatrice più «nordica» di questo 25esimo corso di formazione. La sua diocesi, Imola, è stata tra le prime ad aderire al disegno partorito dal compianto monsignor Mario Operti, all’epoca direttore dell’Ufficio Cei per i problemi sociali e il lavoro. Eppure questa studentessa di scienze religiose non si sente affatto una mosca bianca. Intervallando parole a sorrisi, racconta di come il Progetto nato per contrastare la disoccupazione nel Meridione possa divenire laboratorio di speranza anche per il Nord Italia. A seconda del terreno dove sboccia, il Policoro assume, infatti, diverse sembianze. «Se al Sud si concretizza principalmente nella nascita di nuove cooperative – spiega Caterina –, al Nord il Progetto può aiutarci a conoscere meglio il territorio, proponendo una “imprenditoria cristiana” che combini fede e vita quotidiana e favorisca l’unità della Penisola».
 
Da Bergamo a Fuscaldo
Le ore trascorrono in fretta nelle sale della Domus Mariae trasformate in aule scolastiche. Nei quattro giorni del corso (il quinto è dedicato all’incontro dei giovani con papa Benedetto XVI, a San Pietro) i ragazzi hanno messo a confronto esperienze, imparato a valutare i singoli casi e, soprattutto, a non perdere mai le speranze. Neppure quando mancano fondi o quando la parrocchia stessa sembra disinteressarsi al loro operato. Le vie del Signore sono infinite, anche se a volte per seguirle è necessario rivoluzionare una vita intera. Lo sa bene Giusy Brignoli, formatrice 37enne ed ex animatrice di comunità, che da Bergamo ha dovuto trasferirsi a Fuscaldo, in Calabria, per trovare la propria strada. Una decisione sofferta e incompresa, specie dagli amici e dalla famiglia. Ma quando ne parla, nonostante siano trascorsi ormai dodici anni, il volto di Giusy si accende di una luce speciale. «Andai in Calabria per organizzare un campo estivo e rimasi impressionata dal contrasto tra la bellezza del territorio e le enormi problematiche socio-economiche». È un colpo di fulmine: Giusy rinuncia alla sua agiata vita da maestra nel cuore della Pianura Padana per andare a vivere in un paesino di appena 8 mila abitanti, distribuiti su sessanta chilometri quadrati di campagna semi-incolta. Insieme con altri tre soci (oggi sette) – tutti laureati – mette in piedi la cooperativa tessile-agricola «Il segno». L’obiettivo? Offrire posti di lavoro ai giovani e restituire dignità alla figura dell’agricoltore. «Ora abbiamo due ettari di terra coltivata e una terrazza dove organizziamo serate artistiche, mostre e proiezioni. In un territorio frammentato come Fuscaldo fare impresa significa lavorare sulla mentalità delle persone, educarle alla legalità e alle buone prassi. Non dimentichiamo mai – conclude Giusy – che l’ignoranza è il peggiore di tutti i mali».
 
Una «Nuvola» di soddisfazioni
Sguardo risoluto, sorriso contagioso e carico di speranza, Irene Milone è la prova vivente che il Progetto Policoro non è solo un bel sogno. Presidente 43enne di uno dei maggiori consorzi italiani – il Consorzio «Nuvola» –, questa pedagogista originaria della diocesi di Oria (Brindisi) ha raggiunto il luogo del corso per dare testimonianza della lunga scalata avviata dal fratello Giuseppe, animatore di comunità morto nel 2000, e da lei portata a termine. Oggi il Consorzio Nuvola comprende quindici cooperative che si occupano di disabilità, accoglienza di immigrati, inserimento lavorativo, assistenza agli anziani e formazione. Con un fatturato che ha raggiunto i 9 milioni di euro nel 2011, dà lavoro a trecento persone, quasi tutte assunte a tempo pieno. E, come se non bastasse, offre possibilità di crescita professionale: basti pensare ai sette operai che in altrettanti anni sono diventati dirigenti. Il Consorzio Nuvola rappresenta il primo grande successo targato Policoro: «Il Progetto ha il merito di averci inserito in una rete imprenditoriale di associazioni e cooperative», ammette Irene che, quindici anni fa, aveva viaggiato fino alla diocesi di Forlì-Bertinoro per imparare dagli emiliani a fare business plan e a mettere a frutto le risorse del suo territorio. «Rimasi quattro mesi a lavorare nelle cooperative del forlivese. Pelavo patate, stiravo e, nel contempo, studiavo il sistema cooperativo aggregato». Una formazione su misura che Irene sfrutta, una volta tornata a casa, per avviare il Consorzio di Francavilla Fontana (Brindisi). Ma i tempi cambiano e la crisi non guarda in faccia nessuno. Il 2006 segna l’inizio di un periodo difficile per il consorzio pugliese. L’unica strategia vincente sembra essere quella di inventarsi nuove attività. «Iniziammo a investire in asili nido privati e a gestire alcuni centri di accoglienza per immigrati –conferma Irene Milone –. Dal 2008 al 2011 abbiamo seguito circa 12 mila immigrati, in particolare nordafricani e pakistani. Molti avevano soltanto bisogno di un parere legale o miravano al ricongiungimento familiare». Altri, invece, hanno trovato nella cooperativa una sorta di famiglia, oltre che un lavoro: «Circa il 10 per cento di chi opera nei nostri centri di accoglienza è a sua volta immigrato». Anche questo è Policoro.
 
Monsignor Angelo Casile
Un sogno divenuto realtà

«Voto: 10. Per la lode, ci stiamo attrezzando». L’aggettivo «soddisfatto» riferito a monsignor Angelo Casile ora come ora sarebbe riduttivo. A fargli dare letteralmente i numeri è il bilancio dei sedici anni di vita del Policoro in Italia. Il Progetto nato per sconfiggere la disoccupazione al Sud (e poi nel resto d’Italia) gli scorre ormai nelle vene, così come il ricordo del suo fondatore, don Mario Operti, con cui Casile collaborò dal 1999 al 2000. «Il Policoro, inteso come laboratorio di speranza per le nuove generazioni, era il suo sogno. Un sogno che ora sta pian piano divenendo realtà». Il segreto sta tutto nel binomio prevenzione-educazione. «Optare per la strada imprenditoriale significa mettere a frutto le competenze che Dio ci ha dato, riscoprire noi stessi e imparare a camminare con le nostre gambe – spiega Casile, a capo dell’Ufficio Cei per i problemi sociali e il lavoro dal 2008 –. Ogni attività nata in seno alle diocesi è espressione di quella libertà di cui parla il Vangelo». Ma il libero arbitrio senza una guida è un po’ come un’arma a doppio taglio. «Grazie all’annuncio del Vangelo promosso dal Progetto, tanti giovani non sono caduti nelle mani della criminalità. Dal ’95 a oggi il Policoro ha formato e “liberato” centinaia di ragazzi». A detta di monsignor Casile, la ricetta per evitare che la crisi economica si trasformi in crisi di vita è semplice e si può riassumere così: sperare col cuore, pensare con la mente, agire con le braccia. In altre parole, lavorare insieme per evangelizzare il prossimo, educare al lavoro dignitoso e favorire l’imprenditoria giovanile come mezzo di rinascita per l’intero Paese. «Mai lasciare che le avversità abbiano la meglio, che il male s’impadronisca del nostro cuore o imprigioni le nostre mani – conclude monsignor Angelo –. Davanti alle tragedie, meglio stringersi intorno a Dio e attingere da lui quanta più serenità possibile».
 
Don Nicolò Anselmi
Futuro in comunione

Trovarsi soli ad affrontare le grandi questioni della vita: ecco la paura più diffusa tra i ragazzi d’oggi secondo don Nicolò Anselmi, direttore del Servizio nazionale per la pastorale giovanile, uno dei tre cuori pulsanti del Progetto Policoro. «Intimorite da un mondo adulto troppo istituzionale, le nuove generazioni sono sempre più difficili da avvicinare. Si chiudono nell’individualismo e restano ancorate a relazioni di superficie», spiega don Anselmi. Se è vero che l’errore più grande che un giovane può commettere è quello di sacrificare i sogni e perdere brandelli della propria identità lungo il percorso di affermazione, è altrettanto vero che abbandonare la terra d’origine alla ricerca di fortuna equivale il più delle volte a recidere preziose radici. In questo senso, il Progetto Policoro tenta di boicottare il flusso dei cosiddetti «cervelli in fuga» e mira a costruire un futuro lavorativo laddove mancano prospettive. La missione è complessa, ma con l’aiuto della fede diventa possibile. «Mi riferisco – continua don Nicolò – alla fede incarnata mostrataci da Gesù, una fede in grado di parlare alla vita e produrre azioni concrete». Ma, sempre secondo il direttore del Servizio per la pastorale giovanile, per superare la crisi odierna alla fede va associata la solidarietà concreta. La ricetta arriva dagli Atti degli apostoli. Se è vero che già nel I secolo dopo Cristo «la moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola; nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma tra loro tutto era comune e nessuno era bisognoso», a maggior ragione oggi il futuro dell’uomo dipende dalla sua capacità di mettere in comunione i beni materiali così come quelli spirituali.
 
Don Francesco Soddu
L’attesa che premia

L’immagine del contadino che semina, coltiva e aspetta fiducioso i frutti del raccolto rende bene l’idea. «La pazienza è la virtù dei forti» recita il proverbio; ne è convinto anche don Francesco Soddu (dallo scorso gennaio alla guida di Caritas italiana) che del Policoro è da sempre sostenitore. «Nonostante i legami e le reciprocità già create, il Progetto necessita di lunghi tempi di gestazione – dice Soddu –. Ecco perché non ha senso pretendere risultati immediati». Prima vengono la formazione e l’impegno, poi la decisione di «darsi al prossimo». «Solo entrando in relazione con l’altro l’essere umano diviene davvero tale – spiega il direttore di Caritas Italiana –. Specie in questi momenti di crisi diffusa, la speranza è fondamentale per restituire senso alla vita. Guai a vedere solo le difficoltà che si presentano lungo il cammino». Un monito rivolto soprattutto alle nuove generazioni che, a dispetto delle apparenze e nonostante l’incertezza in cui navigano, «sono ancora piene di entusiasmo e voglia di mettersi in gioco». Ben venga dunque il Progetto Policoro come àncora di salvezza contro l’apatia e la criminalità che da secoli bloccano lo sviluppo del Mezzogiorno. Ma anche come strumento per riavvicinare Nord e Sud del Paese: «Complice la crisi, oggi le difficoltà appaiono quanto mai generalizzate in Italia, così come all’estero». Non a caso, secondo don Francesco il Progetto Policoro potrebbe essere esportato con successo anche fuori dai confini nazionali. «Di recente ho ricevuto la visita del vicedirettore di Caritas Grecia – conclude Soddu –. Mi ha parlato della situazione disperata in cui versa il suo Paese, strozzato dalla crisi e dalla disoccupazione. Così, presto vi faremo un sopralluogo per valutare le possibilità di sviluppo e poi, magari, ipotizzare un Policoro su misura».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017