Petrarca: un poeta alla corte dei Carraresi

Uno dei padri della lingua italiana e dell'umanesimo europeo visse gli ultimi anni tra la città del Santo e Arquà, che ora lo ricordano nel settimo centenario della nascita.
30 Giugno 2004 | di

Le celebrazioni per il settimo centenario della nascita di Francesco Petrarca coinvolgono città  di mezza Europa, tanti sono i luoghi in cui la curiosità  intellettuale ha condotto il grande poeta considerato, con Dante Alighieri e Giovanni Boccaccio, padre della lingua italiana: da Arezzo, dove è nato nel 1304, ad Arquà  (oggi Arquà  Petrarca) sui Colli Euganei, presso Padova, dove ha concluso, nel 1374, la sua intensa esperienza terrena. E tra i due estremi: Montpellier, Avignone, Bologna, le Fiandre, la Renania, Parma, Verona, il Tirolo, Venezia. Un viaggiare fecondo: di incontri e di esperienze letterarie che fanno di lui un iniziatore dell'umanesimo.
Padova si inserisce nelle celebrazioni, tra l'altro, con una mostra, Petrarca e il suo tempo, di modeste dimensioni, ma interessante. Non fosse altro per la presenza del codice Vaticano latino 3196, ritenuto tra i più preziosi della lirica italiana con le sue trenta carte scritte, in tempi diversi, dal Petrarca stesso.
Il tempo, poi, è quello della Signoria dei Carraresi, quando in Padova fiorivano rigogliose la cultura, l'arte, la scienza, la musica... testimoniate dalla mostra e dai percorsi ad essa collaterali nei luoghi che conservano memorie petrarchesche: dalla casa che abitò nei pressi del duomo, al complesso del Santo - dove, nella cappella di san Giacomo e nell'oratorio di san Giorgio, Altichiero da Zevio, tra i personaggi che affollano i suoi affreschi, ha collocato anche il Petrarca - alla chiesa degli Eremitani, che accoglie il monumento funebre di Jacopo II da Carrara sul cui sarcofago sono scolpiti sedici versi latini che il poeta dedicò all'amico mecenate assassinato, al Palazzo della Ragione e così via per finire ad Arquà , nella bella casa tra il verde dove il poeta trascorse gli ultimi anni di vita.
Petrarca era dunque di Arezzo. Suo padre, colto e ambizioso notaio, cercò di avviare lui, e l'altro figlio, Gherardo, alla sua proficua professione mandandoli a studiare Diritto all'università  di Bologna. Ma buttò i suoi soldi perché, morto lui, i due abbandonarono i codici per andare là  dove li conduceva il cuore. Gherardo si fece frate e si distinse per spirito di carità  e coraggio. Francesco seguì la sua vera passione, la poesia, i classici latini, nella cui lingua, che prediligeva, compose un poema eroico sentimentale, Africa, che gli servì, sia pure incompiuto, come referenza per ottenere, sostenuto da influenti amici come i Colonna, l'incoronazione poetica a Roma. Un evento che segnò la sua fortuna letteraria. Al volgare (la lingua italiana), affidava invece i suoi sentimenti segreti: per Laura, ad esempio, la donna amata e mito centrale della sua poesia.

Jacopo II da Carrara lo chiama a Padova
Ammirato e corteggiato dai nobili (i Colonna, che lo ospitarono ad Avignone e gli regalarono una casa a Valchiusa, Azzo da Correggio, signore di Parma, che gli donò un ritiro a Selvapiana nella valle dell'Enza, i Visconti di Milano...), il poeta giunse a Padova invitato da Jacopo II da Carrara che, nel 1349, gli apriva la sua reggia e lo faceva canonico della cattedrale con un beneficio annuo di 200 ducati d'oro e una casa nei pressi della cattedrale (in vicinia majoris ecclesiae).
Nonostante privilegi e onori, l'inquieto poeta lasciò presto Padova. Vi ritornò nel febbraio dell'anno seguente per un evento importante: veniva a Padova il cardinale Guido de Boulogne, a ringraziare il Santo per essere scampato alla peste nera. Nell'occasione, presenti Jacopo da Carrara, il vescovo Ildebrandino Conti, il patriarca di Aquileia Bertrando di Saint-Geniès, uno stuolo di maggiorenti e di popolo, il rappresentante del Papa presiedette la cerimonia liturgica durante la quale le spoglie mortali di sant'Antonio furono definitivamente traslate in una cappella appositamente predisposta e lui stesso depose il mento del Santo in un prezioso reliquiario creato da un orefice padovano.

Promotore di concordia e di pace
Il poeta partecipò anche al Concilio indetto dallo stesso cardinale per mettere pace tra il patriarca di Aquileia e il conte di Gorizia. Dal monastero di santa Giustina, poi, inviava una lettera all'imperatore Carlo IV, che risiedeva a Praga, invitandolo a scendere in Italia come restauratore dell'Impero, intravedendo in lui un elemento di pacificazione e di stabilità . Petrarca pacifista? Di certo non amava le guerre, che i signori del tempo scatenavano a ritmo continuo per espandere i propri domini. Nel marzo dell'anno seguente, 1351, inviterà  il doge Andrea Dandolo a desistere dalla guerra fratricida con Genova.
La sosta a Padova fu breve. Vi ritornò di fretta verso la fine dell'anno, quando gli giunse la notizia che l'amico Jacopo era stato assassinato: per lui detterà  l'epitaffio sopra citato.
Nelle brevi soste patavine accoglieva nella sua casa gli amici, come il vescovo Ildebrandino, Francesco da Carrara - il nuovo signore della città , che lo venerava - i professori dell'Università . Un giorno andò a fargli visita Giovanni Boccaccio, messaggero del Senato fiorentino. Tu eri tutto preso dalla lettura dei testi sacri - ricorderà  in una lettera -; io, avido di possedere tue composizioni, m'occupavo senza posa, scrivendo, a trarne copia. Calando la sera, sorgevamo insieme dal lavoro e andavamo nel tuo orticello, già  adorno di fiori e di fronde per la primavera nascente.....
Ma poi eccolo ancora in giro per l'Italia, spinto dall'irrequietezza, disputato da vescovi e principi che ricorrevano a lui anche per negoziati politici.
Nel 1361 ritornò a Padova, deciso di rimanervi, ma la peste (quella descritta da Boccaccio nel Decamerone e che uccise Laura) lo obbligò a trasferirsi a Venezia: vi rimase sette anni, in un palazzo sulla riva degli Schiavoni messogli a disposizione dalla Serenissima in cambio del lascito della sua preziosa biblioteca.
Ma Francesco da Carrara continuava a mandargli appelli a ritornare e quando andò a Udine a rendere omaggio all'imperatore Carlo IV, lo volle al suo fianco. Alla fine il poeta, convinto da tante attenzioni, cedette e si stabilì nella città  del Santo, ammirato e corteggiato da amici vecchi e nuovi. Fu un periodo intenso dedicato al lavoro per completare il poema Africa, e altri capolavori, come i Trionfi, il Canzoniere e per riprendere, sollecitato dal Carrarese, il De viris illustribus, una galleria di ritratti di personaggi dell'antichità .
Nel 1367, papa Urbano V decideva di lasciare Avignone per riportare a Roma la sede del papato. Ricordando le lettere che il Petrarca gli aveva inviato per invitarlo a porre fine al turpe esilio avignonese, il Papa lo invitò a Roma. Nonostante le non buone condizioni di salute, il poeta si mise in viaggio ma, giunto a Ferrara, cadde in uno stato di catalessi protrattosi per oltre trenta ore, che lo fece credere morto. Si riprese, ma quell'episodio fu un campanello d'allarme: aveva bisogno di un riposo tranquillo e degno di lode, come gli aveva suggerito il Boccaccio. Decise allora di costruirsi una casa ad Arquà  su un terreno che il sempre premuroso Francesco da Carrara gli aveva donato: un luogo splendido.

Ad Arquà  sui Colli Euganei
Nel 1370 la casa di Aquà  era finita. Qui fra i colli Euganei, a non più di dieci miglia da Padova - scriveva al fratello Gherardo -, mi sono costruito una casa piccola ma deliziosa, cinta da un oliveto, da una vigna, che danno quanto basta a una famiglia numerosa ma modesta. E qui, benché ammalato sono pienamente tranquillo. Lontano da ogni confusione, ansia e preoccupazione, passando il mio tempo a leggere e scrivere.
La famiglia numerosa era formata da Francesca, la figlia naturale, dal genero, Francescuolo da Brossano, al quale il poeta era molto affezionato, dalla loro figlia Eletta, dal fido segretario Lombardo Della Seta e da altra servitù...
Con l'occhio che spaziava sulle linee ondulate dei colli e sugli arditi coni di Calaone, si dedicò alla dolce fatica della penna... Di pensiero in pensier, di monte in monte . Fatica che raramente interruppe. Una volta fu per recarsi, assieme allo sconfitto signore di Padova, a rendere omaggio e a chiedere perdono al Senato della Serenissima. Il poeta stesso lesse il di-scorso che aveva preparato per l'occasione e assistette all'umiliazione dell'amico vinto, il cui figlio, Novello, dovette prostrarsi ai pedi del doge.
Nel novembre del 1373 scrisse la famosa lettera a Francesco da Carrara, su come debba comportarsi chi ha il compito di governare una città  (Rem publicam): in essa elogiava Padova, città  nobilissima per splendore d'illustri famiglie, per antichità  d'origine e per fasti religiosi e civili.
Poi, nella notte tra il 18 e il 19 luglio 1374, mentre vegliava nel piccolo studio, moriva improvvisamente. I funerali si svolsero il 24 luglio con l'intervento di numerosi nobili e prelati.
La salma fu posta in una tomba in marmo rosso di Verona, collocata su quattro colonne, fatta erigere dal genero Francescuolo e nella quale ancora riposa. Più volte manomessa, la tomba e quel che essa contiene sono stati sottoposti in questi giorni a studi attenti, diretti dall'anatomopatologo padovano, professor Vito Terribile Viel. Da essi è emerso, tra l'altro, che la testa, ridotta in frantumi in occasione di una ricognizione effettuata nell'Ottocento, non è del Petrarca, ma di una donna non meglio identificata.


 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017