Pedofilia: troppi usano la lente d’ingrandimento

Dietro l’enfatizzazione del binomio preti-pedofilia si vuole nascondere tutto il marcio di una piaga in realtà senza confini e dai mille volti.
21 Giugno 2007 | di

LETTERA DEL MESE

«Carissimo direttore, provo disgusto per il subdolo uso che il giornalista Santoro ha fatto del caso dei preti pedofili per accusare papa Benedetto XVI, quando, cardinale a capo del Dicastero della dottrina della fede copriva, secondo il giornalista, con silenzi e direttive i casi di pedofilia di alcuni preti. Provo disgusto, al di là delle immagini acquistate dalla BBC con i soldi di molti contribuenti, perché alcuni video erano frecce avvelenate contro la figura del Papa. Mi domando perché Santoro non parla delle violenze che avvengono pure nelle Chiese protestanti, oppure nelle madrasse islamiche, oppure del traffico di tanti innocenti, bambini di strada, venduti per soddisfare i capricci di occidentali che si recano in quei Paesi del terzo o quarto mondo per il cosiddetto “turismo sessuale”».

C. F.


La polemica non è mancata, prima, durante e dopo. La puntata di Annozero sui preti pedofili, in tv in prima serata giovedì 31 maggio, ha fatto parlare di sé, vuoi per il tema insolito e provocatorio, vuoi per il fatto che la presentazione del problema è stata affidata a un filmato tendenzioso e di parte: Sex Crimes and the Vatican, «Crimini sessuali e Vaticano», realizzato dal giornalista Colm O’Gorman. Il regista fornisce delle storie raccontate in modo del tutto unilaterale e senza contraddittorio alcuno, perseguendo ossessivamente il suo obiettivo: screditare la Chiesa cattolica e i suoi ministri ordinati. Ma c’è di più. Si evoca in modo insistito lo spettro del Vaticano e più in particolare si tenta di coinvolgere in questa dolorosa storia di nefandezze – tra l’altro con impressionanti imprecisioni storiche – la figura del cardinale Ratzinger oggi Benedetto XVI. Coperture, pesanti connivenze, ma soprattutto l’aver girato la testa dall’altra parte per troppi anni: ecco i principali capi d’accusa imputati a una Chiesa che sarebbe tutta marcia, inaffidabile, insomma troppo esposta su questo fronte per poter anche solo tentare di difendersi.
Per fortuna in studio erano state invitate due figure di spicco del cattolicesimo italiano, che hanno saputo entrare nel clima della serata senza subirlo, e hanno offerto agli spettatori momenti di grande emozione e verità. «Ho un profondo senso di tristezza per le vittime e per il dolore delle loro famiglie. La pedofilia è tra i crimini più orribili, non può esserci omertà, non può esserci nascondimento dei fatti. Chiunque sa, deve denunciare», dice monsignor Fisichella. E più avanti: «Quelle persone non dovevano diventare preti, tra le loro vittime c’è anche la Chiesa, i tantissimi preti che non hanno nulla di cui vergognarsi e sui quali quei criminali hanno gettato discredito». Mentre don Fortunato Di Noto, sacerdote in prima linea contro gli abusi, comunica i numeri dell’infamia: il problema colpisce 150 milioni tra bambini e bambine nel mondo, nelle varie forme: sfruttamento sessuale, pedopornografia, turismo sessuale, ecc. Se questo non alleggerisce di niente le responsabilità di alcuni uomini di Chiesa, ci mostra le vere dimensioni del problema, quelle che la trasmissione ha volutamente trascurato per usare invece un’ideologica lente d’ingrandimento.

In un convegno svoltosi a Milano l’8-9 di giugno sugli abusi sessuali su minori, organizzato dall’associazione Iad Bambini Ancora, sembra siano emersi dati sconcertanti. Nel nostro Paese un ragazzo su sei sarebbe stato vittima di abusi nell’infanzia o nell’adolescenza: ogni anno si conterebbero 40 mila nuovi casi. Ho usato volutamente il condizionale, perché sulle cifre che riguardano la pedofilia bisogna andare cauti. In troppi ormai «danno i numeri». Ma, al di là della cautela, rimane il fatto che il fenomeno è ampiamente diffuso ed è giusto parlarne, soprattutto per chi ne è stato vittima e in questo modo può sentirsi meno isolato. Purché la lente d’ingrandimento utilizzata dai media non deformi la realtà e sia libera da pregiudizi ideologici. Ci vuole correttezza, in ogni caso.

 

LETTERE AL DIRETTORE


Fare i nonni a tempo pieno fa bene ai nipoti

«Caro direttore, sono nonna di tre bellissimi nipoti, Marco, Giulia e Francesco, una nonna felice perché ho avuto l’opportunità di vederli crescere seguendoli da vicino. Devo dire che insieme a mio marito ho comunicato loro tutto quanto di meglio un nonno può trasmettere; ho raccontato la mia vita quotidiana – di quando io stessa ero piccola – i miei giochi e anche le mie piccole marachelle. Ma devo ammettere che da loro ho ricevuto molto di più: una gioia e un’allegria indicibili che, ora, nel caso di uno di questi tre nipoti, sono purtroppo venute meno.

«Mio figlio, dopo otto anni di matrimonio, si è infatti separato. Il giudice ha affidato il bambino alla madre. Di fatto non lo vedo più, perché mia nuora trova sempre qualche scusa per non farci incontrare. Una situazione che mi provoca un grande senso di impotenza e, ancor più, una tristezza infinita».

Lettera firmata

Cara lettrice, il tema che lei solleva è molto sentito. Altri nonni mi hanno scritto esprimendo tutta la loro sofferenza e il loro disagio per lo spezzarsi improvviso del legame con nipoti che, in molti casi, hanno contribuito ad allevare e a crescere. Nonni che hanno dovuto fare i conti, prima ancora, con le separazioni dei figli e tutti i drammi che stanno dietro la fine di un rapporto. Nonni che hanno cercato di dare una mano ai figli già prima del matrimonio, garantendo loro la possibilità, ad esempio, di studiare e conseguire una laurea; e che poi li hanno aiutati nei primi passi della vita matrimoniale, sobbarcandosi l’onere di accudire i nipoti.

Non si può negare che molti di questi sono cresciuti anche grazie all’amore, insostituibile, di tanti nonni. Che, come si sa, li hanno accontentati, disposti a chiudere un occhio ben più di quanto avrebbero fatto con i loro stessi figli. Al contempo, però, queste figure hanno rappresentato per i ragazzi dei solidi riferimenti, come testimonia la nostra lettrice.

Che dire? A mio parere niente e nessuno può sostituire il bene prezioso di saggezza, umanità e cura che sta dentro l’amore di un nonno per il proprio nipote. Un amore che è un dare, continuo, ininterrotto e, prima di tutto, gratuito. I nonni non chiedono nulla, se non di poter stare con i propri nipoti e rendere fecondo uno scambio tra generazioni che rappresenta uno dei punti di forza della nostra società. Anche se il cammino in tal senso, come abbiamo visto, non è sempre facile. Posso dirle, comunque, che in Parlamento giace una proposta di legge sull’«affido condiviso» che riconosce ai nonni un ruolo di primo piano. Si tratta di una proposta «bipartisan» che ha trovato largo consenso nei vari schieramenti politici. L’augurio è che si proceda con celerità, poiché la posta in gioco è davvero molto alta. Almeno per quanto riguarda il benessere di figli e nipoti, niente ritardi o deroghe.



Giornalisti accompagnati da poche «lucciole»

«Ho assistito in televisione all’eco della sfilata di prostitute che si è tenuta a Padova il 16 maggio, contro l’ordinanza del sindaco Flavio Zanonato che ha istituito una multa per i clienti delle “lucciole”. Francamente ne sono rimasta alquanto turbata: mi ha colpito il risalto che è stato dato allo show, ma in tutti i canali televisivi dove si parlava del fatto non ho trovato una chiave di lettura che mi aiutasse a leggere l’evento che ho giudicato eccessivo, soprattutto nella città del Santo».

Lettera firmata

Gentile lettrice, il fenomeno della prostituzione e soprattutto di chi la sfrutta e ne trae ricchi proventi, è una piaga grave sulla quale dobbiamo tutti riflettere e interrogarci senza la presunzione che ci siano soluzioni a buon mercato. A causa del flusso dell’immigrazione clandestina e sulla base di stime approssimative, si può dire che il fenomeno negli ultimi anni è in ulteriore espansione oltre che in una fase di diversificazione. Questo comporta disagi notevoli in particolare per gli abitanti delle zone maggiormente «trafficate», e la cosa non può essere sottovalutata da chi ci governa. Vanno cercate soluzioni realistiche e condivise.

Ma veniamo alla situazione padovana: qui il sindaco della città, Flavio Zanonato, ha tentato una sua soluzione attraverso un provvedimento che prevede una sanzione per i «clienti» che si «accostano» in auto per contrattare prestazioni sessuali a pagamento, ma che colpisce anche chi ostenta abiti discinti e poco decorosi in pubblico per oltraggio al comune senso del pudore.

Sul provvedimento in se stesso non mi soffermo, perché è quasi inutile ribadire che il problema non viene intaccato nella sua sostanza. Aggiungo però una considerazione di buon senso: da qualche parte, anche in una prospettiva «parziale», si deve pur cominciare.

Raccogliendo il suo disappunto e il suo stupore per la «messinscena» della sfilata, la invito a riflettere su un’altra questione, a mio parere molto eloquente, e cioè sul fatto che i mass media hanno, mi passi il termine, «vetrinizzato» per qualche giorno la città del Santo descrivendola come italica capitale del sesso da marciapiede. Niente di più falso poiché quel 16 maggio in corteo a Padova, delle centinaia di prostitute attese ne sono arrivate una trentina appena, di cui solo due italiane. Più di un centinaio invece i giornalisti in cerca di notizie (ma quali?) che hanno seguito la manifestazione, con molto folklore – per lo più festaiolo, ma anche duramente critico – da parte della piccola folla di cittadini curiosi. Bisogna inoltre riconoscere che in passerella più che prostitute c’erano trans, gay, travestiti in cerca di affermare i propri diritti, ognuno di questi sotto assedio mediatico da parte di numerosi e zelanti cronisti. Nemmeno l’ombra, molto probabilmente, delle prostitute sfruttate, minorenni, magari illegali, sequestrate e controllate dai clan malavitosi. La qual cosa ha tolto al corteo, già numericamente magro, ogni presunta vanteria «rappresentativa».

Se una chiave di lettura può essere suggerita, è sicuramente quella che invita a guardare oltre le apparenze, evitando di farsi imbrigliare nelle maglie di una comunicazione sguaiata e sopra le righe in cerca dello scoop. Rimanendo nella scia di questo tipo di informazione, c’è il rischio di alimentare la superficialità del giudizio e concretamente di appannare il dolore e la sofferenza che si cela dietro un fenomeno turpe dove a farla da padrone è lo sfruttamento per il profitto e la negazione dei diritti più elementari. Queste cose – e lo diciamo con rincrescimento – non sono emerse o sono emerse troppo poco sia dai resoconti in diretta sia dai molti programmi organizzati intorno all’«evento», e ancora una volta il vero problema è stato rimosso.



Caro amico non ti scrivo. Eccoti un’e-mail

«Nel mio lavoro, durante le ore d’ufficio, comunico prevalentemente con e-mail, raggiungendo così molti Paesi stranieri e lontanissimi e rimanendo costantemente contattabile on line. A volte cerco d’immaginare come sarebbe la mia giornata senza questo strumento ormai indispensabile… Quando poi torno a casa mi prendo cura della posta elettronica del mio indirizzo personale, naturalmente sempre zeppo di pubblicità spazzatura, e ho come l’impressione che la giornata lavorativa non finisca mai. Ciò che da una parte mi sembra una benedizione, dall’altra mi crea seri problemi di invasione dello spazio personale con annessa frustrazione per non riuscire di fatto a rispondere a tutti coloro che attraverso e-mail entrano in contatto con me».

Lettera firmata

Certe fortune si pagano, e caro, nel senso che quando uno strumento di comunicazione ci offre una reale possibilità, bisogna anche fare i conti con il rovescio della medaglia. Tutti più o meno hanno difficoltà a gestire la propria posta elettronica, e la tentazione di cancellare l’interminabile fila di messaggi messi in parcheggio è grande. Ci trattiene un vago senso di colpa, per cui si rimanda a domani o a dopodomani il problema, la formulazione di una breve risposta che rappresenti per il nostro interlocutore almeno un cenno di «messaggio ricevuto». Per non parlare della pubblicità spazzatura che ci costringe a cernite accurate per non rischiare di aprire messaggi inutili, decisamente invadenti e non raramente sgradevoli. Sarà così il nostro futuro? Molto probabilmente da così a peggio, visto che nel 2006 sono state seimila miliardi le e-mail di lavoro scambiate tra utenti della rete, e che nel 2007 i miliardi di e-mail inviate ogni giorno sono nella media 97, dei quali 40 di pubblicità spazzatura, cioè un bel po’ per ciascuno. Il primo aprile 2007, inoltre, sembra sia stato venduto il miliardesimo personal computer, che avrà cominciato da subito a lanciare a raffica e-mail in rete, per cui la strada è tracciata.

C’è qualche speranza, allora? Sì, ma solo se si passa a giocare in difesa, tutelandosi prima con filtri e protezioni dagli invadenti invasori, poi dai semplici conoscenti che chissà perché ci hanno inserito in una qualche mailing-list, e infine dagli amici pigri che potrebbero comunicare a voce o, nei casi più solenni, con carta e penna. Quando ne vale la pena, ritorniamo anche noi alla cara vecchia calligrafia, alla bella ed elegante stilografica.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017