Parrocchia fuori dalla crisi?

Dopo le difficoltà degli anni post-conciliari, la parrocchia sta tornando a essere cuore della vita liturgica, della catechesi e dell'educazione alla fede. Sacerdoti e laici insieme.
05 Aprile 2003 | di

C`€™è chi ne ha celebrato il funerale e chi la giudica struttura superata. Ma c`€™è anche chi la reputa, pur con qualche riserva, ancora funzionale alla vita della Chiesa e, quindi, degna di fiducia. Per questo i credenti sono invitati a riscoprirne la centralità . Il Papa stesso, di recente, s`€™è inserito con convinzione in questa linea definendola «scuola della santità », «laboratorio della fede» e «palestra della formazione».
La parrocchia, da sempre strettamente legata al territorio, negli ultimi anni è stata messa a dura prova dai mutamenti sociali e culturali, dalla crescente secolarizzazione, dal calo delle vocazioni sacerdotali e anche dalla presenza dei movimenti. Ora, superato in gran parte questo momento di seria crisi, si appresta a occupare nuovamente una posizione importante e centrale nella vita della Chiesa.
È anche per questo che la Conferenza episcopale italiana (Cei) le ha dedicato una speciale attenzione nel definire gli orientamenti pastorali per il decennio 2001-2010. In particolare, nell`€™anno in corso, durante il quale sarà  protagonista `€“ per citare solo due appuntamenti `€“ del Convegno missionario nazionale, programmato nel settembre 2003, e dell`€™Assemblea straordinaria della Cei, che si svolgerà  a novembre a Collevalenza.
Ma com`€™è cambiata, in questi anni di crisi, l`€™immagine della parrocchia? «In un tempo in cui i credenti e i praticanti erano maggioranza `€“ afferma don Antonio Fallico, parroco di Santa Maria in Ognina, a Catania, e docente di Pedagogia pastorale presso lo Studio teologico San Paolo della stessa città  `€“ il `€œcampanile`€ era un punto di riferimento. Oggi esso rischia di essere un `€œmonumento ai caduti`€, perché l`€™85 per cento dei battezzati non frequenta più la chiesa. Se fino a ieri, dunque, era il territorio a essere in funzione della chiesa, adesso è il contrario e la vera parrocchia non è più quella che sta attorno e sotto l`€™egida del campanile, ma quella che sta al di fuori, nel territorio».
Non è la prima volta che la parrocchia si è trovata ad affrontare periodi di crisi, anche consistente. Nata come istituzione intorno al VI secolo, con il compito di amministrare spiritualmente e concretamente la comunità  cristiana, la parrocchia resse bene sino all`€™anno 1000. Entrata, quindi, in crisi, fu aiutata a uscirne dalla nascita degli «Ordini mendicanti» (francescani e domenicani). Entrò nuovamente in un momento difficile tra XIV e XV secolo, dal quale si riebbe solo grazie al concilio di Trento (1545-1563) che le diede una struttura nuova ed efficace.
«Il nuovo momento difficile per la parrocchia è cominciato nell`€™immediato post-concilio `€“ spiega don Antonio `€“. Non riuscendo a realizzare la nuova immagine di Chiesa prospettata dal Vaticano II, la parrocchia è entrata in crisi di identità  e di ruolo. Trincerata in posizione di difesa, ha portato avanti la sua missione limitandosi quasi esclusivamente all`€™amministrazione dei sacramenti, alle devozioni e al culto. Ma ora essa sta riprendendo l`€™impegno per cui è nata: evangelizzazione, missione e servizio. I vescovi lo ripetono con forza: la parrocchia svolge un compito insostituibile nella Chiesa di oggi, è una cellula fondamentale».

Il nuovo volto della parrocchia

Probabilmente anche la diminuzione delle vocazioni sacerdotali ha favorito il rinnovamento delle parrocchie. C`€™è chi lo pensa e addirittura sostiene che «la mancanza di preti potrebbe essere uno strumento di Dio per `€œdeclericalizzare`€ la Chiesa, e far riscoprire il sacerdozio dei laici, cioè il fatto che il battesimo implica una partecipazione di tutti alla missione di Cristo». Su questa linea, da qualche anno sono state introdotte le «Unità  pastorali», cioè più parrocchie affidate a un solo sacerdote o a un gruppo di sacerdoti. La riorganizzazione chiama in causa i laici, in forme e modi nuovi. In Germania, per esempio, si stanno diffondendo i Pastoralrefent, laiche e laici che presiedono la liturgia della Parola in assenza del sacerdote e attuano molte delle attività  parrocchiali.
Anche in alcune parrocchie italiane, da qualche anno, opera il «manager parrocchiale». Nuova figura di laico entrato, con la sua professionalità , nella vita delle comunità  parrocchiali, esso affianca i sacerdoti nella gestione della comunità  o di alcuni aspetti della pastorale. Ma, nonostante i nuovi fermenti, per alcuni sopravvive un certo «clericalismo di ritorno». È vero? «Il Concilio `€“ prosegue don Antonio `€“ ha compiuto passi da gigante nella rivalutazione dei laici, chiamandoli in causa negli organismi consultivi (consigli pastorali, per esempio). Purtroppo, essi non sono ancora pienamente coinvolti nei luoghi dove si prendono le decisioni, cioè non figurano negli organismi deliberativi. E poi, dobbiamo stare attenti al clericalismo laico, perché non c`€™è nulla di peggio di un laico che si comporta come un prete. E viceversa».
Quale dovrebbe essere, allora, nella nuova parrocchia il ruolo specifico dei laici e dei presbiteri? «La Chiesa è nella sua interezza ministero, servizio, comunione e missione `€“ sottolinea don Fallico `€“ . Pertanto, tutti i battezzati ricevono carismi, cioè doni, che, riconosciuti dalla comunità , diventano ministeri. `€œLa dignità  è uguale per tutti i battezzati, figli di Dio`€, afferma il documento conciliare Lumen gentium. Ciò che cambia è il servizio. I laici saranno i nuovi missionari evangelizzatori della Chiesa del futuro; al clero rimarrà  il ministero della formazione, della guida, del discernimento, della garanzia della parola di Dio».
Il passaggio da una Chiesa retta da preti a una Chiesa in cui il soggetto diviene l`€™intera comunità  non è indolore. Anche perché richiede una serie di competenze e responsabilità  nuove, che non s`€™improvvisano. «Il soggetto di ogni pastorale è la comunità  ecclesiale `€“ insiste don Antonio `€“. Occorre, quindi, educare i battezzati, fin dall`€™età  infantile, al convivere, allo stare insieme, al sentirsi una cosa sola nella Chiesa. E per arrivare a questo non bastano i corsi di catechismo. È necessario che dai corsi si passi ai percorsi,cioè dall`€™apprendimento teorico della fede al coinvolgimento nella vita delle persone».
Un primo forte rinnovamento delle parrocchie è coinciso con il sorgere dei movimenti, gruppi di cristiani impegnati a vivere insieme anche la radicalità  del Vangelo. Tuttavia, questi movimenti hanno portato con sé anche tensioni, per la loro tendenza a costituirsi quasi come una «parrocchia nella parrocchia» e per l`€™incapacità  della parrocchia stessa di accoglierli e di affiancarsi a essi in modo pastoralmente limpido ed efficace.
Ma com`€™è oggi la situazione e quale contributo possono portare i movimenti al rinnovamento della parrocchia? «I movimenti e le aggregazioni `€“ continua don Antonio Fallico `€“ sono un dono dello Spirito Santo alla Chiesa contemporanea. Soprattutto negli anni del post-concilio, i movimenti hanno salvato generazioni intere di laici. Il loro errore più grande, secondo me, è stato di voler assolutizzare la loro esperienza entrando in conflitto con tutte le altre realtà  presenti nella Chiesa. Purtroppo, anziché esercitare il carisma che, come dice san Paolo, è dato dallo Spirito per il bene comune, a volte certi movimenti hanno strumentalizzato il bene comune per garantire il loro carisma. Oggi, però, mi pare che questa fase sia stata superata: i movimenti sono più maturi e manifestano un certo interesse al dialogo tra loro e con la parrocchia o la Chiesa locale».
Un tempo, il parroco si rapportava, in genere, con persone conosciute, nate e vissute nel paese e nella fede, oggi, invece, incontra spesso gente che viene da lontano e non ha la nostra fede. Come trasformare queste situazioni in sfide positive per le parrocchie? «Dinanzi a una società  multireligiosa come la nostra `€“ risponde don Antonio `€“ la parrocchia deve imparare ad aprirsi al dialogo, all`€™ascolto, alla collaborazione. Deve realizzare alcuni precisi passaggi: dall`€™impegno cultuale all`€™impegno culturale, cioè deve inserirsi di più nella vita della gente, nella sua mentalità ; dall`€™essere servita all`€™essere serva, attenta ai bisogni di tutti, a partire dai più poveri; dalla pastorale di conservazione (cioè di difesa dei propri diritti, in gran parte, purtroppo, clericali) alla pastorale di missione, andando al di là  dei confini e dei limiti ristretti del culto per evangelizzare anche coloro che nel `€œtempio`€ non vengono; infine, dal tempio alla strada, decentrando la parrocchia in piccole comunità  nel territorio».
Alla realizzazione di quest`€™ultimo «passaggio» (decentrare le parrocchie), don Antonio Fallico sta dedicando le sue energie: da tempo è, infatti, responsabile della «Missione Chiesa-Mondo», che si contraddistingue in Italia per il rinnovamento della pastorale parrocchiale attraverso le comunità  ecclesiali di base (Ceb), un`€™articolazione della parrocchia che si ramifica nel territorio.
Le comunità  ecclesiali di base rappresentano, dunque, uno degli strumenti che le parrocchie hanno oggi a disposizione per tornare a essere parà¡-oikìa, realtà  che «sta accanto», vicina alla casa, alla gente.

Volto casalingo della Chiesa

La parrocchia rimane, infatti, il volto «casalingo» della Chiesa, che la gente incontra nel luogo in cui vive e dove manifesta dolori e bisogni. Secondo una recente indagine condotta dal sociologo Franco Garelli (Sfide per la Chiesa del nuovo secolo. Indagine sul clero in Italia, edizioni Il Mulino - Eurisko) il 62,1 per cento delle persone che la frequentano chiedono alla parrocchia un aiuto materiale e il 53,1 per cento, momenti di socializzazione.
Ma in questo modo non si rischia, forse, di trasformare le parrocchie in semplici «sportelli di servizi sociali»? «Le parrocchie `€“ conclude don Antonio Fallico `€“ devono essere più aperte alle necessità  del territorio, della famiglia, ai problemi sociali in genere. La gente oggi ha bisogno di vedere che la parrocchia è vicina ai bisogni di tutti, a partire dai più poveri, dai lontani, che è tornata a essere voce di chi non ha voce. Questo non significa che essa debba risolvere tutti i problemi, ma li deve individuare per poi stimolare le istituzioni a risolverli. Perché una parrocchia deve essere interessata non solo alla salvezza dell`€™anima, ma alla salvezza integrale delle persone.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017