Paritarie cattoliche, si riparte

Sono un patrimonio pubblico che conta 9 mila istituti frequentati da oltre 700 mila studenti: dopo un’estate calda e un autunno che rischia di esserlo anche di più, le scuole cattoliche riaprono i battenti.
27 Agosto 2012 | di

Il primo giorno di scuola è sempre elettrizzante. Lo è per gli studenti, che ritrovano i compagni di classe e gli orari dettati dalla campanella; lo è per i genitori, che devono svegliare, motivare, accompagnare i figli a scuola; lo è per i docenti, che tornano a fare i conti con cattedra e alunni; lo è per i dirigenti scolastici, che si augurano sia tutto pronto per il via.
Questo succede dappertutto. Ma per chi frequenta una delle 9 mila scuole paritarie cattoliche sparse per l’Italia, poter entrare in classe a settembre significa anche tirare un bel sospiro di sollievo. Perché l’estate appena trascorsa, come purtroppo accade da alcuni anni, è stata una stagione di lotta e passione nella quale ha fatto capolino, per molti istituti, addirittura il rischio chiusura, a causa dei tagli del contributo statale. Nel settembre 2011, ben 605 scuole non hanno riaperto i battenti.
A questo punto, però, siamo costretti a fare un passo indietro, per evitare, come spesso succede affrontando l’argomento scuola, di impantanarci nel fango delle letture ideologizzate e delle parole dal doppio significato. Il testo base cui rifarsi, per chiarire, è la legge 62 del 2000, che all’articolo 1 dice: «Il sistema nazionale di istruzione (…) è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali».

Quindi: se si parla di «scuola pubblica» ci si riferisce a tutte le scuole, sia statali che paritarie. Tra queste ultime, i due terzi sono cattoliche. La vecchia contrapposizione tra «pubbliche» e «private» non ha più motivo di essere o, meglio, è impropria nei termini.
Ciò detto, ci si vorrebbe addentrare nel cuore della faccenda, ovvero la proposta educativa e valoriale della scuola paritaria cattolica. È l’aspetto più importante, ma ha il «difetto» di essere meno urgente di un’altra questione, quella economica.

Cronaca di un’estate infuocata
A partire dalla legge 62 sopra ricordata, lo Stato si è impegnato a sostenere le paritarie con uno stanziamento complessivo che si è sempre aggirato intorno ai 530 milioni di euro l’anno (511 nel 2012). Un finanziamento già di per sé sottostimato, ma comunque una risorsa. Nel 2009, tuttavia, questo sostegno è stato dimezzato in sede di definizione del bilancio annuale dello Stato, (ministro dell’Economia: Giulio Tremonti). Ecco il perché dei tira e molla delle ultime estati: da una parte l’eredità del taglio, dall’altra la battaglia delle paritarie – con i cattolici in testa – per ripristinare almeno la quota storica necessaria alla sopravvivenza. Che il contributo sia di sopravvivenza è facilmente comprensibile: sono di media una cinquantina di euro al mese a studente, sul mercato privato non basterebbero nemmeno per due ore di ripetizioni...

E veniamo, armandoci di pallottoliere, all’estate appena trascorsa. In discussione è il finanziamento 2013. Lo stanziamento ordinario è la metà (270 milioni) del budget dell’anno in corso (511 milioni), ma tutto lascia presumere che ci sarà il solito contributo integrativo a pareggiare i conti. Primo colpo di scena: il 4 luglio Francesco Profumo, ministro dell’Istruzione, annuncia che a bilancio per la paritaria ci sono 450 milioni di euro, ovvero 60 in meno rispetto al 2012. Ma non finisce qui: nelle bozze del decreto legge sulla revisione della spesa pubblica, la famosa spending review, era previsto per le paritarie il ripristino di 200 milioni di euro, ovvero la seconda parte, già stanziata, della quota annuale. Peccato che, all’atto della pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, quel capitolo di spesa sia sparito. Commenta Roberto Gontero, presidente dell’Associazione genitori scuole cattoliche (Agesc): «Nel giro di una notte, il taglio era tornato di 260 milioni. Cosa ha determinato questo cambio di rotta? Non sappiamo darci una spiegazione, se non tirando in ballo i soliti poteri forti». Sia come sia, si è di nuovo da capo. Sfuma anche il primo «appello» per ribaltare la questione, il 31 luglio, termine ultimo a disposizione del governo per presentare il bilancio annuale dello Stato. Non resta che l’ultima possibilità: un intervento della maggioranza parlamentare che voti un emendamento condiviso, alla volta di autunno inoltrato. Pdl, Pd e Udc sembrano essere su questa linea. Il problema è che a parole sono tutti – o quasi – d’accordo sull’importanza delle paritarie, un settore cui fa riferimento oltre un milione di studenti. Anche al ministero dell’Istruzione le dichiarazioni di principio non mancano, ma il taglio per ora resta. Allo stesso modo, la dichiarazione di Mario Monti dello scorso febbraio («Sono esenti dall’Imu le scuole che svolgono attività secondo modalità non commerciali») sembra venire smentita dall’arrivo, in alcune paritarie, delle cartelle esattoriali per il pagamento della prima rata. Si materializza così un’ulteriore spada di Damocle a pendere sulla testa delle scuole.

Stato: più taglia, meno risparmia
In realtà ci si dimentica con troppa facilità che le paritarie sono un affare d’oro per lo Stato. A fare i conti ci ha pensato l’Agesc, elaborando dati ministeriali del 2009. La spesa pubblica per ogni allievo della statale è di 6.635 euro; per un allievo della paritaria, invece, l’erario eroga 661 euro. Basta fare la sottrazione: il risparmio per lo Stato è di 5.974 euro a studente, ovvero, in totale, di 6 miliardi e 334 milioni l’anno! Il punto esclamativo è d’obbligo, perché siamo di fronte a uno splendido esempio di sussidiarietà: l’iniziativa dal basso del privato sociale integra, arricchisce e favorisce il sistema scuola, in più garantendo un esorbitante risparmio. Non a caso, la parità scolastica è un fiore all’occhiello per tanti Paesi europei, che, grazie alle finanze pubbliche, arrivano a coprire buona parte dei costi delle scuole non statali, con il picco della Svezia (93 per cento).

Un investimento simile da noi è irrealistico, ma è anche miope pensare che le paritarie possano farcela, sgomitando, con il 10 per cento scarso di quanto si spende per uno studente della statale. Figuriamoci con meno. Commenta Francesco Macrì, presidente di Fidae, la Federazione degli istituti di attività educative che associa la quasi totalità delle scuole cattoliche italiane: «Nessuno chiede la luna. Sarebbe sufficiente anche solo la metà di quanto si spende per la scuola statale per far funzionare la paritaria a livelli di eccellenza». Finora, della parità varata con la legge 62 si sono così «apprezzati» solo i lati più impegnativi, senza una vera controparte. «Sono cresciuti a dismisura gli adempimenti burocratico-amministrativi – denuncia Macrì –, si sono moltiplicate le promesse di sostegno dall’una e dall’altra parte politica, i gestori delle scuole paritarie hanno messo in cantiere molte attività per qualificare il personale e modernizzare strutture edilizie e strumentazioni didattiche, ma l’annunciata parità è rimasta una chimera». Ancora più netto Roberto Gontero: «Avevamo grandi speranze sul percorso che iniziava con la 62, ma forse questa legge sulla parità, più che fare il bene del sistema scuola, sta danneggiando sia la statale, sempre più monopolista, sia la paritaria, zavorrata verso il fondo. Il pluralismo scolastico è rimasto sulla carta, affossato dalle scelte economiche. Dispiace che anche il presente governo dimostri di non averlo capito. Chi resisterà, poi, sarà costretto ad aumentare le rette. Io rappresento i genitori: le assicuro che nella paritaria per la maggioranza ci sono famiglie del ceto medio basso, che hanno a cuore una particolare tipologia di educazione e sono disposte a investire in questo, ma possono farlo entro un certo limite. Troppe famiglie saranno escluse, non è un scenario bello. La paritaria cattolica non è la scuola dei ricchi o delle élite. Ci stanno portando via una parte di mondo».

Il volto delle scuole cattoliche
Detto delle nubi che si addensano sul presente delle paritarie, è tempo di scoprire il loro volto. Lo facciamo accompagnati da Sergio Cicatelli, direttore del Centro studi per la scuola cattolica della Cei, che ci anticipa alcuni dati del rapporto La scuola cattolica in cifre. Anno scolastico 2011-’12, in uscita in ottobre per l’editrice La Scuola. Le paritarie sono in tutto 13.500, di cui circa 9 mila cattoliche o di ispirazione cristiana, frequentate da 727 mila studenti. Ciò che emerge subito dalle statistiche è il peso della scuola dell’infanzia, che conta ben 6.610 istituti e 443 mila allievi. Vale a dire che, a livello italiano, due bambini su cinque di 3-6 anni scelgono la scuola dell’infanzia cattolica. In alcune zone, la densità è molto più alta, col record del Veneto, dove quasi due bimbi su tre si iscrivono alle scuole di ispirazione cristiana aderenti alla Fism (Federazione italiana scuole materne). «Sono in gran parte – spiega Ugo Lessio, presidente di Fism Veneto – realtà gestite da parrocchie, associazioni di genitori, congregazioni ed enti no profit. Esse sono un unico, straordinario patrimonio civile, sociale ed economico. Per questo parliamo di “scuole di comunità”, perché sono allo stesso tempo elemento di identità per il territorio, espressione sostanziale dell’azione pastorale della Chiesa e servizio educativo a beneficio dell’intera comunità civile».

È infatti sul piano qualitativo che la paritaria cattolica si differenzia, come sottolinea Sergio Cicatelli: «Il cuore è il progetto educativo. Queste scuole offrono una proposta formativa caratterizzata da un forte legame tra la dimensione culturale e quella religiosa. La cultura, cioè, è letta alla luce della fede». Il secondo aspetto qualitativo è la presenza dei laici. «È una mutazione genetica – prosegue Cicatelli –: la paritaria cattolica non è più la tipica scuola dei religiosi e delle suore. Il personale docente è per l’80 per cento laico nelle scuole dell’infanzia, per il 97 nelle primarie e nelle secondarie. La cosa non deve spaventare, anzi, è un bel segnale, perché in fondo è l’immagine della Chiesa, con la responsabilità della testimonianza che passa nelle mani dei laici, chiamati a un nuovo tipo di impegno e di presenza nella società. Certo, significa anche, da una parte, che il carisma educativo passa dalle congregazioni ai laici, dall’altra, che i costi aumentano. Il più delle volte, i finanziamenti pubblici e le rette delle famiglie non bastano a ripianare i conti. In realtà si lavora in perdita. È un motivo in più per affermare che l’educazione è una scommessa. Laddove l’emergenza è educativa, la scuola cattolica se ne fa carico, cerca di porvi rimedio, soprattutto prevenendo. Le ricerche qualitative ce lo confermano: migliaia di bambini e ragazzi che frequentano le paritarie cattoliche sono soddisfatti, e con loro le famiglie. Ci sono genitori che scelgono di tagliare su altri consumi assicurando a tutti i propri figli la frequenza di una scuola che dà loro fiducia di continuità tra il modello educativo perseguito in casa e quello offerto in classe. Una paritaria cattolica è un patrimonio nel tessuto ecclesiale di un territorio. A volte siamo addirittura noi cristiani a essere disattenti e a non rendercene ben conto».


Istituto Madonna della Neve
«Puntiamo sui docenti»


Imparare il cirillico e gli ideogrammi cinesi? Ad Adro, in piena Franciacorta, si può fare: anche sui banchi di scuola. Certo non alla primaria e nemmeno alla secondaria di primo grado: bisogna arrivare all’ultimo triennio del liceo linguistico per aggiungere a inglese, spagnolo e tedesco una lingua tra il russo e il cinese. Siamo all’istituto paritario Madonna della Neve dei padri carmelitani scalzi, la più popolosa tra le scuole cattoliche della provincia di Brescia, che ha raggiunto in 30 anni di storia quota 1.150 studenti dai 7 ai 19 anni. «Puntiamo sulla qualità – spiega Isa Navoni, preside dei licei classico, linguistico e scientifico –, su rette contenute, sul lavoro di rete e in team, tra coordinatori e tra docenti. L’elemento laicale ha trovato una felice valorizzazione in sinergia con il carisma carmelitano, garantito dalla figura del padre direttore». Molta attenzione è riservata al corpo docente. «È il vero capitale della scuola. Se gli stipendi delle statali sono superiori, come fidelizzare gli insegnanti e appassionarli al loro lavoro? Con una relazione basata sulla fiducia e sulla stima, con proposte di aggiornamento e coinvolgimento.

La professionalità è la prima carità nei confronti dei ragazzi. Servono docenti competenti, che amino il cuore dei ragazzi, ma non mi interessa l’insegnante compagnone, che viene a fare oratorio a scuola. Mi interessa una persona disposta a mettersi in gioco sull’educativo, ma anche e prima sulle competenze». Ad esempio linguistiche: ai docenti è chiesto di ottenere la certificazione Cambridge in inglese o spagnolo in vista dell’insegnamento della propria materia in lingua, come previsto dalla riforma Gelmini «che noi abbiamo anticipato – precisa la preside – proponendolo dalla terza per il linguistico e dalla quarta per il classico e lo scientifico». La certificazione Cambridge, poi, è compresa nel curriculo per tutti gli studenti. E il russo e il cinese? «Sono laboratori volti a far entrare gli studenti nell’ossatura delle rispettive culture. L’obiettivo è che i ragazzi aprano lo sguardo oltre l’Europa» conclude Isa Navoni.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017