Oltre gli steccati per una «nuova laicità»

È «Una nuova laicità. Temi per una società plurale»l’ultimo saggiodel Patriarca di Venezia, Angelo Scola. Per dare voce, come sottolinea lo stesso autore, all’inevitabile rilevanza pubblica della fedein cui crede.
22 Marzo 2007 | di

Laicità è uno di quei concetti intorno ai quali, ultimamente, si è accumulata molta confusione. A motivo di linguaggi poco chiari nei loro presupposti, di troppo interessato ancoraggio del dibattito a questioni politiche contingenti, quasi casalinghe, e di una certa ritrosia nei confronti dell’umile atteggiamento di chi vuole capire prima di formulare giudizi. Riprendiamo, quindi, il filo di un dibattito vivacissimo e appassionato, cercando di fare – per quanto possibile e con l’aiuto di due maestri – un po’ di chiarezza.


Quale laicità? Il solco di Ratzinger

In un dibattito con Gad Lerner nel corso dell’anno 2000 al teatro Quirino di Roma, l’allora cardinal Ratzinger mostrava di conoscere bene i limiti della lingua italiana circa il termine laicità. Ecco le sue parole: «Pensiero laico è un concetto da definire. In Italia si concepisce la parola laico in confronto con la parola credente, cosa che non è così in altre lingue, perciò questo concetto di laico per me non è così limpido come appare forse qui». Il futuro Papa intendeva dire che da noi, diversamente da quanto accade in altri Paesi, la parola laico sembra indicare in prima battuta una persona che non crede, anzi, un potenziale anticlericale; il credente, d’altra parte, è invece considerato quasi un soprammobile da sacrestia, con una libertà sotto tutela e una fede sempre a rischio di integralismo. Laico, insomma, sarebbe un uomo dallo spirito libero e critico; credente, invece, qualcuno assolutamente impossibilitato ad accedere alla visione laica perché imprigionato dalle catene del dogmatismo.
Il 9 aprile 2003, in un intervento al convegno L’impegno e il comportamento dei cattolici nella vita politica promosso dalla Pontificia Università della Santa Croce, il cardinale Ratzinger metteva in chiaro che «la politica non si desume dalla fede, ma dalla ragione, e la distinzione tra la sfera della politica e la sfera della fede appartiene proprio alla tradizione centrale del cristianesimo: la troviamo nella parola di Cristo “Date all’imperatore quanto è dell’imperatore, a Dio quanto è di Dio”. In questo senso lo Stato è uno Stato laico, profano, nel senso positivo». Posizione nitida che ritornerà nell’enciclica Deus caritas est (25 dicembre 2005) nel declinare il rapporto tra azione caritativa, Stato, partiti e ideologie (cf. Giustizia e carità, nn. 26-29). Importante, per un chiarimento pubblico del concetto di laicità, è stata anche la visita del neopontefice, il 24 giugno 2005, al presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Così si esprime, nel discorso ufficiale, Benedetto XVI: «Legittima è dunque una sana laicità dello Stato in virtù della quale le realtà temporali si reggono secondo le norme loro proprie, senza tuttavia escludere quei riferimenti etici che trovano il loro fondamento ultimo nella religione». Riassumendo, si può dire che il Papa considera la laicità come conquista anche del cristianesimo, come realtà che rimanda alla ragione comune e quindi al contributo ragionevole delle parti. Essa, però, non deve degenerare in quel laicismo (parola ambigua, certo, come d’altronde tutte quelle che finiscono in «ismo») che dimostra pregiudiziale ostilità nei confronti del cristianesimo e delle religioni in genere. I cristiani, dunque, non possono non dirsi laici, e la laicità – libera dal virus del laicismo – appartiene di diritto alla dottrina della Chiesa.


La «nuova laicità» secondo Scola

L’espressione «nuova laicità» è stata introdotta in Italia dal Patriarca di Venezia, monsignor Angelo Scola, che se ne è fatto paladino in molti suoi discorsi e interventi pubblici. A partire dalla celebre intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo e pubblicata in un paginone del «Corriere della Sera» del 17 luglio 2005: «Ora un patto per la nuova laicità». Quel giorno cadeva la festa del Redentore, che è la festa religiosa e civile dei veneziani in ricordo della fine della peste nel 1577, un’occasione nella quale il Patriarca – nella sua omelia – riflette sempre su un tema di particolare attualità e urgenza. Nel 2005 è toccato alla laicità, aggettivata come «nuova», e quindi da ripensare. In quella data, riportando brani di quell’omelia, «Il Gazzettino» titolava, con giustificata enfasi: «Scola: Venezia simbolo della nuova laicità», mentre l’«Avvenire», andando al cuore della proposta, sintetizzava: «Laico non vuol dire neutrale». Eravamo, all’epoca, in pieno clima postreferendario, cioè poco dopo il fallimento del referendum sulla fecondazione assistita, e c’era particolare attenzione nei confronti del magistero della Chiesa ai diversi livelli. La proposta del Patriarca di una «nuova laicità» si presentava, nel suo nucleo centrale, come già definita: egli recuperava innanzitutto la convergenza felicemente verificatasi in un incontro, nel gennaio 2004 a Monaco, tra due insigni maestri, il cardinal Ratzinger (eccolo di nuovo) e il filosofo Habermas: viviamo in un tempo post-secolare, cioè dopo il crollo di quelle utopie che della religione si erano autoproclamate il sostituto. Per di più, contrariamente alle previsioni di molti, le religioni non sono scomparse dalla scena planetaria, ma ne sono indiscusse protagoniste. Per offrire reale alternativa al conflitto di civiltà, religione e ragione devono limitarsi a vicenda, imparando ad apprendere l’una dall’altra – sostenevano i due pensatori –, e questo per evitare da una parte ogni terrorismo e fanatismo religioso e dall’altra le pericolose e distruttive avventure della ragione cieca. Insomma, da questo «la» il cardinale Scola avviava un’articolata riflessione sulla laicità, con preciso riferimento alla situazione del nostro Paese. E alfine, il consistente materiale prodotto nel solco della stessa fatica, cioè il tentativo di meglio determinare il concetto di laicità e di applicarlo ai diversi settori della vita civile, politica e religiosa, è sfociato in un libro edito da Marsilio e dal titolo, appunto, Una nuova laicità. Temi per una società plurale. Presentato a Venezia la sera del 15 marzo scorso, il libro infittisce, con una sua preziosa originalità, la schiera di pubblicazioni che mettono a tema la laicità e, sullo sfondo, il rapporto tra religione e politica. Se, come scrive Michael Burleigt citato nella Prefazione, proprio «il mix religione e politica sarà il tema dei prossimi cinquant’anni», ben vengano libri come questo, di rara chiarezza e forte tensione sia spirituale che intellettuale.
Il cuore del volume restano le parole pronunciate dal Patriarca nel luglio 2005, soprattutto la spinta a guadagnare una visione meno riduttiva della laicità dello Stato: «Stato laico non è sinonimo di Stato “indifferente”… Lo Stato democratico è laico per la sua non-identificazione con qualsivoglia “visione del mondo”, ma non è affatto “neutrale” nei confronti dei suoi valori fondanti» (p. 20). Soprattutto lo Stato non dev’essere in alcun modo indifferente a quella che il Patriarca definisce la «tradizione nazionale prevalente», nel caso dell’Italia il cattolicesimo. Il credente cattolico porterà nella discussione pubblica, senza prevaricazione alcuna ma al contempo senza timidezza, la sua visione cristiana della storia ultimamente retta da Dio. Riconoscendo però «pari diritti e doveri a chi nega questa ipotesi con tutte le fibre del suo essere» (p. 21). La verità, infatti, può essere soltanto testimoniata, mai imposta, e il dialogo e il confronto tra le parti deve risultare aperto e leale. Allo Stato compete il compito di proteggere il libero dibattito delle idee e delle proposte, nel quale primo protagonista è il popolo, la società civile, i corpi intermedi, orientando alla ricerca virtuosa del «compromesso nobile». La laicità diventa così uno spazio che offre a tutti la garanzia di potersi esprimere liberamente e di entrare nell’agone della discussione, della costruzione concreta e condivisa del bene comune. Una tesi semplice e insieme ardita, affascinante e spregiudicata, che ha fatto e farà discutere.


Alla Fenice avvio del dibattito

La presentazione del libro è avvenuta nella luminosa cornice delle Sale Apollinee del Teatro La Fenice di Venezia, rappresentando un inizio qualificato di dibattito sulle tesi di Scola. È Cesare De Michelis, per l’editrice Marsilio, a fare gli onori di casa indicando nella proposta complessiva del cardinale un valido contributo per superare l’attuale polarizzazione di «laici» e cattolici nel dibattito italiano. Egli si dice anche meravigliato per la ricchezza di temi laici che il testo ospita: oltre naturalmente alla laicità, meticciato di culture e civiltà, vita buona, educare nella società in transizione, rapporto uomo-donna, lavoro, stili di vita, riposo, ambiente, pace, bioetica. Un ventaglio sorprendente.
La parola viene data al giurista Francesco D’Agostino, il quale fa notare, innanzitutto, che nuova laicità non si contrappone a vecchia laicità, ma a vecchie (più di una) laicità, in particolare a due versioni della stessa: quella dei due poteri, Stato e Chiesa, diversamente relazionati, e quella che riconosce una rilevanza solo privata alla religione, il modello alla francese per intenderci. Oggi deve invece prevalere, come Scola richiama più volte nel suo libro, uno Stato che garantisca il fiorire della società civile, connotata in modo preponderante ai nostri giorni da un meticciato di culture e civiltà. Se il meticciato è un dato di fatto incontrovertibile, d’altra parte esso è un destino che ci attende e per il quale c’è da lavorare duro, con passione. La novità che D’Agostino riconosce al libro è quella di superare il concetto ormai consolidato di dialogo, attualizzandolo attraverso il modo postmoderno di dialogare che è il raccontarsi. «La relazionalità è autentica – sostiene – quando diventa incontro umano e personale».
Il politologo Gian Enrico Rusconi, terzo a intervenire, esordisce definendo triste e disperante la situazione di dialogo (o, meglio, non-dialogo) che oggi si sperimenta in Italia tra «laici» e cattolici. Insiste nel rifiutare la tesi, ampiamente divulgata, che la religione sia messa all’angolo, cioè emarginata dalla sfera pubblica. Forse ci sono eccessi in senso contrario, vale a dire un esagerato e invasivo debordare della religione. Bisogna allora ripartire dal fatto che ognuno è cittadino, per cui il vero problema è «come tenere, sul presupposto della stessa cittadinanza, idee diverse senza reciproca diffamazione». Questo rimanda allo Stato, alla democrazia e alle sue procedure, che non sono da intendere solo in senso formale. Punti deboli della proposta del Patriarca – secondo Rusconi – sono soprattutto il discorso sull’educazione, troppo unilaterale, e il concetto univoco di natura così com’è esplicitato nel decimo capitolo su «Uomo-donna».
Con la sua voce roca e calamitante, il giornalista Giuliano Ferrara, ultimo tra i relatori a intervenire nella discussione, sottolinea come – dal suo punto di vista – sia piuttosto l’intellettuale secolarizzato dei nostri giorni a essere connotato dal dogmatismo, mentre i pensatori cristiani e cattolici più rilevanti non lo sono. La «verità della libertà», che poi è l’approdo alla libertà di coscienza, deve maturare nella «libertà per la verità», perché diversamente si rischia di esaltare soltanto l’uomo contemporaneo omologato e piallato, a misura per la società dei consumi.
Il cardinale Scola prende infine la parola per ringraziare, per garantire che farà tesoro delle sottolineature emerse nella presentazione e che, ben volentieri, darà quanto prima risposta anche alle domande rimaste in sospeso.
Si dice soddisfatto di aver tentato di mostrare, con il suo ultimo libro, l’inevitabile rilevanza pubblica della fede in cui crede. Ecco il teologo.
Per credenti e atei, per tutti aggiunge: «Dio è sempre lì, purché tu voglia accorgertene». Ecco il pastore.



Appunti. Il Patriarca all’Onu per presentare «Oasis»


New York. Costruire un ponte tra islam e cristianesimo. È l’obiettivo di «Oasis», rivista semestrale multilingue (italiano, francese, inglese, urdu e arabo) creata dall’omonimo centro culturale di Venezia, fondato dal patriarca Angelo Scola e da altri vescovi cattolici in Paesi islamici. La rivista si occupa delle comunità cristiane negli Stati a maggioranza musulmana.
Il cardinale Scola, in visita a New York lo scorso gennaio per la presentazione del periodico (foto in basso), ha spiegato che testimonianze come quelle raccolte in «Oasis» sono fondamentali per riuscire a comprendersi in un mondo dove le fratture corrono su crinali religiosi. La pubblicazione è stata presentata nell’auditorium della biblioteca delle Nazioni Unite dall’osservatore della Santa Sede all’Onu, Celestino Migliore, e da due rappresentanti delle religioni ebraica e musulmana, il rabbino Israel Singer, per il Congresso ebraico mondiale, e Seyyed Hossein Nasr, del Centro di studi islamici della George Washington University.
«Ogni giorno diventa sempre più evidente quanto complesso sia il mondo in cui viviamo – ha detto Scola –. Non possiamo definirlo in maniera esaustiva con le semplici categorie di etnia, cultura o religione, dobbiamo invece trovare una nuova dimensione e capire che l’incrocio di civiltà non si trasforma inevitabilmente in con-flitto. Anche la struttura delle Nazioni Unite è spazio per il racconto e la condivisione delle esperienze». E il racconto, conclude Scola, è la premessa del riconoscimento reciproco.

Matteo Bosco Bortolaso


La scheda. Il Patriarca in breve

Angelo Scola nasce a Malgrate (Lecco) il 7 novembre 1941 da Carlo, camionista, e da Regina Colombo, casalinga. È il minore di due figli. Studente in filosofia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, diventa prima vicepresidente e poi presidente della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana) dell’Arcidiocesi di Milano (1965-1967). Ordinato sacerdote il 18 luglio 1970, prosegue gli studi teologici a Friburgo (Svizzera) e consegue il dottorato in Teologia. Eletto vescovo
di Grosseto il 20 luglio 1991, nel luglio del 1995 diventa rettore della Pontificia Università Lateranense e, due mesi dopo, preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia. Il 5 gennaio 2002 è nominato dal Santo Padre Patriarca di Venezia. Il 9 aprile 2002 è eletto presidente della Conferenza episcopale triveneta. Nel settembre 2003 istituisce a Venezia lo Studium Generale Marcianum, polo pedadogico accademico. Il 28 settembre 2003 viene designato cardinale.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017