Non si può vivere esclusivamente per un figlio

Un figlio handicappato, una madre completamente dedita, un padre buono e accondiscendente. Eppure, qualcosa d'importante non funziona...
27 Novembre 2003 | di

Da quando è nato Simone, io sono stata la sua schiava, anche per (ingiustificati) sensi di colpa: dal mio ventre era uscita, nove anni prima, una bambina bellissima, ora usciva un mostriciattolo, microcefalo e con problemi motori. Mi sono buttata su di lui, trascurando (adesso lo so!) tutto e tutti: volevo dargli tutta me stessa, proteggerlo, fargli da cuscinetto contro tutte le ingiurie della vita.
Ho scomodato la medicina ufficiale e non ufficiale, ho affrontato con lui e per lui cure costosissime, sono riuscita a tirarlo a un punto che nessun medico avrebbe mai immaginato: ora è autonomo in tutte le sue funzioni vitali, sa stare pulito, vestirsi da solo, mangiare da solo. Alla scuola elementare l'hanno trattato da dio, non gli hanno fatto pesare il suo handicap, ha avuto una insegnante di sostegno perfino più brava di me nel capire i suoi bisogni; ha perfino imparato, a modo suo, a leggere e scrivere.
Ora è in prima media da sei mesi, è spuntato un nuovo insegnante di sostegno che sembra non capirlo, gli insegnanti non mi sembrano così preparati. E io avevo fatto il sogno di poter essere finalmente più libera, di staccarmi un po', di ritrovare qualcosa per me come qualche ora con le mie amiche, ritrovare mia figlia che ora è fidanzata... Ma Simone ha messo in campo un'aggressività  disperante: è diventato manesco, aggressivo, incontenibile; a volte mi morde, perfino.
La psicologa dell'Asl mi dice che adesso mio marito deve fare la sua parte, che è ora che venga allo scoperto. Non capisco: lui, mio marito, è sempre stato buono, veramente buono. Ma non solo perché mi ha sempre lasciato fare, ci ha accompagnati da tutti i medici, ha tirato fuori soldi su soldi senza battere ciglio; non solo perché non ha mai preteso la sua parte (da quando Simone è nato, io gli ho rifiutato anche il sesso) e non mi ha mai rimproverato nulla, ma anche perché è lui che ha sempre cercato di consolarmi, di capirmi, di suggerirmi di prendere la vita come viene. Ma cosa vuol dire che è ora che faccia la sua parte? Più buono di così!.
 mamma Claudia

Un grazie da non ritirare mai
Molte donne ci farebbero la firma d'avere in casa un padre così buono e comprensivo. Ma è questo il punto. Occorre fare un passo avanti, e cerchiamo di vedere come. Anzitutto, però, ci sentiamo di dire un grazie a questa stupefacente famiglia che ha accolto così, senza riserve, quel piccolo figlio di Dio così scomodo e così impegnativo. Non diremo mai abbastanza grazie a queste famiglie che, invece di chiudersi e/o di rifiutare il dolore, tentano ogni via per migliorare, per fare tutto il possibile a favore del portatore di handicap. Entriamo, perciò, in questa famiglia in punta di piedi, con uno sguardo di gratitudine; gratitudine alla sorellina di nove anni, che ha visto la mamma sequestrata dal piccolo non sano, immaginiamo quanto abbia cercato di farsene una ragione, perfino di sostenere la mamma; e, in ogni caso, adesso, poco più che ventenne, sta scegliendo il suo futuro, come appare tra le righe del racconto materno. Gratitudine per il papà  che pure è stato generoso nel dare supporto (anche economico!) a tutte le cure che si rivelavano necessarie e perfino a quelle non necessarie, se appena portavano con sé la speranza di un qualche miglioramento. Gratitudine per la mamma che non si è risparmiata, che si è messa in gioco completamente, perfino più di quanto le fosse richiesto, e ha tentato di attutire i colpi della vita a questo piccolo figlio indifeso, mettendo in secondo piano anche la sua vita privata. È così che anche il sociale, specialmente la scuola, ha potuto bene inserirsi: cinque anni di scuola di base con una buona integrazione, insegnanti accettanti, rendimento di un minimo di socialità  e di qualche abilità  nel leggere e nello scrivere.

Separare il figlio dalla madre
Ma che cosa sta succedendo ora? È proprio ora che vengono a galla tensioni sottostanti, prima sopite: Simone sta affrontando la prima media, l'ambiente non è più così protettivo e sotto controllo (della madre) e così lui si trova a fare i conti con nuove richieste di realtà . In più, si muovono in lui nuove spinte interne, perché sta crescendo, anche se preferirebbe rimanere nella bambagia come prima. Dal canto suo, la mamma sta accorgendosi di quanto bisogno abbia di distacco dal figlio, di qualcosa per sé; pare anche svegliarsi da una sorta di incantesimo: lei ha organizzato tutta la sua vita sull'handicap del figlio e ha, in qualche modo, costretto la famiglia a fare altrettanto, deprivando per così dire il marito di una moglie e la figlia di una madre.
Simone, inquieto anche perché nel nuovo mondo scolastico non tutto pare liscio come prima, pare percepire la nuova esigenza della madre e allora non può che attaccarla. È come se dicesse: Mi avevate detto che potevo disporre di mia madre a piacimento, che tutto mi era dovuto in forza dell'handicap; com'è che ora la mamma osa stare al telefono, parlare con le sue amiche ecc. Com'è che io non sono più il centro?. L'aggressività  così esplicita contro la madre ha proprio queste molteplici radici: vuole punirla perché ora osa staccarsi un poco, vuole rimanere il suo centro e il suo re; e tutto questo c'entra anche con le difficoltà  scolastiche (e viceversa).
È qui che un padre buono non basta più: è ora che entri in scena in primo piano, è ora che si prenda la responsabilità  di separare il figlio dalla madre. Il figlio deve sentire che la madre non è un suo possesso, che la madre appartiene al papà . Il papà  deve impedire che il figlio faccia male alla madre e non solo con qualche buon consiglio, del tipo: non fare così, ma, se necessario, con la forza. Simone riceverà  un grande aiuto quando sentirà  che il papà  è più forte di lui, allora potrà , a poco a poco, imparare a controllare la sua aggressività  e la sua collera.

Il segreto è la coppia
Forse il papà  teme di fare vendette sul figlio che gli ha monopolizzato la moglie o forse teme che gli sparisca l'aureola di uomo comprensivo e benevolo. Ma l'amore per il figlio, amore non egoistico, non interessato, fa sparire queste paure. Se il papà  separa il figlio dalla madre (è così anche per il figlio normale, ed è bene che ciò accada molto prima!), se si erge in tutto il suo potere per dirgli: Tu non tocchi mia moglie, hai capito?, il figlio, a poco a poco, capirà : quella che lui vuole trattenere e usare per sé non è soltanto sua madre, prima ancora è moglie di suo padre. Egli percepisce che in casa c'è uno che ha valore, che egli non può sottomettere: all'ombra di quel valore può crescere, può rassicurarsi; anzi, può perfino desiderare di diventare come lui.
Ma questa azione del padre ha radici segrete, senza le quali ogni azione di forza è soltanto sfoggio di potere. Il segreto da cui nasce ogni vera azione genitoriale è la coppia. Un figlio non ha mai il diritto di trasformare i coniugi in puri genitori, nemmeno se è un figlio portatore di handicap; come a dire, la stanza segreta che non può mai essere lasciata invadere e distruggere dai figli è il loro matrimonio. Là , in quella stanza segreta, i due si alleano, sono pari, si sostengono a vicenda, si danno piacere. Poi, solo poi, ciascuno dei due può esporsi alla cura; nel nostro caso, mamma Claudia può dedicarsi al figlio, con il sostegno del marito, ma non può colludere con il lasciar morire il matrimonio per una malintesa dedizione al figlio, né il padre può lasciarsi scippare il suo matrimonio, vedendo lei completamente persa per il figlio. E se i due vivessero solo per i figli? Questo sarebbe un bel guaio, perché vorrebbe dire mettere pesi insopportabili sulle spalle dei figli. Ma il discorso comincia da lontano, come diciamo in un nostro recente testo: Innamorati e fidanzati (ed. San Paolo).

 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017