Non è mai fuori moda dar da mangiare agli affamati

Suor Grazia, missionaria in un quartiere povero di El Alto, aveva un cruccio: mille e trecento bocche da sfamare ogni giorno e nessuna organizzazione disposta a finanziare la sua mensa.
04 Luglio 2005 | di

La scorsa estate, suor Grazia Micaelli, missionaria delle Sorelle della Carità , è tornata dalla Bolivia con un groppo alla gola. Sapeva che la sua missione era a un bivio fatale. È passata da Padova per ringraziare la Caritas antoniana per un piccolo progetto sanitario appena realizzato, e in cuor suo non sapeva se osare ancora e chiedere per i suoi poveri un altro indispensabile aiuto.
Missionaria ad El Alto - una città  a circa 4 mila metri sul livello del mare, in territorio andino - dal 1993, insieme ad alcune consorelle, a un'associazione italiana e a un gruppo di gente locale, aveva accettato una sfida: risollevare la sorte degli immigrati nei sobborghi di El Alto, per lo più contadini dell'entroterra, di etnia aymarà  che versavano in grande povertà . Una povertà  di tutto - scrisse in una delle sue prime lettere alla Caritas antoniana -di cibo, di casa, di vestiti, di medicine, di scuola, di dignità , di spiritualità , talmente grave da rendere inconcepibile il concetto di qualità  della vita.
Ne era nata l'Associazione XXI, un faro, l'unico, in un grande, generale abbandono. L'associazione, attraverso il suo braccio operativo, il «Centro di formazione integrale Virgen Nià±a», aveva creato una serie di servizi in tre settori: l'educazione, la sanità , l'assistenza per le necessità  di base. Un occhio di riguardo per i bambini, gli anziani e gli handicappati, la parte più debole e abbandonata, le vittime più colpite dalla malnutrizione grave e dalle malattie.

Solidarietà  integrale

Fin dall'inizio fu chiaro che, per combattere una povertà  umana e materiale così profonda, ci voleva un aiuto alla persona a 360 gradi: nacquero scuole elementari, asili, ambulatori, centri per bambini disabili, laboratori artigianali per la formazione al lavoro, la scuola serale per i ragazzi lavoratori, la terapia familiare per trasformare il fatalismo di questa gente abbandonata in voglia di risorgere. «Bisognava - ricordava suor Grazia, sempre nella stessa lettera - restituire loro quei valori etici e morali che danno dignità  anche alla vita da povero».
Nonostante gli sforzi per far camminare la gente con le proprie gambe, non c'erano le strutture sociali e l'impegno politico per cambiare in breve tempo la situazione «Ci vorranno almeno vent'anni per vedere un qualche miglioramento - spiegava suor Grazia, con l'amaro in bocca -. Finché in economia vigeranno i principi del mercantilismo e del profitto incontrollato, la mia gente avrà  poche speranze».
Gli aiuti dall'estero, dalle Ong o dalle associazioni, venivano solo quando si trattava di finanziare opere di promozione allo sviluppo, scuole, ristrutturazioni, formazione al lavoro, sempre meno per fornire aiuti di base. «Ma la gente continua ad avere fame e freddo. A pancia vuota e senza vestiti in un ambiente sempre freddo e inospitale com'è quello a 4 mila metri d'altitudine, come può uno pensare allo sviluppo?».
Concreta come solo sa esserlo chi si sporca le mani con la nuda terra, suor Grazia criticava l'ipocrisia di un concetto così assoluto, quasi ideologico, di solidarietà : Tutti temono di sporcarsi di assistenzialismo quasi fosse un peccato. Ma in certe situazioni l'unico verbo è quello di Matteo 25: dar da mangiare agli affamati.
Il cruccio che accompagnava suor Grazia, in quel suo viaggio in Italia era proprio questo: i soldi destinati alla tanto vituperata assistenza stavano finendo e lei che cosa avrebbe detto a quelle mille e trecento persone, in maggioranza vecchi e bambini, che 365 giorni all'anno bussavano alla mensa dell'associazione per ricevere l'unico pasto del giorno? «Non ho perso la fiducia nella Provvidenza - confidava a chi le stava vicino -, ma certe mattine, quando mi alzo, tremo un po'».

Così angosciata quel giorno d'estate, a Padova, si è recata in basilica del Santo, prima di passare dalla Caritas antoniana. Ha chiesto ad Antonio, con le mani sulla tomba, di fare un altro miracolo. Poi, col peso che attanaglia il mendicante quando stende la mano per chiedere, è arrivata. Non c'è niente da fare - ha detto agli operatori della Caritas antoniana -. Quello che veramente mi serve sono uova, latte, farina, verdura, formaggio, carne`€¦ dar da mangiare agli affamati, questo mi serve. Se ne è andata lasciando qualche carta e il cuore gonfio di speranza.
La Caritas antoniana ha scritto poco dopo: «Eccole 30 mila euro, per dar da mangiare ai suoi affamati».
La gioia, immensa, è arrivata via e-mail, il 21 novembre scorso: «Grazie, infinitamente grazie, per aver accolto il mio appello quasi disperato e aver disposto di una somma tanto importante. Sono davvero commossa da tanta compassione e comprensione». Nell'aprile scorso, l'ultimo resoconto: «Grazie alla vostra generosità  anche quest'anno possiamo sfamare tanta gente`€¦ Abbiamo già  fatto scorta di pasta, riso, farina, lenticchie. Ogni settimana possiamo comprare con più serenità  verdure fresche, uova, carne e formaggi locali. Questi ultimi due con molta parsimonia, purtroppo. Il giorno di Pasqua è stato un gran lusso: abbiamo passato pollo fritto, patate e un po' di dolce. I nostri anziani spesso piangono di gioia di fronte a un buon piatto caldo ma quel giorno la commozione era grandissima. Hanno pregato e lodato il Signore e i santi, aggiungendo di cuore il nostro sant'Antonio».

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017