Natale a Betlemme una festa di speranza

Alla gioia per Gesù che nasce nuovamente fanno da contrappunto le difficoltà e le ansie di un popolo stremato dalle conseguenze della guerra da poco conclusa e da pesanti limitazioni.
23 Novembre 2006 | di

Nella santa notte di Betlemme le stelle sembrano ancor più rilucenti, mentre la luna illumina i profili delle alture che digradano verso la depressione del Mar Morto. Per le vie della città e nella piazza della Mangiatoia si avverte quell’agitazione che prende tutti a ogni vigilia di festa, anche se quest’anno non ci sarà grande affluenza di pellegrini come l’anno passato. Addobbi e luci multicolori illuminano le vetrine dei negozietti e dei bazar allineati lungo via Paolo VI, la strada tutta saliscendi che taglia in due il centro della cittadina. Un gruppo di ragazzini vestiti da Babbo Natale gioca nei pressi del Palace Hotel, proprio di fronte alla Basilica della Natività. La brezza pungente disperde le loro voci lontano, nell’oscurità.
Poco prima della mezzanotte il patriarca latino di Gerusalemme, monsignor Michel Sabbah, entrerà nella chiesa di Santa Caterina, la parrocchia francescana attigua alla Basilica della Natività, per dare il via alla liturgia che culminerà nella celebrazione della messa di mezzanotte alla presenza dei consoli dei Paesi di tradizione cattolica, dei rappresentanti dell’Autorità nazionale palestinese e delle altre Chiese cristiane (le comunità ortodosse – che seguono un diverso calendario liturgico – festeggeranno il Natale il 7 gennaio).
Al termine delle letture, verrà cantato l’annuncio della nascita del Signore e le campane di tutte le chiese della Terra Santa trasmetteranno ovunque la gioia dell’evento. Poi, seguendo un’antica usanza, il frate sacrestano toglierà il velo che copre la statua del Bambino Gesù adagiata su un tronco d’olivo ai piedi dell’altare.
Celebrata l’eucaristia, il patriarca e i fedeli in processione porteranno la statua nella grotta della Natività. Scesi i gradini che, attraverso un angusto passaggio, portano all’altare della Stella, un diacono prenderà il Bambinello tra le braccia e lo deporrà nel punto identificato dalla tradizione come quello in cui è nato il Salvatore. Un altro diacono canterà il passo del Vangelo nel quale Luca racconta l’evento che ha cambiato il mondo. Poi la statua del Bambinello verrà deposta nella mangiatoia. Al termine della cerimonia, il Patriarca impartirà la benedizione papale e poi, nuovamente in processione insieme a celebranti e diaconi, risalirà nella chiesa di Santa Caterina gremita di fedeli per il Te Deum, l’inno del ringraziamento. Nei canti finali esplode la gratitudine: anche quest’anno è nato il Principe della pace.


Calo verticale dei pellegrinaggi
La notte di Betlemme, oltre che di canti e di feste, risuonerà anche delle voci e delle speranze dei cristiani di Terra Santa, che vivono questo Natale in un clima di grande preoccupazione. La guerra – che da metà luglio per trentatré lunghissimi giorni, ha contrapposto Israele ed hezbollah libanesi – e l’escalation della violenza nella Striscia di Gaza, dove ancor oggi proseguono incursioni e bombardamenti, continuano ad avere pesanti ripercussioni sulla vita delle comunità. Il calo verticale dei pellegrinaggi, la principale risorsa economica della città, ha avuto conseguenze devastanti sulla vita di migliaia di famiglie, sia in Israele che nei Territori. Ma soprattutto ha gettato i cristiani locali in una situazione di isolamento e di sconforto paragonabile a quella vissuta durante la seconda Intifada, quando, per oltre tre anni (dal 2000 in poi), i Luoghi Santi sono rimasti praticamente deserti.
«Ho potuto constatare personalmente la sofferenza dei cristiani dell’Alta Galilea – racconta don Francesco Voltaggio, responsabile del Centro Mamre del Movimento neocatecumenale a Gerusalemme – e il loro fortissimo disagio. Ho trascorso un certo periodo con i fedeli della comunità greco-cattolica di Tarshiha, non lontano dai confini con il Libano, per incoraggiarli mentre si susseguivano i bombardamenti degli hezbollah. Riunire una trentina di persone per pregare insieme è stato un miracolo: abbiamo sfidato la paura e la legge marziale che intimava ai cittadini di rimanere nei rifugi e di evitare assembramenti. Molti cristiani di Tarshiha che hanno familiari in Libano, hanno vissuto la guerra con una doppia angoscia: per la propria vita minacciata dagli hezbollah e per i pericoli che correvano i loro cari durante i raid israeliani».


Una generazione di giovani in fuga
Ma è la situazione a Betlemme e nei Territori governati dall’Autorità palestinese a preoccupare maggiormente.
Suor Lucia Corradin è una giovane elisabettina vicentina impegnata da diversi anni nel «Baby Caritas Hospital», l’unico ospedale pediatrico di Betlemme. «Chi entra in città oggi – ci dice – è colpito dal silenzio che regna, specialmente nella zona vicina al Muro innalzato dagli israeliani per separare la loro terra dai Territori. Ovunque c’è degrado e molte attività sono state abbandonate. Gli alberghi sono chiusi perché i pellegrini non si fidano a pernottare a Betlemme. La disoccupazione è altissima. Di notte, i passaggi che consentono di andare da una parte all’altra del Muro possono essere chiusi arbitrariamente. Nei casi di emergenza, per poter passare bisogna avere pazienza e spirito di sottomissione. La popolazione si sente sempre più prigioniera, senza possibilità di relazioni e comunicazioni sociali. La mancanza di libertà ha stremato la gente: le malattie psicosomatiche sono in aumento. L’anello più debole della catena sono i bambini, affetti da malattie provocate dal degrado sociale della città. Noi cerchiamo di non perdere la speranza, e incitiamo le mamme e i papà di Betlemme a non disperare, a lottare per dare un futuro ai loro figli. È davvero paradossale che proprio nella città dove l’infanzia dovrebbe essere più sacra, perché in essa il Figlio di Dio si è fatto bambino, la dignità e i diritti dei più piccoli siano così poco tenuti in considerazione».
«Come viviamo a Betlemme? La nostra vita si sta spegnendo – racconta Charlie Abusada, cattolico-melkita, docente presso l’Università cattolica di Betlemme e responsabile di un movimento giovanile cristiano il cui nome in arabo significa “Radici” –. In questi ultimi tempi assistiamo a cose mai viste prima: bambini che chiedono l’elemosina per strada, che rubano... Il congelamento degli aiuti internazionali al governo dell’Autorità palestinese ha colpito i più poveri, riducendoli alla fame. Da oltre nove mesi i funzionari sono senza stipendio. Le scuole pubbliche sono chiuse per lo sciopero degli insegnanti.
«Noi cristiani risentiamo di questa situazione perché siamo parte del popolo palestinese. Tra i nostri giovani cresce lo sconforto, mentre aumenta il numero di quanti lasciano la Palestina per cercare altrove migliori condizioni di vita e un futuro. Come cristiani stiamo vivendo una crisi d’identità: siamo sempre meno impegnati nella Chiesa, nelle attività sociali e in politica».


Sarà comunque un giorno di speranza
Che Natale si vivrà, dunque, quest’anno in Terra Santa? Una festa senza speranza? «Certo che no – dice convinta suor Lucia –. Il mistero gioioso della nascita di Cristo si intreccia sempre con il mistero della croce. Ma nella croce e nella resurrezione ci sono la nostra salvezza e la nostra speranza. Oggi più che mai, nella Terra Santa sfigurata dall’odio e dall’oppressione, il Regno di Dio si costruisce con l’amore verso tutti e la compassione verso coloro che soffrono».
«La forza per andare avanti – interviene Charlie – ci può venire solo dalla fede nel Signore. A lui chiediamo di trasformare i nostri cuori e di insegnarci a vivere in pace gli uni con gli altri. Questo è il messaggio di Betlemme, questo il dono straordinario portato dal Bambino della mangiatoia agli uomini di duemila anni fa. Un messaggio che continua a incarnarsi ogni giorno, perché ogni giorno a Betlemme è Natale». 



ARTIGIANATO


La cooperativa di Sobhy Makhoul un artigiano che non vuole rassegnarsi


Sobhy Makhoul è un omone dall’eloquio affascinante. Arabo cristiano di Akko, diacono della Chiesa maronita di Gerusalemme, non si è mai rassegnato all’emarginazione, anche economica, che i cristiani di Betlemme vivono. Una situazione resa ancora più difficile dal Muro innalzato dagli israeliani che ormai chiude tutta la città in una sorta di ghetto. Per offrire un’opportunità di vita a molte famiglie, Sobhy si è fatto promotore di una cooperativa che raggruppa gli artigiani del legno, un’arte secolare molto diffusa in Terra Santa. «Il lavoro è la prima forma di promozione sociale. L’artigianato del legno d’ulivo è una caratteristica della nostra terra. Durante la seconda Intifada, con il venir meno dei pellegrinaggi, il settore è entrato in grave crisi. Mi sono detto: “Se i pellegrini non vengono a comprare i nostri prodotti a Betlemme, facciamo in modo che li trovino nei loro Paesi”». Decide così di fondare «Opere della fede», un ente no-profit che gli consente di esportare in tutta Europa presepi, rosari, crocifissi, statue... ricavati dal legno d’olivo. «Oggi, grazie alla nostra attività, centinaia di famiglie possono vivere dignitosamente a Betlemme».
«Opere della fede» ha un centro operativo e un deposito anche in Italia, a Cislago (Varese, tel. 02 96409345). Durante tutto il mese di dicembre, presso il Centro della Custodia di Terra Santa di Milano (via G. Gherardini, 5 – tel. 02 34592679) verrà allestita una mostra nella quale saranno presentati alcuni dei migliori articoli della produzione artigianale «made in Bethlehem».



INIZIATIVE

Giovani e anziani emergenze a Betlemme


Tra le emergenze di Betlemme, spiccano quella dei giovani e quella degli anziani. Per la crisi economica, i giovani diplomati e laureati fanno fatica a trovare lavoro. Per la gran parte di essi la soluzione immediata è l’emigrazione, un fenomeno che sta progressivamente impoverendo il tessuto sociale. Per contrastare la «fuga di cervelli», la Custodia francescana di Terra Santa (attraverso la sua ong italiana, «Associazione di Terra Santa») ha promosso un progetto rivolto all’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Alle imprese che accettano di assumere i giovani di Betlemme per uno stage aziendale in vista di un’assunzione futura, viene dato un contributo che copre la retribuzione e i costi previdenziali per il periodo concordato.
Per quanto riguarda gli anziani, la Società Antoniana di Betlemme ha allestito già nel 1944 una Casa di riposo che attualmente ospita trentacinque anziani non autosufficienti, in gran parte donne. Nella stessa struttura si sta costruendo un Centro diurno dove i vecchi della città potranno avere assistenza medica, spazi di socializzazione e un pasto caldo.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017