Moni Ovadia: il teatro che fa pensare

Un uomo, un artista, «che ride e sa far ridere». In modo intelligente.
22 Marzo 2007 | di


Msa. In tutti i suoi spettacoli c’è impegno, con spunti per ridere e per pensare. Anche ne Le storie del signor Keuner.

Ovadia. Abbiamo scritto Le storie del signor Keuner con l’idea di fare un teatro politico, che non parlasse di partiti, ma di cittadini, della polis e anche della funzione politica del teatro. Di un teatro etico, e di una politica intesa come etica. Io non utilizzo l’umorismo, né l’ironia o il sarcasmo, perché mi piace far ridere. Il mio intento è sempre quello di far pensare.

Il buon politico che caratteristiche dovrebbe avere per essere tale?

Il politico dovrebbe ricordarsi di essere al servizio dei cittadini. Oggi i politici pensano di essere al servizio di se stessi. Purtroppo il problema dell’autoreferenzialità dei politici diventa ogni giorno più grave.

L’ebreo oggi, in Italia, come vive?

Essere ebreo oggi in Italia francamente non è problematico. Ogni tanto si registra qualche episodio di stampo antisemita, ma subito arrivano attestati di solidarietà. Oggi, piuttosto, il problema è una sorta di «stereotipizzazione» in base alla quale, quando si parla della questione mediorientale, viene sempre chiamato in campo l’ebreo. Ma l’interlocutore del palestinese è l’israeliano, non l’ebreo. Io personalmente, proprio in quanto amico, sono molto critico nei confronti del governo israeliano.

Quale pace per Gerusalemme?

Ce n’è una sola possibile. Due popoli, due Stati e Gerusalemme capitale condivisa. La parte araba, con la Spianata e le moschee, allo Stato palestinese, e la parte ebraica agli israeliani. Magari per la cittadella dei luoghi santi si potrebbe fare una convenzione internazionale che lasci una specie di piccola area franca. Quando ci sono due Stati sovrani e non c’è più né violenza né guerra, dove si vive non fa grande differenza.

La distanza tra le due parti oggi sembra incolmabile.

Ho la profonda convinzione che questa frattura sia dovuta alla guerra e alle morti: il sangue acceca e obnubila. Non credo affatto che ci sia una così grande distanza tra i palestinesi e gli israeliani. Anzi, direi che sono in assoluto due tra i popoli più vicini. Posso sembrare un idealista, un utopista, ma francesi e tedeschi, due popoli che si erano «scannati» molto più che i palestinesi e gli israeliani, sono diventati parte della stessa Europa.
Quando la gente vive in pace, dimentica presto l’odio e il sangue. A me un giorno piacerebbe che gli israeliani riconoscessero che la loro venuta, la costituzione dello Stato israeliano, ha provocato terribili sofferenze ai palestinesi, ma che questa non era la loro intenzione. Quando si giungerà a un reciproco riconoscimento, tutto si stempererà. Ammettere i torti, stempera sempre gli odi. Quando uno ti chiede scusa, infatti, non ti considera un non-uomo, capisce che hai sofferto. Papa Giovanni Paolo II ha fatto il giro del mondo chiedendo scusa a tutti e suscitando un enorme afflato di simpatia.

Lei è un uomo di pace: il sindaco di Firenze le ha conferito il Sigillo per la pace nel 1995…

«Grande è la pace. Per la pace si può anche mentire; anche il Santo Benedetto ha mentito per la pace. Per la pace tra marito e moglie – è la voce di Dio che parla – io sono disposto a che venga sciolto il mio nome santo come polvere nell’acqua». Quanto più per la pace tra i popoli…
Tutto è possibile nella pace, niente è possibile nella guerra. C’è una sola guerra legittima: quando uno vuole sottometterti, schiavizzarti, tu devi difenderti. L’Iraq minacciava gli Stati Uniti? Chi scatena una guerra che ha già fatto 60 mila morti secondo le stime ufficiali (ma sono molti di più contando le innumerevoli vittime innocenti e i civili) sulla base di bugie, che cos’è?
Io credo che si possa vivere in pace, nell’uguaglianza. Come si possono spendere migliaia e migliaia di dollari per una guerra inutile, mentre ogni secondo un bambino muore di fame? Come si può accettare che l’umanità devasti il proprio habitat, rischiando di creare catastrofi? C’è qualcosa di spaventoso in tutto questo. Allora io utilizzo i piccoli mezzi che ho a disposizione per esprimermi come so e come posso.

Quali sono le caratteristiche dell’«ebreo che ride»?

L’umorismo ebraico si colloca su un crinale, su un abisso, che separa la luce dalle tenebre. È un bagliore che illumina le tenebre, perché il suo scopo è quello di contrastare la violenza, il pregiudizio, la stupidità e di glorificare l’uomo fragile, l’uomo debole, l’uomo goffo, l’uomo che cerca di sopravvivere con le sue furbizie. Ed è un bagliore di pensiero. I popoli oppressi hanno sempre cercato di ridere molto. Hanno cercato di affermare la dignità della vita in mezzo all’orrore.

Si può ridere anche delle cose serie?

Si può ridere di tutto: di Dio, delle religioni, si può ridere anche parlando di Shoah, ma non è mai derisione né irrisione. L’umorismo è paradossale, illumina le contraddizioni del mondo. Nell’Etica ebraica c’è un midrash (racconto che parte, in modo più o meno esplicito, dalla Scrittura ndr) in-titolato proprio «Dio ride», che si conclude con Dio che ride di se stesso per la propria goffaggine, per avere fatto un’intrusione indebita in faccende di uomini.
Da ragazzo ridevo molto, con gli amici abbiamo fatto grandi «zingarate», ma non sopportavo che qualcuno, ridendo, facesse del male a qualcun altro. Se quel ridere, feriva una persona indifesa mi indignavo ferocemente: la «vittima del riso» deve ridere più degli altri.

Chi è Dio?

Quando Mosè chiede a Dio, cioè alla voce che esce dal roveto ardente, che cosa sia quella voce, il Santo Benedetto gli risponde: «Dì al faraone che ti manda “sarò che sarò”». Come a dire: io sono un futuro, con una relativa che apre un altro futuro, in altre parole, sono un futuro continuamente in fuga in avanti. Non cercare di ingabbiarmi: sono un divino di libertà e quindi, se sono Dio, non puoi ingabbiarmi in una definizione.
Io non sono ateo, perché l’ateismo è una forma intollerabile di religione. Sono un agnostico, un abitante del mondo che sostiene che quella di Dio può essere solo una ricerca. Dio non lo si trova mai: guai a noi se lo trovassimo, quando si trova vengono fuori gli integralismi. Mi sono dato un compito, anche se non conto niente e sono solo un povero saltimbanco: difendere Dio dai credenti che vogliono rubargli il posto.
Il Santo Benedetto ammonisce Adamo ed Eva, ma non impedisce loro di fare quello che vogliono, perché sono liberi, sono stati creati tali, pagheranno le conseguenze delle loro scelte. E così deve essere. Sono stato creato libero e rispondo delle mie scelte. Le leggi (condivise e laiche) non sono portatrici di verità assoluta la quale appartiene solo a Dio. Se qualcuno ha avuto la delega dal Santo Benedetto, mi faccia vedere la firma.

Elisa Savi è sua partner nella vita e nel lavoro.

Elisa è una persona straordinaria. Una persona dotata di mille talenti, molto più di me. Elisa faceva da diciotto anni il product manager e la stilista di moda per bambini, quando ci siamo messi insieme. Io non le ho detto nulla; lei ha deciso che preferiva altro nella vita. Non ha smesso di lavorare: Oggi è l’amministratore della piccola società che abbiamo insieme e se non ci fosse lei io «andrei sotto i ponti». Lei è la costumista dei miei spettacoli e io mi fido di lei.
È una donna davvero straordinaria, che ha una fortissima presenza e persistenza sulla dimensione affettiva della vita e ha compiuto delle scelte coerenti con questo suo modo di essere. Condividiamo tutto. Non ho mai avuto problemi di relazione con il mondo femminile.

Qual è il talento delle donne?

Il talento delle donne è l’unica bella novità in questo mondo francamente deludente. Le donne, al talento artistico o intellettuale, proprio anche dell’uomo, uniscono una lettura interiore che agli uomini manca: questi ultimi non sono stati educati ad approfondire il valore sentimentale di ogni loro azione. La donna immette nella sua relazione con la cultura, oltre che la sua curiosità e capacità intellettuale e artistica, questa dimensione emozionale. Ha un legame con la vita molto più alto, molto più profondo e molto meno di potere. Certo, ci sono donne buone e cattive, ma questo è un altro discorso.
Io noto che il pubblico femminile è più motivato. Una volta un’insegnante mi disse: «Per noi la cultura è vita». Contrariamente a certe battute un po’ rozze che circolano a riguardo, io credo che la donna sia stata creata per ultima perché è l’essere più complesso e più vicino a Dio nell’ordine della creazione. I maestri del chassidismo dicono: «Dio ha creato le madri perché non poteva stare dappertutto».       


La scheda. Una brillante carriera

Moni Ovadia nasce a Plovdiv in Bulgaria nel 1946 da una famiglia ebraica, che un anno dopo si trasferisce a Milano. Si laurea in Scienze politiche, ma comincia subito a cantare e a studiare la musica tradizionale soprattutto dei Paesi di area balcanica. Il suo sarà sempre un «teatro musicale». Nel ’90 mette in scena lo spettacolo Golem (con Daniele Abbado), e con Oylem Golem si impone al grande pubblico. Del 1995 è Dybbuk (con Mara Cantoni), un testo sull’Olocausto. Del 1996 Ballata di fine millennio. Il caso Kafka vede la collaborazione di Roberto Andò (partner anche nel più recente Le storie del signor Keuner, 2006 con la Moni Ovadia Stage Orchestra e la direzione di Emilio Vallorani). Nel 1998 è la volta di Mame, mamele, mamma, mamà…, e nel 2001 de Il banchiere errante. Nel cinema Moni Ovadia ha legato il suo nome a Moretti (Caro Diario) e Monicelli (Facciamo Paradiso). Suoi sono anche diversi libri: Perché no? (Bompiani 1996), Oylem Goylem e Speriamo che tenga (Mondadori), L’ebreo che ride (Einaudi).

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017