Mai più in piazza con i violenti

Dopo i fattacci di Genova, i gruppi cattolici che avevano richiamato l’attenzione dei G8 sulla sorte dei poveri nel mondo, hanno deciso di non manifestare mai più con i gruppi che professano la violenza.
05 Ottobre 2001 | di

Più di un lettore ci ha sollecitato il nostro giudizio sui fatti di Genova. Tentiamo qui di dare una risposta, anche se innevitabilmente non sarà  esauriente e non soddisferà  tutti, perché i problemi sollevati sono complessi. Su un punto siamo certo tutti d`€™accordo: nel definire coloro che hanno messo a ferro e fuoco Genova, i Blak bloc, teppaglia, che agisce solo per distruggere. A muovere le loro gesta non c`€™è un progetto politico, una ideologia, se non quella della violenza che li fa essere contro questo sistema e contro ogni sistema. La loro non è neppure contestazione, è solo repulsione verso un mondo non ben definito. Per alcuni osservatori (Khaled Fouad Allam su "La Stampa"), essi rappresentano un nuovo tipo di individuo: figlio del cellulare e del personal computer. Espressione della solitudine della odierna società , essi si aggregano in rete, si interconnettono per scambiare informazioni, ma non dialogano e si esprimono in forme, spesso inconsulte e violente, di confuso rigetto. Che non serve certo alla causa dei poveri, cosa che non appartiene alle loro preoccupazioni. Non sappiamo se qualcuno finanzi questi "cani sciolti", probabilmente non ne hanno bisogno: basta la loro stupidità  ad alimentarli.

Ma non hanno servito la causa dei poveri, pur avendola messa nel loro zainetto assieme ad altri propositi, tutti coloro che a Genova con la violenza hanno pericolosamente giocato. Pensiamo ai giovani dei Centri sociali, che hanno in Luca Casarini (strano "eroe" emerso da quelle turbolente giornate). Costoro `€“ come ha evidenziato bene Adriano Sofri in un`€™intervista all`€™"Espresso" `€“ partendo dalla convinzione che la violenza è un male endemico nella società , sostengono che una piccola dose ne può impedire l`€™esplosione generale; che cioè una pietra lanciata contro una vetrina o contro un poliziotto, o un`€™auto incendiata non sarebbero poi un gran male. Sarebbero un antidoto contro la grande violenza e in più richiamano l`€™attenzione dei mass media e in un momento in cui la visibilità  ha un peso decisivo, la cosa non guasta. Come effetto pedagogico sui tanti giovani che frequentano le manifestazioni magari con propositi diversi, non ci pare il massimo.

Le lazzaronate della teppaglia hanno infatti rubato la ribalta a tutto il resto, inducendo i più a mettere sullo stesso calderone di violenza e di confusione, tutti i vari gruppi (sessanta di provenienza cattolica) che a Genova si erano dati appuntamento per tutt`€™altri motivi. Essi volevano richiamare l`€™attenzione dei rappresentati delle otto potenze maggiormente industrializzate (i G8), radunatesi nella città  doriana per le concordare strategie economiche di un mercato ormai dalle dimensioni planetarie (globalizzazione), di ricordarsi anche dei milioni di disgraziati che non solo non possono comperare alcunché in quell`€™immenso bazar, che invece fa la fortuna dei soliti noti, ma che, invece, ne sono irrimediabilmente danneggiati.

Globalizzazione: è un vorticoso evento che, sconvolgendo geografia, politica ed economia, ha fatto del pianeta un solo grande mercato. È successo negli anni Settanta quando alcuni Paesi asiatici (Singapore, Hong Kong, Corea del Sud, Malaysia, Taiwan, Cina e India...), sull`€™esempio del Giappone, si sono lanciati nella produzione di elementi di alta tecnologia a prezzi concorrenziali, richiamando capitali e imprese occidentali che vi si sono catapultate, avendo l`€™opportunità  di produrre senza più i vincoli fiscali e gli oneri sociali imposti nei Paesi d`€™origine. Nel frattempo il comunismo, con l`€™economia e i suoi mercati rigidamente controllati dallo Stato, finiva in soffitta e i progressi della tecnologia delle informazioni e delle telecomunicazione, Internet in prima fila, trasformavano il mondo in una grande borsa d`€™affari aperta giorno e notte.

Per mettere un po`€™ di ordine nella nuova realtà , che ancora si sta muovendo tumultuosamente, e per non perdere colpi loro stessi, i Paesi ricchi si sono associati in vari organismi. Il G8 è uno di questi, e tiene la sue periodiche sedute, oggetto delle pesanti contestazioni, tendenti alcune anche a mettere in dubbio la loro legittimità , ma trattandosi di incontri, forse eccessivamente spettacolari, tra rappresentanti di cittadini che li hanno eletti, la pretesa ci pare peregrina.

I problemi di fondo. La globalizzazione in sé non è un male. Se essa serve per far partecipare tutti al nuovo banchetto, sia benedetta. Ma probabilmente le cose non stanno andando così. I gruppi antiglobal ritengono che ad abbuffarsi siano i soliti noti. E ai poveri neppure le briciole. Questo perché la filosofia cui si ispira la globalizzazione è il profitto, sono le leggi di un mercato fine a se stesso, e questo apre la strada a una specie di colonialismo economico e culturale che calpesta la dignità  del lavoratore, i diritti umani, la democrazia e la libertà , e moltiplica il divario tra ricchi e poveri. "Una grave deviazione della nostra etica collettiva `€“ ha detto il professor Stefano Zamagni della Pontificia Accademia delle scienze sociali `€“ è proprio l`€™assolutizzazione dell`€™economia. Noi non siamo soddisfatti che in tante discussioni sull`€™avvenire dell`€™umanità  l`€™economia primeggi su ogni altra considerazione. Tutto questo è contrario alla dottrina sociale della Chiesa".

La stessa preoccupazione era stata ribadita anche nell`€™incontro dei sessanta gruppi cattolici al teatro Carlo Felice di Genova il 7 luglio, gremito soprattutto di giovani. Roberto Diacco, vicepresidente dell`€™Azione cattolica, aveva sintetizzato così un pensiero comune: "Sbaglierebbe chi pensasse di affrontare le sfide di oggi solo dal punto di vista politico ed economico. A provocarci è anche l`€™aspetto etico e culturale della globalizzazione".

Da combattere, secondo Enzo Bianchi, priore della comunità  di Bose, non è allora la globalizzazione, ma "l`€™idolatria del mercato, lo sfruttamento capitalista, l`€™Aids, la povertà  offerta da milioni di uomini, mentre altri ingrassano nella ricchezza".

Le proposte correte. Per non restare sul generico all`€™incontro del 7 luglio erano state riprese alcune proposte fatte durante il Giubileo, come la cancellazione dei debito estero dei Paesi poveri, l`€™introduzione del Tobin tax (uno strumento necessario con cui limitare la speculazioni finanziarie), la lotta all`€™Aids, che sta falcidiando interi Paesi africani... Ma era stato anche avanzato l`€™invito alla "testimonianza di una vita sobria, fatta di condivisione delle povertà "; alla "scelta del volontariato per costruire il villaggio globale"; alla "partecipazione coraggiosa alla vita politica, come forma privilegiata di carità  sociale".

Lo aveva fatto il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Genova, uno degli animatori del movimento cattolico per i diritti dei poveri, sostenendo anche lui che essi non manifestavano "contro la globalizzazione, ma per una globalizzazione umana e umanizzante", che "i diritti dei deboli non sono diritti "deboli"" e che "non è in questione la solidarietà , ma la giustizia e una democrazia matura"; che "la proprietà  privata ha una funzione sociale".

Puzza di marxismo? In queste pressanti richieste di uguaglianza e di giustizia qualcuno, anche in ambienti cattolici, ha sentito puzza di marxismo. Nessuno è perfetto. Tuttavia l`€™attenzione ai poveri nella Chiesa precede Marx. Negli Atti degli apostoli si legge che nella primitiva comunità  cristiana "chi aveva proprietà  e sostanze le vendeva e ne faceva parte, secondo il bisogno di ciascuno" (2,45). Pio XI nella Quadragesimo anno (1931), scriveva: "Nell`€™ordine delle relazioni internazionali da una stessa fonte sgorgò una doppia corrente: da una parte, il nazionalismo o anche l`€™imperialismo economico; dall`€™altra non meno funesto ed esecrabile, l`€™internazionalismo bancario e l`€™imperialismo internazionale del denaro, per cui la patria è dove c`€™è guadagno". E Paolo VI nelle Populorum progressio (1967): "La proprietà  privata non costituisce per alcuno un diritto incondizionato e assoluto. Nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno quando altri mancano del necessario".

Il problema della violenza. All`€™incontro del 7 luglio i gruppi cattolici erano stati espliciti. Riccardo Moro, responsabile del comitato della Cei per la cancellazione del debito estero, aveva detto: "Vogliamo dare tutto il nostro contributo possibile in termine di proposte e di manifestazione, ma non possiamo correre il rischio di degenerazioni violente. La violenza è contro i nostri principi ed è controproducente perché danneggia i poveri".

Poi è successo quel che è successo. La violenza di pochi ha sovrastato la non violenza dei più (cui si è aggiunta poi la violenza di alcune forze dell`€™ordine sulla quale la magistratura sta indagando), finendo con il dimenticare i motivi per cui si era dimostrato e non curandosi neppure di quello che i G8 stavano decidendo (vedi articolo seguente).

In seguito alla gravità  dei fatti, sono piovuti i pentimenti e le dissociazioni del mondo cattolico e il fermo proposito di non partecipare mai più a manifestazioni di massa. "Le giornate del G8 `€“ scrive la rivista dei missionari comboniani, "Nigrizia", nell`€™editoriale di settembre `€“ rappresentano un discrimine. D`€™ora in avanti il movimento non potrà  mai più stare nelle stesse piazze dove si esprime l`€™idiozia teppistica del Blak bloc. Ne potrà  più permettersi di essere tacciato di connivenza con i violenti. Di sicuro alcuni degli associati al Genoa social forum non hanno riflettuto abbastanza sulla non violenza e sulla disobbedienza civile non violenta. È necessario farlo e continuare a farlo senza tentennamenti né infingimenti".

E quando lo scorso settembre i centri sociali hanno fatto nascere il Roma social forum per manifestare ancora in occasione del vertice Fao di novembre, i movimenti cattolici hanno detto chiaramente "no". "I cattolici a Genova `€“ ha detto don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità  di Capodarco e del Coordinamento nazionale delle comunità  di accoglienza `€“ avevano aderito al Genoa social forum perché interessava loro far emergere le contraddizioni planetarie: il debito, la fame, la salute, la giustizia (...) ma non sono interessati alla costituzione di un movimento politico, oggetto delle attenzioni dei centri sociali e della sinistra movimentista". Questo non vuol dire che smetteranno di occuparsi dei problemi dei poveri, ma lo faranno in altri modi, anche, come ci scrive Giuseppe Vitale "formulando proposte alternative, vivendo stili di vita più sobri ed equi. Pensiamo al consumo critico e al commercio equo e solidale. Dobbiamo lavorare per disegnare una società  meno ingiusta di quella in cui viviamo"

Un documento quasi sconosciuto

I G8 hanno deciso...

di Francesco Jori

Del tanto discusso G8 di Genova `€“ il vertice dei capi di Stato e di governo degli otto Paesi più industrializzati, il primo del nuovo millennio `€“ poco o nulla si è saputo in termini di contenuti: di cosa si è parlato, cosa è stato deciso? Tanto o poco?

Eppure, le firme messe a Genova impegnano lo sviluppo del mondo per i prossimi anni, se non per i prossimi decenni: cominciando dal grande nodo della riduzione della povertà , fonte di gravissimi squilibri planetari che a loro volta ne mettono in moto altri, ad esempio le grandi migrazioni di massa, la siccità , la fame, le malattie, l`€™analfabetismo.

Su questo fronte, il documento conclusivo di Genova annuncia l`€™impegno dei Paesi più ricchi a sostenere gli sforzi del Terzo Mondo per invertire la tendenza. E qui si innesta il filone del debito contratto dai Paesi poveri, su cui qualcosa si sta muovendo: già  23 Stati si sono attrezzati per beneficiare dell`€™iniziativa, per un ammontare totale di riduzione dell`€™indebitamento pari a oltre 53 miliardi di dollari, a fronte di un debito iniziale di 74 miliardi. In più, a Genova si è parlato di una pressione da esercitare sui Paesi indebitati, e in cui sono in atto conflitti di varia natura, per indurli a rinunciare alla violenza in cambio di concreti aiuti.

Mercati aperti a tutti. Ma tamponare le falle di bilancio pubblico non basta. Il G8 si è impegnato anche per promuovere una maggior partecipazione da parte dei Paesi in via di sviluppo al sistema commerciale globale, per favorire maggiori investimenti privati, e per sostenere iniziative che promuovano la salute, l`€™istruzione e la sicurezza alimentare. Sarà  varato inoltre un nuovo round di negoziati globali in materia commerciale, nella convinzione che il libero commercio e gli investimenti possano alimentare la crescita e ridurre la povertà .

Perché questa non resti un`€™affermazione teorica, occorre che i Paesi in via di sviluppo possano beneficiare dei mercati aperti: per farlo, hanno bisogno di assistenza sugli standard tecnici, sui sistemi doganali, sulle legislazioni necessarie per accedere all`€™Organizzazione mondiale per il commercio, sulla protezione dei diritti di proprietà  intellettuale, sullo sviluppo delle risorse umane. E c`€™è da parte del G8 anche l`€™impegno a incoraggiare le istituzioni finanziarie internazionali a dare un aiuto concreto nella rimozione degli ostacoli al commercio e agli investimenti.

Il capitolo salute. Poi c`€™è tutto il grande e strategico capitolo della salute. Già  un anno fa, ad Okinawa, il G8 si era impegnato a un salto di qualità  nella lotta contro le malattie infettive, e a rompere il circolo vizioso tra malattia e povertà . A questo impegno, si accompagna ora l`€™istituzione di un fondo globale per combattere l`€™Aids, la malaria e la tubercolosi, con uno stanziamento iniziale di 1,3 miliardi di dollari, aperto a ulteriori apporti di privati, fondazioni e istituzioni varie. Questo fondo promuoverà  anche e soprattutto azioni per la prevenzione.

Alla salute dovrà  accompagnarsi un analogo massiccio impegno per l`€™istruzione, indicata dal G8 come un fattore centrale per la crescita e l`€™occupazione: l`€™obiettivo indicato a suo tempo in un incontro a Dakar, e ribadito a Genova, è di giungere alla diffusione universale dell`€™istruzione elementare entro il 2015, con uno sforzo che include anche la formazione degli insegnanti: il tutto supportato da un largo ricorso alle nuove tecnologie dell`€™informazione e della comunicazione. I capi di stato e di governo, a tale riguardo, hanno rivolto un appello ai privati perché investano in infrastrutture e tecnologie del settore, nonché in sussidi didattici; e in pari tempo si sono impegnati a collaborare attivamente con l`€™Organizzazione internazionale del lavoro per sostenere la battaglia contro lo sfruttamento del lavoro minorile e contestualmente per accrescere la frequenza scolastica.

Sicurezza alimentare e ambiente. Altro obiettivo di fondo enunciato a Genova è quello della sicurezza alimentare, partendo dalla constatazione che oggi 800 milioni di persone sono denutrite, e che quasi un terzo di esse è rappresentato da bambini: lo scopo è garantire a tutti l`€™accesso a risorse alimentari adeguate, specie attraverso concreti sostegni all`€™agricoltura, specie nelle zone dell`€™Africa subsahariana e del Sud dell`€™Asia.

A questo si collega per molti aspetti l`€™ampio quanto decisivo filone dell`€™ambiente: il G8 ha ufficialmente riconosciuto, nel documento conclusivo, che i cambiamenti climatici sono un problema pressante, tale da richiedere una soluzione globale per stabilizzare le concentrazioni dei gas-serra nell`€™atmosfera. Se dissensi rilevanti rimangono sulla ratifica del protocollo di Kyoto, che dovrebbe introdurre standard severi e uniformi al riguardo, gli otto Paesi più ricchi si sono detti comunque disponibili alla conferenza globale sui cambiamenti climatici annunciata dalla Russia per il 2003, e alla quale oltre ai governi parteciperanno il mondo dell`€™industria, la comunità  scientifica, la società  civile. In mezzo, ci sarà  l`€™anno prossimo a Johannesburg un vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile, in vista del quale il G8 ha ribadito le tre dimensioni fondamentali da non perdere di vista: aumento della crescita economica, promozione dello sviluppo umano e sociale, protezione dell`€™ambiente.

Il documento conclusivo di Genova include anche un capitolo specifico per l`€™Africa, partendo dal presupposto che la pace, la stabilità  e lo sradicamento della povertà  nel continente nero rappresentino una delle sfide principali del nuovo millennio. Progressi significativi sono stati compiuti in materia di soluzione dei conflitti in diverse parti dell`€™Africa; ma in molte aree ci sono ancora forti tensioni che frenano ogni concreta possibilità  di vero sviluppo economico e sociale: in questo senso il G8 si è impegnato ad appoggiare il consolidamento della democrazia, il pluralismo e l`€™equità  dei processi elettorali in un numero crescente di Paesi africani.

Tanto o poco, tutto ciò? Le organizzazioni scese in campo contro il G8 contestano soprattutto l`€™esiguità  di alcuni stanziamenti, sottolineando ad esempio come a fronte di 1,3 miliardi di dollari per la lotta all`€™Aids, ne siano previsti 930 per lo scudo anti-missile.

Ma il nodo centrale non sta tanto nei soldi, quanto in una cultura complessiva da cambiare: uno sforzo per il quale non bastano certo gli stanziamenti di bilancio, grandi o modesti che siano.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017