Madre e figlia come persecutrice e vittima?

Una madre davvero insopportabile, quella di Sabrina. Commiserandola, però, non si aiuta la ragazza a crescere. Ecco invece alcuni suggerimenti per trasformare questo legame malato in una sana relazione.
10 Marzo 2003 | di

Il seguente è il ritratto di una madre, un ritratto che pare darci un orrendo primo piano «oggettivo»:
`€“ è sempre in ansia per ogni cosa;
`€“ vuole organizzare la vita a tutti, ma nega di volerlo fare;
`€“ ha la tendenza al vittimismo, da sempre;
`€“ sembra che solo lei debba arrivare a tutto e a tutti;
`€“ si sente saggia, ciò che pensa è assolutamente vero;
`€“ non è coerente con i giudizi e i valori cui tiene;
`€“ è troppo pettegola, non pensa mai bene degli altri;
`€“ è iperprotettiva;
`€“ ci ha cresciuto nel terrore degli sbagli e dei pericoli: cattive compagnie, droga, ecc...;
`€“ non ammette mai uno sbaglio;
`€“ è la tipica perfetta «brava cristiana» ligia al dovere.
Chi scrive un simile ritratto è Sabrina, una diciottenne; lo scrive senza tentennamenti, ben convinta di avere ragione.

Che farsene di una madre così? A stare incollati a un simile ritratto vien da dire: evviva gli orfani! Ma immaginiamo la sofferenza reale che è sottesa a una simile presentazione della figura materna e quanto una tale sofferenza si coaguli in una rabbia impotente (che potrebbe anche prendere cattive strade per «liberarsi», come, ad esempio, la distruttività  di sé o degli altri). Quasi istintivamente solidarizziamo con questa giovane donna così soffocata e «occupata» da una simile madre. Oltretutto, gli addetti ai lavori sanno che almeno alcuni tratti di questa descrizione possono essere tremendamente realistici.
Ma con simili «complici» emozioni che ci fanno parteggiare per Sabrina, abbiamo spalancato le porte a un danno che rischia di essere irreversibile. Sabrina non se ne fa niente della nostra complicità , che `€“ caso mai `€“ può darle soltanto un sollievo momentaneo. Se lei può leggere nei nostri occhi e nel nostro nonverbale o perfino in certe espressioni una sorta di commiserazione vi si aggrapperà  momentaneamente, ci «premierà » perfino (tu sì che mi capisci) e poi tornerà  a casa più agguerrita di prima, disposta a cogliere fin nelle sfumature del comportamento materno quanto lei abbia ragione. E così viene defraudata del suo diritto di un paio di occhiali nuovi con cui, almeno qualche volta, «sorprendere» i tratti di una nuova madre. Guai all`€™adulto che scende a simile complicità : con parola forte, potremmo definirlo un «ladro». Perché?
C`€™è una prima ragione interattiva, da pescare proprio dentro il circolo familiare, compreso quello allargato: se un figlio porta nel suo mondo interno un simile ritratto, si può star sicuri che c`€™è qualcuno che lo sottoscrive pienamente: può essere una nonna-suocera, un padre-marito, una zia-sorella o cognata e così via. Un simile ritratto non nasce dal deserto: qualcuno ha sottolineato, suggerito o perfino pronunciato i tratti della madre che una adolescente come Sabrina si permette di avanzare. E, per un figlio in crescita, questo qualcuno è un istigatore che sotto sotto gli dice (anche se inconsapevolmente) «tu sì che capisci, cara; tu sei dalla mia parte». E così si creano famiglie tragicamente divise su due fronti. E questo non fa bene a nessuno. È vero che, come si conviene all`€™adolescenza, Sabrina può esagerare i suggerimenti, soffiare sul fuoco, assolutizzare, fare spietati proclami, ma gli adulti intorno a lei dovrebbero fare un esame di coscienza e cominciare, ciascuno per se stesso, a togliere legna dal fuoco. Perché? Perché un simile ritratto fa male anzitutto a Sabrina: vedere la madre come un persecutore non l`€™aiuta né a crescere, né a staccarsi, né a fare le sue scelte autonome.

Mamma e figlia unite da un filo d`€™oro

Attenzione, non si tratta di negare l`€™evidenza! Certamente un simile ritratto non nasce dal nulla: e tante accuse alla madre possono avere un loro fondo di verità . Non si aiuta Sabrina dicendole: «Sopportala, fa finta di niente, lei ti vuol bene lo stesso!». Queste mistificazioni che Sabrina `€“ raffinata dalle sue sofferenze `€“ sa scovare, non portano nessun cambiamento. Bisogna invece mirare più alto, molto più alto.
Lasciamocelo dire dalla Parola di Dio che, come sappiamo, agisce in nostro favore: «onora il padre la madre» è un comando assoluto, senza condizioni: non dice «se» se lo meritano, «se» ne sono degni, «se» li trovi a posto. Dice «onora» che è un comando fortissimo: rispetta, rendi onore al fatto che sono genitori. E come Sabrina può rendere onore alla madre? Rileggiamo con lei il rosario di accuse che le è venuto così «spontaneo»: non possiamo trovare, insieme ai tanti errori, un motivo comune che lega i comportamenti sbagliati, quasi con un nascosto filo d`€™oro?
Naturalmente, possiamo indicarlo a Sabrina solo se l`€™abbiamo trovato noi, con umiltà . Ecco: questa donna ce l`€™ha messa tutta a praticare da madre, si è data da fare all`€™inverosimile, è stata «sul fronte» con tutte le sue forze, non è venuta meno al suo compito di madre, non si è ritirata vigliaccamente; e forse si è sentita sola, molto sola. Forse per questo non ha saputo correggere il tiro, ha esagerato nella sua ansia, nella sua passione, ha creduto che più era potente come madre, più era madre. Quando Sabrina avrà  percepito questa «iperprotezione» come il desiderio della madre di fare la madre, allora potrà  «perdonarla» e cioè avanzare una critica non imbevuta di veleno, una critica sana e circostanziata, del tipo (è solo un esempio): «Desidero che tu non vada a sbirciare nel mio diario». Una critica concreta che, se Sabrina se la permette, è un grande dono sia alla madre  sia a se stessa.

Il difficile «lavoro» della madre

Ben diverso è il discorso che può essere fatto direttamente alla madre. Precisiamo che nessuna madre può reggere di fronte a un simile ritratto: lo troverà  radicalmente ingiusto e se ne difenderà . Nessuno di noi è disponibile ad accettare una critica azzerante, fatta magari senza amore. Ma poniamo che la madre abbia il coraggio di stare di fronte almeno ad alcuni dei tratti di questo rosario di accuse; allora potrebbe venirle il sospetto: «Com`€™è che a mia figlia arriva un ritratto di madre così insopportabile? Che cosa faccio io perché lei si arrocchi in tal modo? Non cado nella trappola di pensare che tutto quello che faccio è sbagliato, però posso ospitare un dubbio: come mai le mie buone intenzioni educative non arrivano a lei? È vero che credo di avere sempre ragione? Lo so bene che non ho sempre ragione, ma perché `€“ quando scopro di avere torto `€“ non glielo dico? Perché mi trincero sempre dietro i miei buoni motivi che non l`€™aiutano a conoscermi un po`€™ meglio, che non le mostrano come qualche volta mi accorgo di sbagliare? Perché ho tutta quest`€™ansia di fare la brava madre? Perché vorrei arrivare a tutto, prevenire i suoi sbagli, indicarle sempre e solo i suoi errori?
Forse c`€™è qualcuno in famiglia che avrebbe voglia di esprimere le sue idee educative: ad esempio, non è che il papà  avrebbe voglia di esercitare da papà ? Troppo comodo dirmi che tanto lui si tira sempre indietro e che al fronte ci devo stare io da sola: e se provassi a chiedergli di fare il papà  a modo suo, senza voler controllare come lo fa, senza voler giudicare?
Certamente una madre che si lasciasse prendere da queste domande darebbe una buona mano alla figlia per non essere trasformata in persecutore: e questo farebbe bene, molto bene, non solo alla madre ma anche alla figlia!

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017