Lo sport per educare

Occorre un progetto che coinvolga scuola, famiglie, parrocchie, per ridare allo sport il ruolo che gli è proprio, quello di gioco con gli altri e di confronto con se stessi per scoprire le proprie capacità, i propri limiti e sapersi regolare nella vita
04 Giugno 2003 | di

Lo sport fa bene alla salute? Dovrebbe. Ma da come si sono messe da noi le cose, pare siano davvero pochi a trarne vantaggi. Doping, violenza e intrallazzi di vario genere lo stanno massacrando. Irrimediabilmente? Si spera di no.
Il doping. L`€™ultima retata nel torbido stagno dei farmaci proibiti l`€™ha effettuata, lo scorso aprile, il Nucleo antisofisticazioni dei carabinieri (Nas) di Padova su mandato del pubblico ministero Paola Cameran. Cinquanta perquisizioni tra Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna. È venuto a galla di tutto. Cose già  note, a riconfermare la caduta verticale dei valori nel mondo dello sport. E alcune novità . Due gli arrestati: due cicloamatori (i fratelli Trolese di Carmignano di Brenta, nel padovano), che dietro l`€™innocente insegna di una videoteca, avevano messo in piedi una «farmacia» clandestina con tutto il campionario di prodotti illeciti (vedi riquadro a pagina seguente) ai quali fanno ricorso sportivi disonesti per migliorare le loro prestazioni atletiche, per poter vivere, anche se brocchi, dopandosi a dovere, una giornata di gloria. Rischiando la salute.
«Roba per uso personale» si sono difesi in un primo momento i due. Ma il magistrato non ci ha creduto. Intercettazioni telefoniche, e il via vai di manager sportivi, allenatori e atleti, a certe ore del pomeriggio, registrato dai pedinamenti, l`€™ha convinta che forse si tratta di ben altro. Ha sorpreso in genere il fatto che a fornirsi di sostanze dopanti non siano ormai più solo i professionisti dello sport, le cui vittorie contano in termini economici, ma siano anche cicloamatori (i corridori della domenica), dilettanti, allievi, ragazzini, messi in sella dalla passione per la bici o dall`€™ambizione di genitori frustrati che sognano il figlio campione.
Giovanissimi, dunque.Infatti, a provocare l`€™inchiesta sono state le condizioni di un dilettante ventitreenne, Dario Uderzo, finito in ospedale, dopo aver assunto sostanze dopanti. Ma anche l`€™esposto di un genitore anonimo: «Si fa praticare lo sport ai figli `€“ scriveva `€“ perché restino fuori dalla droga di strada e della discoteca, e poi ce li ritroviamo nelle stesse condizioni anche nello sport».
Che il doping sostenesse l`€™attività  sportiva di atleti professionisti che prendono e fanno prendere soldi, lo si sapeva.
Sui cicloamatori e sui giovanissimi gravavano forti sospetti; i risultati di questa «retata» confermano quanto alcune indagini, non prese sul serio, avevano anticipato. Ad esempio, una ricerca condotta fra diecimila studenti delle medie inferiori (11-13 anni) delle scuole romane ha rivelato che settecento ragazzi assumevanosistematicamente creatina e aminoacidi ramificati per sostenere i loro sforzi atletici. In un questionario preparato dal Centro sportivo italiano, ci segnala il suo presidente Edio Costantini, è stato chiesto ai ragazzi se erano disposti a usare sostanze dopanti per raggiungere il traguardo: un numero piuttosto rilevante ha risposto di sì.
Poi c`€™è la violenza: nello sport e attorno allo sport. C`€™è quella dei tifosi organizzati in bande e c`€™è quella di chi ritiene sia comunque giusto farvi ricorso per prevalere sull`€™avversario. Ne sono convinti `€“ e lo dimostrano spesso `€“ sia quelli che tirano calci nei ricchi campionati, sia quelli che si cimentano nei tornei all`€™ombra del campanile. Clamoroso, e poco edificante, il caso della Campania dove, in seguito a diffusi episodi di violenza, la Federcalcio ha sospeso i campionati minori.
Un`€™indaginerecentissima condotta dalla Società  italiana di pediatria su un campione nazionale di 1.200 studenti delle scuole medie, ha evidenziato che il 77,3 per cento dei giovani sportivi più competitivi considera «necessario» arrivare alle mani (contro una media nazionale del 56 per cento) nel caso si verifichi un litigio. Il 22,7 per cento ha risposto che «spesso» la pensa così (contro l`€™8,5 per cento della media e contro il 7,8 per cento e il 5,3 per cento di chi fa esercizio fisico solo «per stare in compagnia» o «perché fa bene alla salute»).
La violenza connaturata allo sport? Lo abbiamo chiesto al professor Mario Gori che insegna scienza della formazione a Bressanone: «La violenza `€“ risponde `€“ c`€™è sempre stata nello sport. Nel primo secolo avanti Cristo, c`€™è stato un grosso scontro di tifoserie in uno stadio della zona di Napoli, con migliaia di feriti. Si tratta di attività  illusorie, che falsificano la realtà  e danno modelli di identificazione agli spettatori. Anche lo `€œspirito olimpico`€ è una lettura falsa dell`€™antica Grecia, perché per i greci importante era vincere, non partecipare. Ancor oggi la violenza è dentro lo sport, perché nel momento in cui io cerco di strapparti la palla in tutti modi e con tutti i trucchi possibili (parliamo di uno sport di squadra, come, ad esempio, il calcio), sto rispecchiando le modalità  della vita sociale di oggi, con la sopraffazione dell`€™altro e la vittoria ad ogni costo».

Lo sport specchio della società 

Appunto, lo sport come specchio della società . Lo sport assorbe e si nutre dei valori che alimentano la società . «Valori», o meglio «miti», che sono poi la ricerca del denaro, del successo, del risultato`€¦
Dice Edio Costantini: «Lo sport è diventato un affare, un commercio, cosa legittima, perfino inevitabile, in una società  basata sul mercato. È un guaio quando la ricerca del denaro si fa dipendenza assoluta».
Il sociologo tedesco Klaus Heinemann parla di una vera «colonizzazione economica dello sport» che si traduce in perdita di autonomia e annullamento di qualsiasi scrupolo etico. I valori proclamati, che sono alla base di ogni disciplina sportiva, non esistono più: non ci sono più l`€™attenzione alla persona, i progetti educativi, che dovrebbero essere l`€™anima dello sport di base`€¦ C`€™è solo un corpo, come oggetto da sfruttare, da modellare, da sacrificare sull`€™altare del denaro.
Altro mito dei nostri tempi: la ricerca esasperata del risultato, perché nella vita vale solo chi vince, chi ha successo. Il doping è figlio di questa cultura. Non solo nello sport. Scrive il biologo Claude Galline, uno dei padri della legge antidoping francese: «Il doping è soprattutto una scelta della società , di una società  materialistica, capitalista e ultraliberale, che valorizza in modo quasi esclusivo il successo individuale a scapito della solidarietà , il profitto e il denaro nei confronti della condivisione e dei valori umani; la superficialità  e l`€™apparenza nei confronti dell`€™essenziale`€¦ Gli sportivi non sono i soli a ricorrere a sostanze dopanti, lo fanno i dirigenti di industria, i politici, gli studenti`€¦».
In una sua sentenza il professor Ronzani della Camera di Conciliazione del Coni, così scriveva: «L`€™uso di sostanze o metodi atti a migliorare la forma è, purtroppo, divenuta pratica corrente in una società  che incoraggia lo spirito di competizione e che tributa applausi solo a coloro che vincono. È questa senza dubbio una società  portatrice di valori illusori, come l`€™imperativo categorico del successo a ogni costo, che ripropone nell`€™attività  agonistica i distorti miti e riti del successo. Lo sport usato a fini di profitto, il moltiplicarsi eccessivo delle gare che finisce per superare i limiti normali dell`€™essere umano, sono alcune delle lacune dell`€™ambiente sociale degli sportivi, indotti a usare qualsiasi mezzo per raggiungere il successo, senza preoccuparsi di alterare i risultati».

La complicità  dei genitori

In questo gioco perverso si inseriscono quei genitori che vogliono a tutti i costi un figlio campione, anche se non ha stoffa e voglia. Eccoli a tallonarlo, a inseguirlo da una palestra all`€™altra, incitarlo sguaiatamente, pronti a ogni rimprovero quando il risultato non è quello atteso o a dare triste spettacolo di sé ai bordi del campo. «Ci è capitato di vedere i ragazzini lasciare il campo `€“ ricorda Costantini `€“ per andare a sedare le risse dei genitori». Ma non fanno solo questo, ahimè, certi genitori. Le sostanze dopanti, se non sono loro a proporle, non alzano un dito se sanno che vengono date ai loro figli. Nella vicenda narrata sopra, brilla proprio l`€™omertà  dei genitori. A parte l`€™esposto anonimo, altri, che sapevano e parlando potrebbero aiutare a far luce, tacciono.
Ha detto Piotre Ugrumov, ex campione del pedale, ora direttore sportivo di una squadra giovanile: «Gli stessi cinquantenni che si dopano per vincere una mortadella al traguardo del municipio del paese, mi chiedono per quale motivo loro figlio ha valori di ematocrito e di emoglobina così bassi e se non sia il caso di far qualcosa per farli salire». Purtroppo quel qualcosa non sono gli allenamenti e la fatica, il solo modo naturale per «far muscoli»`€¦ 
«Spesso genitori e allenatori `€“ dice il professor Gori `€“ operano un processo di transfert: sulla pelle dei bambini cercano di ottenere quei successi o quelle conferme che, come ex giovani, non hanno ottenuto. Insomma, riversiamo sui ragazzi i nostri cosiddetti `€œfallimenti`€».
Non è solo il doping a fare male ai ragazzi. Anche la scelta del posto dove far sport può procurare danni: se in un centro sportivo, dove si fa sport di base, praticato a prescindere dalle prestazioni, e dietro al quale magari c`€™è anche un progetto pedagogico, o se in una federazione, dove si selezionano e si allevano solo i migliori, mentre gli altri stanno in panchina o a bordo campo a guardare. Finché uno, deluso, se ne va, chiudendo definitivamente con lo sport giocato, imbarcandosi magari in altre pericolose avventure.
Anche per il clima di violenza c`€™è chi dovrebbe battersi il petto. Ci dice Edio Costantini: «Qualche volta ci siamo messi dalla parte dei tifosi pur condannandoli, chiamando in causa i tanti cattivi maestri: dai dirigenti che parlano di complotti politico-arbitrali per nascondere le magagne della loro squadra, agli allenatori che si incarogniscono a bordo del campo, davanti alla telecamere, per `€œfare personaggio`€, ai giornalisti che processano per ore e ore l`€™aria fritta, ai giocatori che si picchiano in campo e poi vanno al night tutti insieme fregandosene della miccia accesa nelle curve`€¦».

È possibile fare qualcosa?

Per cambiare un clima così, ci vuole una palingenesi culturale, un cambiamento radicale di cui non si intravedono segnali. Ma non tutti stanno inerti ad attendere l`€™evento. Sul finire della scorsa legislatura, il parlamento ha approvato una legge, la 376/2000, sulla disciplina della tutela sanitaria delle attività  sportive e la lotta al doping. L`€™attuale governo ha approvato un decreto antiultras che inasprisce le misure di polizia. È qualcosa, ma non basta. È l`€™approccio allo sport che deve essere cambiato, partendo dalla base e coinvolgendo tutte le istituzioni interessate, dalla scuola, ai genitori, alle parrocchie`€¦ 
Il Forum delle associazioni delle famiglie organizza ad Arezzo per il 7 giugno un Convegno nazionale su questo tema: «Ridefinire lo sport, ripartendo dalle famiglie», in collaborazione con i vescovi italiani. Lo scorso 18 ottobre il Centro sportivo italiano, un movimento di promozione sportiva di matrice cattolica, ha proposto ad Assisi un «Patto per lo sport», chiamando a raccolta sportivi e non, uniti dalla stessa matrice cristiana.
«Il nostro sforzo `€“ ci dice Edio Costantini `€“ è di ricreare una cultura sportiva, che metta al centro la persona. Lo sport è sempre stato uno strumento per promuovere la persona, per creare relazioni. La competizione va intesa come una sfida con se stessi, per migliorare le proprie prestazioni, fatta assieme agli altri, non contro gli altri, nel rispetto delle capacità  fisiche e tecniche di ciascuno e delle regole, senza ricorrere a trucchi o a violenza. I ragazzi hanno bisogno di incontrarsi, di fare gruppo, di vivere in un ambiente nel quale la pratica sportiva sia un momento importante, ma non tutto. Lo sport deve tornare a essere strumento capace anche di aiutare i ragazzi anche a rispondere alle domande di senso della loro vita. Lo sport è fatto di regole, di appuntamenti, di incontri, allenamento, fatica per conoscere le proprie  possibilità , ma anche i propri limiti, senza ingannare se stessi e gli altri. Questo lo si fa acquisendo anzitutto una cultura sportiva. Ancor prima che educare attraverso lo sport, bisogna oggi educare allo sport.  Famiglia, scuola e parrocchia, insieme alla politica sono chiamate a investire nella cultura sportiva`€¦.».

 

IL NOSTRO PUNTO DI VISTA
Lo sport come gioco che educa alla vita

di  Luciano Bertazzo

Se lo sport riproduce i miti e le logiche della società , per potersi rigenerare dovrebbe attendere che la società  stessa riproponga altri valori. Ma ne deve correre del tempo prima che ciò possa avvenire. Probabilmente è meglio invertire i termini:  cambiamo lo sport per cambiare la società .
Delle tante definizioni dello sport, ci convince quella che lo presenta come occasione di socializzazione, di confronto, di conoscenza dei propri limiti, di educazione alla pace e alla democrazia`€¦ Certo, lo sport è anche scontro, contrapposizione ai più diversi livelli: di generazioni, di sessi, di classi; è anche esaltazione esasperata e irrispettosa della propria corporeità `€¦ Allora è il caso di chiederci quale di questi due aspetti dobbiamo far prevalere nelle attività  sportive in cui sono coinvolti i nostri ragazzi; esse devono servire per farli crescere nella loro individualità  e nel loro essere per l`€™altro, oppure essere usate per devastarli nei tanti modi che il dossier ha illustrato?
Allora bisogna che scuola, famiglia, parrocchie, dopo essersene convinte, insegnino ai ragazzi che lo sport è un momento importante della loro crescita, ma va vissuto come gioco, assieme agli altri per imparare a stare bene con tutti; che non va fatto per diventare campioni ma come confronto con se stessi per scoprire i propri limiti e sapersi regolare poi nel gioco della vita. Perché vincente non è colui che arriva primo, ma chi sa dare il meglio di sé, con entusiasmo e senza inganni; vincente è uno che si è posto degli obiettivi e vuole raggiungerli, ma nel rispetto di se stesso, degli altri e delle regole, per imparare a mettere in gioco la propria vita.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017