L'Italia di Carosello

Quando la pubblicità era una grammatica del consumo vissuto con sobrietà
23 Gennaio 2008 | di

«La pubblicità è il commercio dell’anima» dicevano i più malevoli. E allora, per rispetto dell’anima dei telespettatori che erano ancora una grande famiglia da far crescere e da proteggere, mamma Rai inventò Carosello.

Era un garbato, piccolo varietà fatto di cinque spettacolini di circa due minuti ciascuno, seguìti da un «codino» pubblicitario dove, ebbene sì, si osava reclamizzare un prodotto. E ogni storia, studiata per «portare» al prodotto, doveva stare in piedi per conto suo. Ecco allora la bellissima e svampita Virna Lisi, testimonial del dentifricio Chlorodont, fare comiche gaffes ed essere perdonata perché «con quella bocca può dire ciò che vuole». E l’ispettore Rock (l’attore Cesare Polacco) non sbagliare un colpo nelle indagini ma ammettere: «Anch’io ho commesso un errore: non ho mai usato la brillantina Linetti» mostrando un’abbondante calvizie. Ecco poi Ernesto Calindri e Franco Volpi, ufficiali di cavalleria d’altri tempi, sentenziare sulle novità del giorno a base di «Dura minga, dura no», per concludere in coro: «Fino dai tempi dei garibaldini… china Martini…».

E Calimero pulcino nero piagnucolare perché nessuno lo vuole, finché non trova Ava che lo rende bianchissimo: «Ava, come lava!».

E poi tutti i grandi, da Manfredi a Fabrizi, da Albertazzi a Totò, sino a Gassman, proprio lui, che con Anna Maria Ferrero si degnò di fare la pubblicità dei Baci Perugina.

Durò vent’anni Carosello, da metà anni Cinquanta a metà anni Settanta, e certamente insegnò a molti italiani a lavarsi i denti, a usare un deodorante, a scoprire la comodità della lavatrice e l’utilità del frigorifero. Fu una grammatica del consumo vissuto con sobrietà e non ancora diventato invadente consumismo.



Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017