Lettere al direttore

24 Settembre 2007 | di

Fedeltà e infedeltà: posta in arrivo

L’invito ad aprire un dibattito sulla difficoltà di essere fedeli oggi, lanciato nello scorso numero di luglio-agosto in occasione di un dossier sul tema, è stato accolto da alcuni lettori con interventi e spunti interessanti, anche se a volte discutibili, che mettiamo a vostra disposizione. Ovviamente non possiamo pubblicare per intero le lettere né dare spazio a tutti, ma sarà comunque un’occasione per approfondire, attraverso le esperienze e le risposte che ognuno cerca di darsi, uno dei temi più controversi della modernità e della nostra vita quotidiana. Lasciamo la parola ai lettori.


Per Stefania l’instabilità delle coppie e delle vocazioni ecclesiali dipende anche da un importante fattore, non citato nel nostro dossier: la capacità di perdonare. «Si parla tanto di perdono a sproposito… Si colpevolizza la scappatella, ritenuta la causa principale delle rotture nei matrimoni e nel sacerdozio, mentre un tempo si chiudeva un occhio. Adesso, con l’avvento dell’era tecnologica, tutto deve essere perfetto quasi alla follia. Guardi che attenzione esagerata presta la gente alla confezione, un oggetto che finisce nella pattumiera. La mancanza di disciplina poi genera irresponsabilità: non è mai colpa mia, sempre degli altri che non sono perfetti. E allora si va abitualmente all’oratorio, magari ci si scandalizza per una scollatura, ma poi si tratta male il coniuge e si fa la guerra in casa. Nei percorsi di preparazione al matrimonio o al sacerdozio bisogna insistere sull’importanza del perdono che rende saldi i rapporti».

Anche per Silvio la preparazione è fondamentale per intraprendere un percorso di fedeltà, ma rispetto a Stefania diversi sono gli approdi: «La fedeltà è lealtà incondizionata, che non scende a compromessi e che, con il passare del tempo, diventa sempre più affascinante». Ma per imboccare questo cammino bisogna prima imparare a conoscere la fedeltà e capire come essa porti alla vera felicità. Come un bambino impara a camminare gradualmente «così dovrà essere il rapporto tra due persone. In questo modo si può gustare la vera fedeltà». Il «sì» pronunciato davanti all’altare non è che il suggello di questo percorso, «è una conferma che vale per tutta la vita… Com’è anche per chi si sente chiamato a servire Dio. Per questo la Chiesa stabilisce un periodo di tempo per la formazione e il discernimento prima della professione definitiva… La fedeltà dunque è un impegno perpetuo e, per quanto difficile, porta certamente alla felicità».

L’egoismo, ritiene un altro lettore, Walter, è il vero nemico della fedeltà: «Le promesse di amore eterno si scontrano con un individualismo esasperato. Nel grande supermarket dell’amore sembra quindi normale cercare altrove quello che in un dato momento non si riesce più a trovare nel rapporto di coppia. Conoscersi e conoscere l’altro, in questo caso il partner, non sono cose semplici; cercare, quindi, un altro partner, magari di nascosto, sembra quasi naturale. Purtroppo c’è sempre la mentalità di vedere gli altri come degli oggetti, dei mezzi per soddisfare il proprio egoismo».

La lettera di Franco, 60 anni, sembra più uno sfogo disperato; per lui sono spesso le circostanze della vita a rendere difficilissima la fedeltà. Racconta la sua storia: si è sposato per rimediare a una gravidanza indesiderata «senza vero amore»; da trent’anni frequenta clandestinamente un’altra donna. «La vita diventa un inferno, ma si va avanti così, un po’ per necessità con tanti sensi di colpa… Si tiene il piede in due staffe, e tutto diventa doppio». Poi spiega perché non ha mai lasciato la moglie: «Alla mia età non ho coraggio, che cosa mi aspetta dopo? E poi penso che Dio non lo voglia: sono già in peccato di adulterio. Temo il giudizio di Dio, la dannazione eterna. Credo che l’adulterio sia il male minore anche verso i figli. Non vorrei essere così, vorrei essere un bravo cristiano».

Anche Antonio parla del proprio matrimonio: «Un giorno ho sentito l’attore Raimondo Vianello che diceva di non essere mai riuscito a tradire sua moglie, Sandra Mondani. Io qualche volta, a mo’ di battuta, dico la stessa cosa. Ma mi preoccupo di aggiungere che la fedeltà è una grazia. Infatti solo per grazia sono stato fedele per trentotto anni. Io non ho alcun merito. Perché, come dice Alessandro Meluzzi nel vostro dossier, bisogna avere la capacità di stare in tre, cioè insieme a Cristo».


Chi ha successo viene comunque sempre ammirato

«Caro direttore, mi chiedo e le chiedo: come può succedere che certi personaggi del tipo Fabrizio Corona diventino, proprio a motivo delle loro disavventure giudiziarie, ancora più famosi e più ricchi di quanto già sono? Chi può essere interessato a leggere un libro che racconta il periodo in carcere del suddetto individuo, facendolo guadagnare bene e contribuendo al circolo vizioso di una notorietà immeritata?».

Lettera firmata


Caro signore, viviamo nella società dell’immagine, nella quale l’apparenza è tutto, anche se fortunatamente non per tutti, come nel suo caso. Eroi negativi, venuti dal nulla o anche soltanto dalle cronache mondane dei rotocalchi, diventano un vero e infinito tormentone per tutto lo Stivale, e lucrano a più non posso sullo spicchio di notorietà raggiunta. Oggi, in molti casi, non si è sotto i riflettori perché famosi, ma si rischia di diventare famosi perché per qualche casualità si hanno i riflettori puntati addosso, nel bene e nel male. Il problema è anche un altro. Questi tali, nonostante abbiano ben poco da insegnare, si mettono in cattedra e divengono presto maestri ascoltati e seguiti: passano per dritti, per furbi, per persone di successo. Sì, il successo depone sempre a favore di chi ne beneficia, indipendentemente dal fatto che sia meritato da una buona o da una cattiva fama.

Strana logica, che comunque non porta da nessuna parte, perché sono convinto che un’esemplarità al negativo non faccia bene né ai giovani né a tutti quegli adulti con ritardi di crescita.


Messa col Messale di Pio V. Cosa ne pensa?

«Dal 14 settembre è possibile celebrare la santa Messa usando il Messale di Pio V, naturalmente in latino. Personalmente mi pare che dopo il lungo e tribolato cammino postconciliare, questo sia un passo indietro. Lei che ne pensa?».

Lettera firmata


Non si tratta, come molti credono, di una riabilitazione del latino e nemmeno del ritorno al vecchio rito preconciliare. L’unico rito della Chiesa romana può ora essere celebrato in due forme, di cui quella in vigore dal 1970 è da considerare «ordinaria». Si fa quindi un’evidente concessione al filone tradizionalista.

Le suggerisco, per capire meglio la portata della scelta compiuta da Bendedetto XVI, la lettura del breve scritto del liturgista Manlio Sodi: Il Messale di Pio V. Perché la Messa in latino nel III millennio?, EMP 2007.


Satanismo alla ribalta e dietro le quinte

«Resto spaventata ogni volta che sento parlare in tv di satanismo. Mi si raggela il sangue e mi chiedo come sia possibile arrivare ad adorare Satana, l’antitesi del bene, e quindi vivere una vita all’insegna della malvagità. Mi consola il fatto che si tratta per lo più di poche teste balorde rovinate da una grande ignoranza e soprattutto dalle droghe».

Lettera firmata


Normalmente si sente parlare di satanismo in occasione del ritrovamento di luoghi più o meno diroccati e fuori mano in cui si scoprono tracce anche rudimentali di simboli satanici quali il caprone, la croce rovesciata, il pentacolo (una stella a cinque punte inscritta in un cerchio) e il famoso 666, citato nel libro dell’Apocalisse come numero della Bestia (cf. Ap 13,18). Altre occasioni sono di volta in volta azioni illegali o strani ma efferati delitti che lasciano l’opinione pubblica scossa e sconcertata: ricordo l’uccisione nella notte del 17 gennaio 1998 di Fabio Tollis (16 anni) e di Chiara Marino (19 anni), seguita da quella di Mariangela Pezzotta (27 anni) nel gennaio 2004. Da qui viene avviato il noto processo alle Bestie di Satana che si conclude con la condanna di alcuni adepti della setta.

Lasciando la cronaca, più che nera in questo caso, aggiungo un paio di riflessioni. La prima per contrastare l’idea che si tratti soltanto di gruppi giovanili isolati e sbandati, magari con la mente offuscata dall’uso di droghe pesanti. Questo «satanismo “fai da te”» in effetti esiste, ma non deve far perdere di vista quel satanismo più professionale e ideologico che ha radici anche nei ceti più alti e coinvolge persone adulte e mature. A questo livello la Chiesa viene combattuta come il nemico numero uno, senza esclusione di colpi. La seconda osservazione riguarda il modo superficiale e ammiccante con cui la pubblicità ha arruolato il diavolo in sfarzosi spot televisivi: da bravi consumatori dovremmo assecondare il capriccio e la seduzione, anche perché il testimonial del prodotto è d’eccezione. Praticamente a un paradiso rarefatto e ovattato, non così desiderabile, corrisponde un inferno gradevole e invitante, con molti aspiranti.


Il Messaggero per i non vedenti

È in uscita l’edizione per non vedenti del libro Joseph e Chico. Un gatto racconta la vita di Papa Benedetto XVI di Jeanne Perego. L’audiolibro conterrà anche le illustrazioni di Donata Dal Molin Casagrande, commentate in voce. Costo euro 5.

Per conoscere tutte le iniziative per i non vedenti realizzate dal «Messaggero di sant’Antonio» consultate l’apposita area nel portale www.santantonio.org. E-mail: abbonamenti@santantonio.org

numero verde 800 019591 (lunedì-venerdì dalle 8.30 alle 12.30 e dalle 13.30 alle 18.30; sabato dalle 8.30 alle12.30).




LETTERA DEL MESE


Funerali in chiesa


Welby e Pavarotti. Due pesi e due misure?


Si è detto: il funerale religioso a Pavarotti e non a Welby.

Ma si tratta di due casi diversi: dove sta la differenza?


«Caro padre, avevo già scritto a proposito del povero signor Welby, e ora mi sento in dovere, con molto dolore, di tornare sull’argomento. Pochi giorni fa è deceduto un signore che viveva pubblicamente nel peccato. Non era inchiodato a un letto di dolore, anzi, era ricco, famoso in tutto il mondo e felice. Ma non risulta che, fino all’ultimo, abbia rinunciato a quella che per la Chiesa era la sua concubina, essendo viva la sua legittima moglie, che egli aveva pubblicamente abbandonato con un divorzio. Ma a lui le gerarchie ecclesiastiche hanno riservato uno sfarzoso funerale religioso nella sua città di origine.

Io sono molto coerente nella mia vita, e dei miei errori mi pento amaramente. Perciò ora esigo di sapere cosa c’era di diverso. Forse che il signor Pavarotti era troppo famoso? Certo Welby non avrà potuto fare molta beneficenza… O forse che all’ultimo minuto si è pentito? E chi può dire, di noi mortali, cosa passa nel cuore di un uomo all’ultimo minuto?

Dice Gesù: “Se il tuo occhio ti dà scandalo strappalo, se la tua mano ti dà scandalo tagliala…”. Ma se sono le gerarchie ecclesiastiche a scandalizzarmi, cosa devo fare? Di una cosa sono certa: se Dio ragionasse come questa povera Chiesa, lo troverei troppo inaffidabile. La prego, mi risponda sul giornale; mostri di non avere timore delle mie domande, così potrò recuperare un po’ di fiducia. O sono l’unica a cercare coerenza e questi problemi non interessano a nessuno? Attendo con ansia una sua risposta».

Gabriella Leibanti



Gentile abbonata, nella sua lettera esprime giudizi con grande convinzione ma anche con durezza e asprezza di termini che personalmente non condivido: sono passati i tempi in cui si indicavano a dito le concubine ed è meglio che non ritornino più, mi creda. Anche il solo termine è irritante. Quando poi mette sulla bilancia due situazioni come quelle del signor Welby e di Pavarotti, mi è ancora una volta difficile condividere la sua logica, anche se in verità non è l’unica persona che io abbia sentito fare questo accostamento: manica larga per il celebre cantante lirico, con tanto di Duomo di Parma spalancato e show mediatico annesso, mentre per il signor Welby un rifiuto deciso e convinto.

Innanzitutto non credo che il Vescovo o la Chiesa di Parma abbiano guadagnato qualcosa nella complessa gestione del funerale celebrato l’8 settembre e trasmesso dalla Rai. Non si è trattato dunque di tornaconto, e il suo riferimento alla mancata beneficenza di Welby è del tutto gratuito. In quei giorni, piuttosto, l’Italia intera si è inchinata di fronte a uno dei suoi figli più famosi, ammirato in tutto il mondo, per il quale ci si è raccolti in preghiera.

Non voglio assolutamente giocare con le parole, ma il funerale religioso più che al signor Welby è stato negato all’ingordigia mediatica e all’ideologia di parte che aveva identificato l’esito della sua vicenda personale, di malattia e grande sofferenza, con il successo o meno della causa a favore dell’eutanasia. Benedire tale posizione estrema sarebbe stato causa di fraintendimento per molti, ha ribadito anche dopo qualche tempo il cardinal Ruini, aggiungendo che si è trattato di una decisione sofferta. Molti cristiani, anche preti, hanno comunque pregato o celebrato messa per accompagnare quel calvario che tutti abbiamo seguito con partecipazione nei quotidiani appuntamenti mediatici. A quel capezzale, però, veniva sempre ideologicamente collegata una richiesta di eutanasia da esaudire.

La Chiesa non può e non vuole sostituirsi a Dio, di fronte al quale ogni uomo ha dignità infinita e quindi merita infinito rispetto, ma ha il compito di comprendere e di far comprendere ai suoi fedeli (è a questi che si rivolge, prima di tutto) quando determinate azioni sono non soltanto debolezze della natura umana, ma vogliono essere affermazioni dirette o indirette di principi non in sintonia con la dottrina della fede e contro la stessa dignità dell’uomo.


Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017