Lettere al direttore

Il ricordo di Giovanni Paolo I è ancora vivo nel cuore della gente. Una nuova ristampa del libro più noto di papa Luciani porta a 216 mila le copie sinora stampate.
20 Febbraio 2006 | di

LETTERA DEL MESE

«Illustrissimi»: lettere che sembrano scritte ieri

«Un amico, Alfonso Scattolin, cieco, mi ha incaricato di scriverle per segnalare che nel mese di gennaio di quest'anno sono trascorsi trent'anni dalla pubblicazione del libro Illustrissimi, di Giovanni Paolo I. Il libro raccoglie le lettere che il Patriarca di Venezia scriveva sul Messaggero di sant'Antonio a personaggi del passato. Scattolin contribuisce da tempo a farle conoscere in alcune radio private, leggendole con i polpastrelli delle dita secondo il metodo di Luigi Braille. Come mai avete dimenticato questo santo Pontefice e le sue deliziose e attualissime lettere? Perché non le pubblicate, mese dopo mese, sulla vostra rivista? Anche voi ritenete insignificanti i trentatré giorni del pontificato di Giovanni Paolo I?».
Marcello Cossetti, Rio San Martino di Scorzé (VE)

Inseriti dal destino tra il pontificato di Paolo VI, non lunghissimo, ma denso di fermenti e di eventi (pensi solo al concilio Vaticano II) e quello da record di Giovani Paolo II, era inevitabile che i trentatré giorni da Papa di Albino Luciani - meno di un battito di ciglia nel quadro complessivo della storia della Chiesa - finissero un po' nell'ombra. Trentatré giorni sono tanti o pochi per un pontificato? Né tanti né pochi, ma quelli stabiliti dalla Provvidenza e che lui, Giovanni Paolo I, come i bravi servi della parabola, ha messo a frutto offrendoci gesti e momenti ricchi di umanità  e di significati spirituali, di promesse purtroppo irrealizzate a causa di quella sua morte tanto inattesa quanto prematura. Pensi ai bambini che egli voleva attorno a sé nelle udienze del mercoledì, ai quali spiegava il catechismo con la pazienza e la semplicità  di un parroco di campagna; al suo sorriso fragile e timido; a quel suo chiamare Dio padre e «madre» che sorprese non pochi. Gesti che hanno messo in luce tutto il suo spessore di uomo credente.
Papa Luciani fu un prete, poi un vescovo e successivamente un cardinale di grande fede e di vasta cultura, non solo teologica. Tant'è vero che il suo libro più noto e più letto non è un trattato di teologia o di spiritualità , ma appunto la raccolta di quelle quaranta lettere di fantasia, che egli, allora Patriarca di Venezia, ha idealmente inviato ogni mese (dal 1971 al 1975) dalle pagine del «Messaggero di sant'Antonio» a «illustrissimi» personaggi del passato. Erano in gran parte scrittori, letterati, uomini di mondo, con i quali dialogava (con una prosa agile, giornalistica, inaspettatamente spiritosa e di tono popolare) della vita del loro tempo e del nostro, mostrando grande conoscenza della letteratura, di quella britannica in particolare, della storia e dell'animo umano. Ovviamente, lo scopo era di trarre lezioni di vita per sé e per i lettori, avendo come riferimento la Parola di Dio.
Pagine splendide, attualissime, come lei stesso osserva, piene di personaggi, di aneddoti, di saggezza umana e spirituale, lontanissime dalle tradizionali e mal sopportate «prediche». Se poi quegli scritti non vengono riproposti sulla rivista, non è perché siano stati dimenticati. Infatti, proprio in questi giorni è uscita (come accade periodicamente), una nuova edizione (tiratura 1000 copie) di Illustrissimi , un altro (e non sarà  l'ultimo) capitolo nella storia di questa pubblicazione, che è uno dei fiori all'occhiello della nostra Editrice. Si tratta di una storia iniziata nel 1975 con 8 mila copie, subito «bruciate», seguite da 4 mila l'anno successivo e così via in un crescendo che ha avuto il suo apice nel 1978, anno dell'elezione di Luciani a Sommo Pontefice, quando la tiratura dell'ennesima ristampa ha raggiunto le 150 mila copie, per complessive 207 mila copie in soli tre anni. Ad esse vanno aggiunte le altre 9 mila ristampate dal 1996 a oggi. Possiamo forse parlare di Giovanni Paolo I come di un Papa un po' in ombra, dietro le quinte del palcoscenico mediatico, ma certamente ancora molto presente nel cuore della gente. Che è quello che conta!

 

LETTERE AL DIRETTORE

Nostro figlio convive: un dramma per noi

«Nostro figlio Andrea, ventidue anni, è andato a convivere con la fidanzata. Non le dico il dispiacere che ci ha dato con questa sua scelta, contraria a quanto la Chiesa ci ha sempre insegnato. Il nostro è un piccolo paese, la gente sa tutto e ci vergogniamo un po'. Noi pensavamo di averlo educato bene, di avergli anche dato l'esempio di un matrimonio tutto sommato felice, ma lui dice che ormai tanti fanno così: si prova, e, se non si riesce a stare bene insieme, ci si lascia, meglio prima che dopo il matrimonio. Non sappiamo che cosa dire e che cosa fare. Ma perché sono venute di moda queste cose?».
Antonia e Carlo

Invece di partire dai princìpi della Chiesa, che presumo siano ben conosciuti, cerco di utilizzare quel tanto di vita vissuta che traspare dalla vostra lettera, perché non credo che si possa fare di ogni convivenza un fascio e che ogni figlio, e ogni famiglia, debba trovare in questi frangenti la propria strada, che pur sale allo stesso monte santo di Dio.
«Lui dice che ormai tanti fanno così». Ma voi sapete bene quanto questa non sia una buona ragione. Perciò la sofferenza che ne ricavate non riguarda solo la convivenza in sé, ma il fatto che la vita non ha portato il vostro ragazzo a farsi idee in proprio, rendendolo una pecora del gregge, disposto cioè a imitare acriticamente quello che fanno gli altri. Se le cose stanno così non dovete mancare di apprezzare quei suoi comportamenti che vi dicono che non è disposto a fare quello che fanno gli altri. E questo non per rinfacciargli il suo agire, ma per fargli ritrovare il gusto di pensare con la propria testa. Se, in qualche occasione, non si adeguerà  all'andazzo comune, gli direte con gioia: «Ah che bello! Ci avevi veramente preoccupato quando hai giustificato la convivenza con la misera scusa che ormai tanti fanno così. A noi un figlio che imita gli altri proprio non piace».
«Si prova, e, se non si riesce a stare bene insieme, ci si lascia»: in questa sua frase, che appare a prima vista dichiaratamente disfattista, forse si nasconde qualcosa di più. Vostro figlio sembra avere in mente, come modello ideale, anche se per ora ritenuto impraticabile, un amore serio che dura per tutta la vita. Se è così, congratulatevi con lui. Ha capito molto. Con calma avrete allora anche occasione di dirgli che la convivenza non permette di sperimentare in anticipo nessun vero legame matrimoniale. Fare la spesa in comune, ad esempio, o fare sesso o condividere il tempo libero, assumono nella convivenza una connotazione diversa che nel matrimonio sacramento.
Altrimenti non si capirebbe perché molte coppie che hanno convissuto, presentano poi nel matrimonio le stesse difficoltà  di quelle che non hanno convissuto; anche la sperimentazione sessuale da conviventi non è in grado di esprimere tutto ciò che accade nel matrimonio, realtà  che viene assunta nella fede come segno dell'amore fedele e irrevocabile di Dio. A vostro figlio direte, comunque, che quando sarà  maturo per l'avventura del matrimonio e la intraprenderà , voi sarete contenti per e con lui.
E fino ad allora? Se lui e la ragazza si mantengono da soli (e non fanno i finti adulti indipendenti, mantenuti da voi!), sosteneteli con la vostra presenza e dite loro che voi pregate perché possano riflettere sempre meglio sul loro Amore. Affinché non lo vivano come tanti lo vivono!


Ma perché tanti giovani si suicidano?

«Caro padre direttore, sono rimasta sconvolta dalla notizia di un quindicenne che si è buttato sotto il treno dopo una lite con la fidanzata che l'aveva lasciato. Ultimamente le cronache hanno dovuto spesso occuparsi di giovanissimi, anche bravi e seri, che a un certo punto hanno deciso di farla finita. Una scelta atroce che lascia, soprattutto noi genitori che abbiamo figli di quell'età , nello sconforto totale e nella paura.
«Il pensiero che ci tormenta è questo: in che cosa può aver sbagliato un genitore perché un figlio decida di uccidersi? C'è qualche segno che possa farci capire che qualcosa non va? A chi dobbiamo rivolgerci nel caso notassimo questo qualcosa? Ma dobbiamo prenderci solo noi genitori le responsabilità ? Preghi tanto il Santo per noi e per i nostri due figli».

Carolina S.
 
Signora Carolina, prima di rispondere al suo quesito, mi permetta di farle presente che nel suo scritto lei mostra una grande sofferenza, una marcata sensibilità  che la porta a preoccuparsi anche per cose che travalicano di molto il quotidiano, arrivando perfino a vivere come presenti preoccupazioni che sembrano del tutto ipotetiche. Inoltre, sembra pensare che se un figlio s'infila per strade sbagliate che lo fanno soffrire, questo sia sempre e comunque colpa della madre o dei genitori.
Un suo primo passo potrebbe configurarsi allora nel modo seguente: si preoccupi sanamente per se stessa, chieda eventualmente aiuto a suo marito e cerchi di valutare con lui se questa sua sensibilità  non sia eccessiva. Proprio per migliorare su questo punto, cara signora, la invito a riscoprire il fatto che i figli sono anche figli Suoi (di Dio) e quando Lui glieli ha affidati, sapeva bene che i genitori non sono perfetti e soprattutto non sono così onnipotenti da poter evitare ai figli qualsiasi danno.
Venendo al contenuto della sua lettera, c'è da dire che il tema del suicidio, inteso come patologia psicologica, è così vasto da non poter essere utilmente trattato in questa sede. Indicativamente, è bene sapere che non si deve credere ai giornali quando scrivono che il suicida era un ragazzo che non mostrava problemi; il suicidio spesso avviene su basi gravemente depressive e ossessive. Nella quotidiana normalità  ai genitori non resta che credere nella Vita: i figli si ammalano, ma sono tanto forti da guarire, soffrono, ma sono così coraggiosi da superare i momenti di sconforto.
Un'unica cosa mi sento di dire sul caso che lei ci presenta: un ragazzo di quindici anni la cui ragazzina viene chiamata fidanzata (con eccessiva precocità ), è un ragazzo buttato in braccio a una relazione più grande di lui. Mi spiego: un ragazzo può prendersi una cotta per una ragazzina, perché è normale. Tocca a chi gli sta vicino aiutarlo a dare alla cosa il giusto peso e a capire come va gestita questa relazione, cioè con serenità  e con la consapevolezza che è sì un momento importante nella vita di un adolescente che sta crescendo, ma quasi mai definitivo: una rottura è da mettere in conto e non va vissuta in modo drammatico. È anche vero, d'altra parte, che la difficoltà  di chi oggi è formatore, consiste proprio nell'educare i giovani ad accettare il limite e il fallimento.


Le targhe alterne: provvedimento del tutto inutile?

Caro direttore, il provvedimento delle targhe alterne o di giorni di traffico zero, a mio parere, porta soltanto disagi, in quanto i vantaggi saranno con buona approssimazione del tutto marginali. Inoltre i post combustori catalitici, quando impiegati in ambiente urbano, funzionano solo parzialmente poiché i sistemi catalitici non raggiungono quasi mai la temperatura ottimale di esercizio. Infine, la nuova riformulazione delle benzine senza piombo ha portato a un incremento delle frazioni aromatiche con un aumento del benzene nell'aria. Il problema non è grave ma è drammatico, perché a risolverlo sono preposti i politici e i tecnici a loro collegati; l'unica via d'uscita è paradossalmente la stampa, a condizione che agisca in modo educativo nei confronti dei lettori esponendo le cose in modo ponderato e il più possibile rispondente alla realtà .
Federico Milani

Il suo parere è, a mio avviso, solo in parte condivisibile. Sono d'accordo sul fatto che i vantaggi ottenuti con i blocchi del traffico sono marginali e non risolutivi. Al termine di ogni provvedimento-tampone si riscontra un temporaneo miglioramento della situazione. Ma poi, se non interviene un decisivo mutamento delle condizioni meteorologiche, tutto torna come prima. È come medicare una ferita che non si rimargina.
Sono d'accordo anche sul fatto che il problema può essere anche drammatico per molti cittadini, basti pensare agli anziani, ai cardiopatici e ai bambini. Ma è difficile immaginare che le soluzioni non debbano essere politiche. È verissimo che la stampa deve informare i cittadini, spiegando i problemi e le vie realizzabili e più virtuose per risolverli, tuttavia questo non basta. Molte persone continuano a non essere informate o dimostrano una scarsa sensibilità  all'ambiente e alla salute, preferendo certi status symbol (ad esempio i veicoli suv, cioè i fuoristrada da città ). Gli amministratori delle città , dunque, opportunamente assistiti da tecnici competenti, hanno il compito di prendere i necessari provvedimenti.
Quali? Va ricordato che l'inquinamento non deriva solo dagli autoveicoli, ma dalla combustione dei fossili (soprattutto petrolio, carbone e gas) per la produzione di energia elettrica, per la produzione industriale e per riscaldare gli edifici, e allora suggeriamo (oltre ai pannicelli caldi) il risparmio energetico (in ogni caso virtuoso), il ricorso a fonti alternative (compreso l'idrogeno) e, dove possibile, al trasporto su rotaia. In prospettiva, occorre poi dedicare ogni sforzo in direzione della ricerca e della progettazione di città  più vivibili. Non sono solo parole, ma, ritengo, progetti ad alto rendimento.


Un voto può anche essere commutato

«Vorrei un consiglio su un voto fatto da mia nonna. Sei mesi fa mia madre ha scoperto di avere un meningioma alla testa. La posizione del tumore era talmente particolare che per rimuoverlo sarebbero state necessarie parecchie ore e il buon risultato non era garantito. Mia nonna, allora, per la buona riuscita dell'intervento, ha fatto voto a sant'Antonio di indossare per un anno intero il saio francescano per testimoniare così il miracolo avvenuto. L'intervento è riuscito e senza le temute conseguenze negative. Mia nonna, però, anziana e malata, non può uscire di casa, quindi non può adempiere pienamente a quel voto. Vi chiedo, pertanto, se è possibile cambiarlo e con che cosa».
Mara B. Carovigno - BR

Nei momenti oscuri della vita, quando è in gioco la salute propria o quella dei propri cari, ci si aggrappa a tutto. Il voto, cioè la promessa fatta a Dio di offrirgli qualcosa in cambio della guarigione o di altro, è una pratica religiosa cui sovente i devoti, in casi difficili, fanno ricorso. Non da oggi. Infatti, il voto (parola derivata dal latino voveo , «prometto» o «consacro») si riscontra in tutte le religioni; è attestato sia nell'Antico Testamento (Gn 28,20; Nm 21,1; Sal 61,9; 2 Mac 3,35) che nel Nuovo Testamento (At 18,18; 21,23-24).
Per il Codice di diritto canonico il voto è «la promessa deliberata e libera di un bene possibile e migliore fatta a Dio» che «deve essere adempiuto per la virtù della religione» (can. 1191, par. 1). È quindi un atto di devozione con il quale il cristiano offre se stesso a Dio o gli promette un'opera buona. Mantenendo il voto, egli rende a Dio ciò che gli è stato promesso e consacrato.
Il voto cessa quando è trascorso il tempo fissato per il compimento dell'obbligo; quando cambia sostanzialmente la materia della promessa, quando viene meno la condizione da cui esso dipende, con la dispensa e con la commutazione.
Come vede, c'è una via di uscita anche per il voto di sua nonna, la quale può chiedere al proprio confessore o al parroco di essere dispensata dall'obbligo di indossare il saio (gesto tanto pittoresco quanto inattuabile nella sua situazione) e di ricorrere in forma sostitutiva a espressioni religiose non solo più confacenti all'età , ma forse più gradite al Signore, come la preghiera o l'impegno in alcune opere di carità .
Così facendo sua nonna potrà  mantenere fede, per altra via, al suo voto così pronto e fervoroso.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017