Lettere al direttore

Quando leggiamo direttamente la Bibbia, avvertiamo la necessità di capire meglio alcuni fondamenti della fede appresi frequentando il catechismo.
20 Dicembre 2005 | di

LETTERA DEL MESE

La Chiesa ha cambiato i comandamenti di Dio?

«Il 15 agosto 2005 sono stato con mia moglie in un paesino di montagna. Il parroco ha tenuto un discorso nel quale ha richiamato all'osservanza dei comandamenti di Dio, in particolare il terzo: Ricordati di santificare le feste. Che delusione quando ho scoperto che quel comandamento non esiste (legga nella Bibbia in Esodo 20). Mi domando: perché e con quale autorità  la Chiesa ha cambiato i comandamenti di Dio? Perché ha tolto il secondo comandamento e diviso in due il decimo?» .
Lettera firmata

Quando apriamo e leggiamo la Bibbia, e lo facciamo magari senza particolari mediazioni, ad esempio senza dei commentari che ci spiegano in anticipo quello che stiamo leggendo, prevenendo ma anche anestetizzando le nostre domande, possiamo fare delle scoperte molto interessanti, a volte spiazzanti. Nel caso dei comandamenti, ci si accorge, fin da subito, che la versione che molti di noi hanno imparato a memoria frequentando il catechismo in parrocchia, non corrisponde precisamente a quanto afferma la Scrittura. La sorpresa aumenta quando si scopre che lo stesso testo esiste in due versioni, collocate tra l'altro in due libri differenti della Bibbia: Esodo cap. 20 e Deuteronomio cap. 5, e che non mancano differenze anche molto significative tra i due brani. C'è da aggiungere che l'espressione «dieci comandamenti» non si trova da nessuna parte nella Scrittura, e che il testo ebraico si limita a parlare di «dieci parole» (nel senso di dieci enunciati, frasi complete).
Un'ulteriore questione riguarda la disposizione di queste parole, non sempre identica nelle diverse comunità  di fede. Mentre, infatti, il Talmud ha come primo comandamento «Io sono il Signore, tuo Dio», e pone come secondo il divieto di fare immagini, Clemente di Alessandria e Agostino tralasciano il divieto di fare immagini e dividono in due il divieto del desiderio: «la moglie e la casa del tuo prossimo» nel libro dell'Esodo, «la donna e la roba d'altri» nella formula catechistica. Questa sequenza è ripresa in tutti i catechismi cattolici fin dal XVI secolo, e viene seguita anche dai luterani. In sintonia con i Padri greci, la Chiesa ortodossa, i calvinisti e gli anglicani pongono il divieto di fare immagini come secondo comandamento, e uniscono, invece, il doppio divieto del desiderio nel decimo.
Si tratta forse di tradimento oppure di deformazione della parola di Dio ad opera della Chiesa? Di per sé alcune vistose variazioni sono già  presenti nelle due diverse presentazioni dei comandamenti nell'Antico Testamento, mentre il Nuovo non ne riporta mai una lista completa (Mt 19,18-19 e Mc 10,19), e neppure esiste nella tradizione della Chiesa un elenco dei comandamenti considerato intangibile. Bisogna insistere, invece, sull'unitarietà  dei comandamenti, unificati da Gesù intorno al duplice e unico comandamento della carità : verso Dio e verso il prossimo (Mt 22, 37-40).
Infine, non si può affermare che il terzo comandamento come codificato dai cristiani, cioè «ricordati di santificare le feste» invece di «osserva il giorno di sabato per santificarlo», sia un travisamento del testo originale: sabato, shabbat significa cessazione o anche riposo, tra l'altro diversamente motivato da Esodo 20 e Deuteronomio 5; il passaggio «dal giorno di sabato» al «giorno del Signore» è motivato dalla lettura cristologica, ed è stato compiuto dalla Chiesa in fedeltà  al Cristo risorto che raduna i suoi discepoli nel giorno domenicale (della risurrezione) per celebrare il dono e confermare l'impegno della vita nuova in Lui. Illuminanti, a proposito, i nn. 2174-2176 del Catechismo della chiesa cattolica .

 

LETTERE AL DIRETTORE

Se la badante è testimone di Geova

«Ho assunto una badante per mia madre. Mi è sembrata una persona per bene. Per questo sono andata sulla fiducia e non ho chiesto informazioni. Ma lei, appena entrata in casa, mi ha detto che frequentava i Testimoni di Geova. Sono rimasta un po' perplessa e mi sono raccomandata che non importunasse la mamma. Lei ha promesso. Cosa ne pensate? La situazione mi preoccupa, ma la signora è dolce e corretta e la mamma con lei si trova bene. Non me la sento di licenziarla. Sarebbe un atteggiamento cristiano licenziare una persona perché la pensa diversamente? Faccio bene?».
Lettera firmata

Guai se dovessimo licenziare o evitare tutti coloro che non la pensano come noi: rimarremmo soli al mondo! La verità  è che non siamo soli ed è inevitabile, quindi, confrontarci, e a volte anche scontrarci, con le idee e le opinioni degli altri. Questo, in fondo, è il significato del pluralismo, croce e delizia dei nostri giorni. In un mondo che, piaccia o no, è ormai globalizzato, il pluralismo culturale, ma anche religioso, è un problema con il quale tutti prima o poi siamo chiamati a fare i conti. Stavolta è toccato a lei, nel momento in cui ha scoperto che la badante di sua madre è una testimone di Geova e, quindi, si è chiesta cosa fare, come comportarsi. Il mio parere, cara signora, è che se la badante è persona «dolce e corretta», come scrive, e sua madre si trova bene con lei, non c'è di che preoccuparsi.
Se, però, in futuro dovesse notare in sua madre qualche segno di ansia o, peggio, di smarrimento, ne parli subito: prima con sua madre, poi con la badante e infine, se lo crede, anche con me attraverso questa rubrica.
Non è sempre facile vivere in un mondo pluralista. Da una parte, infatti, il pluralismo ci stimola a essere responsabili, ma, dall'altra, ci pone continuamente di fronte a problemi nuovi. Il che, se vogliamo, è anche bello, poiché è come il sale della vita. Ciò che importa è non capovolgere il pluralismo in relativismo, giungendo a riconoscere buona o cattiva una cosa a seconda del tempo, delle circostanze o del proprio tornaconto. Il pluralismo è senz'altro un dato storico e culturale rilevante. Guai, però, se di fronte ai problemi che esso ci pone rinunciassimo a cercare la verità  e a chiederci se quello che facciamo è bene oppure male, espressione di amore oppure segno di indifferenza e di chiusura egoistica.


Cattolici, piccolo gregge non rassegnato

«Abito in un popoloso quartiere milanese e, le confesso, quando la domenica vado in chiesa, ne esco sempre con il cuore gonfio di amarezza nel vedere quanto pochi siamo a celebrare con il sacerdote la liturgia. Se poi ascolto in giro certe prese di posizione di politici, o di altri, nei confronti della Chiesa e della religione, mi viene da chiedermi se l'Italia è ancora un Paese cattolico. Certo, nel nostro Paese tante cose sono cambiate, sono venuti tanti da fuori, con idee e religioni diverse, che sono andati ad aggiungersi a quanti già  erano ostili alla Chiesa. Ma adesso, qual è il nostro ruolo di cattolici? Di fronte a questa situazione che dobbiamo fare? Stare a guardare passivamente, difendere con i denti, con cattiveria, le nostre posizioni, o che altro? Attendo una risposta ».
Lettera firmata

Credo siano tanti i cattolici a sentirsi confusi e smarriti di fronte a questi vistosi «vuoti». Soprattutto i più anziani, abituati una volta a infilarsi in chiesa per tempo per trovare un posto nei banchi. Certo, anche allora non era tutto oro zecchino, perché al numero dei credenti non sempre corrispondeva la qualità  della testimonianza. Ma le chiese piene, segno di una realtà  da tutti - o quasi - condivisa, erano anche un fatto rassicurante che toglieva l'imbarazzo del confronto e la fatica della ricerca. C'erano anche altre presenze, ma si trattava di minoranze sparute e innocue.
Oggi molte cose sono cambiate, e già  da prima che altre religioni - con le quali il confronto è inevitabile - venissero a mescolare le carte. Da quando, cioè, la società  dei consumi ha appiattito i nostri bisogni su orizzonti troppo materiali, mentre l'illusione di onnipotenza, indotta dai travolgenti (quanto controversi) successi della scienza, affievoliva o smorzava il bisogno di Dio. Per non dire di un certo relativismo spinto all'eccesso, che negando assolutezza a principi e valori affidava la valutazione etica dei comportamenti alle necessità  e ai bisogni del tempo e del luogo.
Insomma, l'uomo ha pensato di cavarsela bene anche senza Dio, concedendo tutt'al più alla religione il valore di fatto privato, di sentimento da vivere senza mediazione alcuna. Così nelle chiese hanno cominciato ad apparire più vistosi quei vuoti che suscitano perplessità  e sollevano interrogativi.
Alcuni sondaggi darebbero il fenomeno in lieve inversione di tendenza, ma questo non basta a correggere la percezione che vede i cristiani ormai ridotti a «piccolo gregge». L'essere in pochi di per sé non è un male, se non conduce alla rassegnazione, se si ha la consapevolezza di essere come il lievito che deve fermentare la massa, come il piccolo seme di senapa destinato a diventare albero maestoso. Gesù, molto concretamente, ci invita a essere «sale della terra» e «luce del mondo»: sale per insaporire di valori evangelici un mondo scipito dall'indifferenza e dalla povertà  di ideali; luce per illuminare la storia con vita esemplare e trascinante testimonianza.
Che fare? ci chiede. Senz'altro proclamare, e con convinzione, i valori della fede cristiana, accompagnando l'annuncio con la testimonianza della vita. Oggi più che mai c'è bisogno di maestri che siano anche testimoni. Il cristianesimo ha grandi «parole» da dire all'uomo, ma ha bisogno soprattutto di grandi uomini per dire queste «parole». Non è questione di numero, lo ripetiamo, bensì di qualità . Il problema non sono i «pochi cristiani» ma i «poco cristiani».


Bambini iperattivi e farmaci

«Nel numero di settembre 2005 del Messaggero, accanto all'articolo Soluzioni in pillole, ho letto un trafiletto in cui si parlava del Ritalin, l'anfetamina prescritta a bimbi che soffrono di disturbi dell'attenzione. Ho apprezzato che vi siate occupati di questo problema, ma secondo me c'è un'imprecisione: nel testo si legge che in Italia è stata bloccata la prescrizione di metilfenidato; a me risulta il contrario. Ho fatto ricerche su internet e vedo che vengono già  effettuati degli screening...».
Franco Ambrosi

Ha ragione lei, in effetti lo psicofarmaco per i bambini che soffrirebbero di disturbi di attenzione e iperattività , pur non essendo prescrivibile dai pediatri di base, può essere prescritto dai centri d'eccellenza. È vero anche che è in corso un'indagine su campione nelle scuole per individuare i bambini che hanno questi disturbi ed eventualmente «trattarli». L'introduzione del metilfenidato, la metanfetamina alla base del farmaco che cura questa sindrome (ma ce ne sono anche altri), sta suscitando molte polemiche.
Per alcuni è la cura che mancava per far fronte a una malattia dolorosa per le famiglie e gli individui, causa di emarginazione e disagio sociale; molti altri guardano invece con sospetto all'introduzione di un farmaco (vecchissimo e a suo tempo ritirato dal commercio) per curare un disturbo del comportamento infantile di difficile e dubbia diagnosi. Pesa probabilmente l'abuso che se ne è fatto in America e le molte denunce sui gravi effetti collaterali. A nostro avviso, il vero nodo della questione non è un sì o un no preconcetto al farmaco - anche se la somministrazione di psicofarmaci ai bambini merita particolare attenzione - quanto l'atteggiamento che oggi la nostra società  ha nell'affrontare i problemi, soprattutto quelli di relazione e comportamento. Il farmaco, che pure non va demonizzato, in molti casi è visto come la soluzione più semplice e a portata di mano.
È la visione riduttiva di chi considera la malattia o anche il semplice disagio solo come disfunzione di un meccanismo e non come effetto incrociato di una molteplicità  di fattori fisici, psicologici, ambientali, relazionali, sociali. L'ascolto, la pazienza, la disponibilità  a mettersi in gioco sono ingredienti fondamentali, specie quando si tratta di bambini e ragazzi. Costa tanta fatica, come tutte le cose che contano.


Inquieta la pena di morte

«Vorrei un vostro parere su questo fatto. Negli Usa un altro condannato a morte è stato giustiziato. La pena di morte mi ha sempre angustiato. Io penso che lo Stato abbia centomila altri modi per punire chi ha commesso reati e per difendersi. Anche se di fronte a certi delitti orrendi, mi verrebbe la voglia di dire che sì, meglio togliere certa gente dalla faccia della terra. Che ne pensa? Ma è poi vero, come ho letto da qualche parte, che anche nello Stato Vaticano fino a qualche tempo fa vigeva la pena di morte?» .
Sandro C. - Arezzo

Nel mondo sale il numero di coloro che sono contrari alla pena di morte, intesa anche solo come strumento di «legittima difesa», perché convinti che una moderna società  ha tutti i mezzi necessari per reprimere efficacemente il crimine e per rendere inoffensivo chi l'ha commesso, senza privarlo della vita e con essa della possibilità  di redimersi. Di recente, ha appassionato l'opinione pubblica la vicenda di Stanley «Tookie» Williams. Condannato a morte ventiquattro anni fa, egli si è sempre dichiarato innocente e in carcere ha comunque trovato il modo di dare un nuovo senso alla sua vita scrivendo molti libri, dedicati ai giovani, per i quali è stato candidato al Premio Nobel. Proprio per questo in tutto il mondo si erano moltiplicati gli appelli al governatore della California, Arnold Schwarzenegger, perché gli concedesse la grazia. Appelli inascoltati: la mattina del 13 dicembre un'iniezione letale poneva fine alla vita di «Tookie». Naturalmente le reazioni di protesta sono state innumerevoli, segno chiaro della crescente avversione dell'opinione pubblica alla pena capitale, sia per motivi religiosi che umanitari.
E la Chiesa? Dopo l'uccisione di Williams per il Vaticano ha parlato il cardinale Martino, presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e pace, dicendo che «la vita umana deve essere sempre difesa, anche se la persona che deve essere condannata ha ucciso a sua volta». Bisogna però sapere che l'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude la pena di morte quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani; ma se la società  dispone di «mezzi incruenti» per raggiungere lo stesso scopo, «l'autorità  si limiterà  a questi mezzi perché sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune» e sono «più conformi alla dignità  della persona umana» (cfr Catechismo della Chiesa cattolica n. 2267). Nel Compendio del Catechismo, promulgato il 28 giugno 2005, si aggiunge un ulteriore elemento restrittivo, seguendo il magistero di Giovanni Paolo II: «I casi di assoluta necessità  di pena di morte sono ormai molto rari se non addirittura inesistenti (n. 469, che cita l'Enciclica Evangelium vitae del 1995).
Nello Stato Vaticano è stata praticata la pena di morte? ci chiede. Quando il potere temporale dei Papi si esprimeva nello Stato Pontificio, era ammessa la pena di morte tramite impiccagione, e fino al XIX secolo, sotto il papato di Pio IX, qualche Papa vi ha fatto ricorso. Non certo in tempi recenti. Solo recentemente, invece, vale a dire con la revisione entrata in vigore il 22 febbraio 2001, il Vaticano ha cancellato la pena di morte dal testo della Legge Fondamentale (equivalente alla nostra Costituzione) che risaliva al 1929, data di nascita del moderno Stato del Vaticano. Ma già  la pena di morte era stata abolita nel 1969 da papa Paolo VI, mentre è con Giovanni Paolo II e la sua Enciclica Evangelium vitae (1995) che si volta pagina.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017