Lettere al direttore

Tra cristiani vivi e defunti, tutti raccolti nella famiglia di Dio, intercorre una comunione salda, non visibile ma non per questo meno vera, garantita da Gesù e fondata sul mistero dell'amore di Dio.
19 Ottobre 2005 | di

LETTERA DEL MESE

Ha presente quei piccoli cimiteri di montagna?
«Volevo un suo parere sul culto dei morti. Ultimamente non mi sono recata spesso sulla tomba di mia madre. Non so perché, ma quando vado al cimitero non riesco a pregare, per me in quel loculo non c'è lei; non provo niente: né tristezza né rabbia... Sono più coinvolta a casa, quando rivedo le sue foto, i suoi vestiti o quando gli altri mi parlano di lei. Perché sto diventando così insensibile? Non mi riconosco più. Trovo che i cimiteri siano dei luoghi di sfarzo».
Giulia R. - Marostica (VI)

Ha presente quei cimiterini di montagna, sorti davanti o attorno alle chiese: file di croci nere in ferro battuto tutte uguali, l'ovale che racchiude la foto del defunto, le date estreme della sua vita, una frase lapidaria del tipo: «Riposi in pace»? Nulla a che vedere con lo sfarzo di altri cimiteri che lei aborrisce. Qui tombe semplici, ben curate, che profumano di terra appena smossa e di fiori freschi. Gli stessi fiori dei prati o del giardino di casa, che adornano l'altare del Santissimo, gli altari della Vergine e dei santi. Ci pensi: quel profumo che si espande nella chiesa dove uno è stato battezzato, ha ricevuto Gesù per la prima volta, è diventato cristiano adulto con la cresima, s'è sposato, ha lodato il Signore, pregato e sperato nei momenti difficili... è lo stesso che avverti nella casa dove egli ha vissuto nell'intimità  della famiglia, le gioie e i dolori dell'esperienza terrena, e nel luogo dove riposano le sue spoglie mortali. Che sono sì fredde ossa senza anima, ma anche memoria di una presenza viva e reale che si realizza nella comunione dei santi. Il profumo, chiaro, è solo un'immagine, il simbolo della vicinanza, del legame che unisce le nostre presenze a quelle di chi ci ha preceduto nell'esperienza della vita cristiana. E si tratta di legami veri, forti, che avverti anche quando con un gesto di tenera umanità  poni la mano sulla tomba della persona scomparsa per ritrovarne la vicinanza.
Ma non sono solo i cimiteri, ovviamente, i luoghi di questa esperienza, soprattutto se non hanno quella semplicità  e quella pregnanza di simbolismi che ci sono nei piccoli cimiteri di montagna che s'affacciano sul sagrato della chiesa e sull'uscio di casa. Quella presenza si può avvertire anche in casa, come succede a lei, nel contatto con oggetti e situazioni che ravvivano la memoria della persona scomparsa. Perché la realtà  è fatta  di noi viventi che fatichiamo nelle strade della vita, e di chi ci ha preceduto ed è «vivo» accanto a noi e ora ci offre la testimonianza di una speranza ancorata a un evento che getta una nuova luce sulla vita: la risurrezione di Cristo.
Se Cristo non fosse risorto, non solo sarebbe «vana la vostra fede», come scriveva Paolo ai  Corinzi (1Cor 15,14), ma ognuno di noi sarebbe alla fine risucchiato e perduto nel grande buio della morte.
La morte stessa avrebbe un altro significato, quello di una sconfitta senza appello, di un evento conclusivo in senso assoluto.  Invece Cristo è risorto, ha vinto la morte coinvolgendo tutti noi nella sua risurrezione.
La morte, certo, continua ancora a colpirci  e il dolore che l'accompagna non cessa di morderci, ma ad esso si unisce la speranza, anzi la certezza, di un nuovo incontro, perché se siamo risorti con Cristo, la vita di chi ci ha lasciati continua e con essa continuano i vincoli di amore allacciati sulla terra. Tra cristiani vivi e defunti, tutti raccolti nella famiglia di Dio, intercorre una comunione salda, non visibile ma non per questo meno vera, garantita da Gesù e fondata sul mistero dell'amore di Dio che è, alla fine, la verità  della vita e della morte. Stando così le cose, ricordare i defunti al cimitero o a casa è cosa buona quando nasce da un atteggiamento di fede in Dio e di amore nei confronti di chi in Dio dimora. Né esibizionismo né intimismo, dunque, rendono più autentico il culto cristiano dei morti.  

LETTERE AL DIRETTORE

Questione di lunghezza d'onda
«Quando qualcuno parla contro la Chiesa perché non crede, non riesco mai a trovare le parole giuste per cercare di convincerlo. Ho due amici, sposati civilmente e non credenti, che sono favorevoli all'aborto, alla procreazione assistita, al matrimonio fra gay.
«Io sono contrario a tutto questo perché credo in certi valori, che sono alla base della vita. Loro dicono che ogni tipo di legge va bene, che sta ad ognuno di noi scegliere i vari comportamenti, perché la vera democrazia è fare quello che vogliamo.
Io non sono d'accordo, perché democrazia è fare le cose giuste. Come potrei spiegarmi?».

Giovanni

Per convincere una persona non basta trovare le parole giuste, bisogna anche sintonizzarsi sulla frequenza giusta. A me sembra che lei e i suoi amici non siate bene sintonizzati, cioè parlate linguaggi diversi.
Lei parla il linguaggio morale, dei valori; loro il linguaggio giuridico, della legge. È allora logico, normale, che non vi comprendiate. Non deve sentirsi affatto in colpa per questo.
Piuttosto le suggerisco un esperimento. Si metta d'accordo con i suoi amici e provate a ragionare insieme sui valori, su ciò che pensate abbia davvero senso per voi, indipendentemente dalle leggi emanate dallo Stato. Poi analizzate le leggi stesse, ciò che lo Stato proibisce, permette o comanda.
Considerato che, nonostante la diversità  di idee e di opinioni, continuate a essere buoni amici - ed è la cosa più importante -, sono sicuro che alla fine vi comprenderete. Lei capirà  che a volte lo Stato è costretto a tollerare - oggi si dice «regolamentare» - il male. Loro, almeno lo spero, ammetteranno che tollerare o regolamentare il male non vuol dire approvarlo e tanto meno legittimarlo moralmente.


Condizionata da influenze negative?
«È, questo, un momento terribile della mia vita. Tutto è un fallimento: il lavoro, nel quale ho investito ogni cosa, gli affetti, le relazioni. Sono disperata. Ho sempre fatto fino in fondo il mio dovere con onestà  e oggi, tempo di mietiture, devo combattere per far sì che l'impegno di una vita intera non sia vanificato. Aiutatemi a capire. Esistono le influenze negative, esiste la possibilità  che qualcuno voglia il nostro male a tal punto da condizionare e determinare in negativo gli eventi della nostra vita? Io sono molto sola. Coltivo ancora la speranza di incontrare un uomo che possa essere il compagno della vita che, se Dio vorrà , mi rimane ancora. Eppure, vivo fallimenti continui, rifiuti continui, come se per un progetto preordinato fosse stabilito che io non avrò mai una vita serena».
Giulia M.

Ha lavorato una vita con impegno e onestà  per raggiungere qualcosa di buono, ma quando si è accinta a raccogliere e godere il frutto di quanto seminato, si è ritrovata con un pugno di mosche in mano. Ne ha ricavato una sensazione «terribile» e disperante. Anche perché ha vissuto il tutto in solitudine, senza qualcuno al fianco con cui dividere l'amaro della sconfitta.
In questi casi, credo, le parole sono davvero impotenti, possono solo esprimere solidarietà , conforto fraterno, sostegno incoraggiante.
Ma il suo non mi pare un caso «disperato». La vita le ha inferto, sì, colpi micidiali, ma non l'ha stesa al tappeto. Lei continua «a combattere perché l'impegno di una vita intera non sia vanificato»; non ha perso  «la speranza di incontrare un uomo che possa essere il compagno della vita» .
Lampi di luce attraversano il suo cielo fosco e dicono che la sua riserva di energie non è esaurita; ne ha ancora abbastanza per riprendere in mano la situazione e guardare avanti con speranza. Aggiunga poi un briciolo di fiducia in più nella bontà  di Dio, il solo che possa tracciare disegni importanti per la nostra vita. Si tratta  sempre di disegni di amore, anche se facciamo fatica a leggerli nel complicato ordito della nostra esistenza.
Certo, ci sono persone che possono farci del male e condizionare in senso negativo la nostra vita, ma solo con  azioni concrete, non certo attraverso presunte influenze negative, flussi di energie oscure ottenuti magari con le banali formule esoteriche e i riti di cattivo gusto che alimentano il mondo della credulità  e della superstizione.
Tra l'altro i riti della superstizione, oltre a essere inefficaci, sono sempre, come dice il Catechismo degli adulti (n. 881), contrari alla fede e alla ragione: Le vie oneste per realizzare i nostri desideri sono quelli che Dio ci ha dato: le risorse naturali della scienza e della tecnica, le risorse spirituali della preghiera.
Faccia, allora, ricorso alle sue riserve di convinzioni e di valori, attinga alle risorse della preghiera (in questo le saremo vicini), si ponga in ascolto del Signore e chieda a Lui aiuto per poter cogliere nelle intricate vicende della vita tracce del Suo disegno per lei. Riuscirà  così a dare maggior  senso a quanto di negativo le è successo e a fugare l'idea che ciò sia avvenuto per l'influenza negativa di persone che non le vogliono bene. Abbia fiducia: al venerdì santo della croce e della sofferenza segue la Pasqua della luce e della gioia. Le auguriamo che questo passaggio avvenga presto anche nella sua vita.


Visite a pagamento alle chiese
«Voglio segnalare un fatto increscioso che mi ha amareggiato. Il 16 agosto scorso, insieme ad alcuni famigliari, ho fatto un'escursione nella città  di Verona per ammirare i gioielli dell'arte che essa custodisce. Ho appreso con grande stupore che per entrare nelle chiese di Sant'Anastasia, San Zeno Maggiore, Duomo e altre, nelle quali si trovano opere di artisti veneti famosi, come Mantegna, Pisanello, Tiepolo..., bisogna pagare. Di fronte a tale provvedimento, direi vessatorio, ho accusato un senso di ripulsa e ho preferito, con grande rammarico, disertare la visita delle varie chiese».
C. S.

Capisco la sua indignazione, accresciuta forse dal fatto che «non se l'aspettava», ma se adesso, a bocce ferme, prova a riflettere sulle note che sto per proporle, non riterrà  più la cosa così «vessatoria». Lo spero, almeno. A quanto pare, lei e i suoi amici non vi recavate nelle chiese elencate per assistere a funzioni liturgiche, nel qual caso non avreste avuto problemi, ma per ammirare «opere di artisti veneti famosi» , quindi come visitatori. E qui nasce un problema: di scarso rilievo quando i visitatori erano una rarità , molto serio ora che si sono fatti numerosi, con tutte le esigenze e i rischi che ne conseguono.
Le opere d'arte devono essere ben conservate, protette con adeguati mezzi di sicurezza, accuratamente illuminate per consentirne una piacevole visione. Occorre personale che vigili, che provveda alle pulizie della chiesa, che guidi e orienti i visitatori, e quant'altro serva a limitare eventuali rischi e possibili disagi. La qual cosa, però, ha un costo piuttosto elevato, difficilmente sostenibile dalle risicate finanze di una parrocchia.
Qualche anno fa, l'allora arcivescovo di Ravenna, cardinale Tonini, aveva cercato di coinvolgere il ministero del Beni culturali. Si vede che anche a Roma il piatto piange, perché non se n'è fatto nulla.
Allora, se non si vuole chiudere le chiese nel tempo non occupato dal servizio liturgico (cosa che alcuni sono costretti a fare), non resta che chiedere ai visitatori un contributo. Lo hanno fatto diocesi come Ravenna, Venezia, Firenze, Verona...ma perché le chiese continuino a essere «vive» («Chiese vive» è il nome dell'associazione che se ne occupa). La decisione, dunque, non ha nulla di illecito o di vessatorio, ma è solo dettata da necessità .


Colpa di Dio se le cose non vanno?
«Tempo fa, molto gentilmente, lei ha risposto a una mia lettera su alcuni dubbi di fede che tormentavano dei miei conoscenti. Ora scrivo per me, sperando di cuore in una sua risposta, perché davvero non ce la faccio più. Sono portata a credere che la colpa di tutto ciò che succede di negativo nella mia vita sia di Dio. Me la prendo con Lui, specialmente per il carattere del mio secondo figlio: un terremoto di giorno e insonne di notte. Quando ero incinta, avevo chiesto a Dio che fosse un bimbo tranquillo, che dormisse di notte, perché già  avevo passato le pene dell'inferno con il primo ed invece... Come posso credere che Dio non c'entri nulla, che è solo il carattere del bimbo che è così ?».
Rosanna

Dopo essersi occupata dei dubbi di fede di alcuni conoscenti - presumo persone a lei care -, chiedendo lumi ai frati del «Messaggero di sant'Antonio», ora domanda per se stessa. Amareggiata, confessa di non farcela più, di essere stanca e delusa per una situazione di fatica e di tensione creata da un figlio piccolo dal carattere un po' irrequieto, poco propenso ai sonni prolungati e pacifici, che in genere sono un punto di vanto e la gioia di tante coppie. Quando si passa una o più notti in bianco, si affrontano sì le cose di ogni giorno, per dovere e senso di responsabilità , ma con intontimento cronico e non senza nervosismo.
Capisco la sua difficoltà , che assommo a quella di molte mamme, le quali devono «vegliare» (non solo in senso metaforico) per il bene della famiglia, vivendo anche per tempi prolungati dentro ritmi esigenti e logoranti. Già  col primo figlio le cose non erano andate nel modo migliore, e ora con il secondo si trova proprio nella situazione dalla quale desiderava essere risparmiata. Sembra che la sua preghiera, fatta con insistenza nel tempo della dolce attesa, non sia stata esaudita.
Non è il caso che ora, entrando in dialogo con lei, rivesta i panni dell'avvocato di Dio, rispondendo magari puntigliosamente a interrogativi che definirei «perenni», e che risuonano con intensità  e drammaticità  nelle diverse stagioni e contingenze della vita: perché a qualcuno tutto va bene, mentre altri sono continuamente afflitti da problemi piccoli e grandi? Se ci sono queste differenze, vuol forse dire che Dio non ama tutti nello stesso modo?
Nemmeno intendo convincerla «che Dio non c'entra nulla», perché bisogna davvero intendersi sulle parole. Se questo «non c'entra nulla» vuol dire che le cose succedono a casaccio, per cui non esiste da nessuna parte un disegno provvidenziale che faccia da trama agli spezzoni sconnessi, quando non del tutto scollegati, della vita, allora siamo fuori bersaglio. E con ciò non voglio dire che sia sempre facile individuare il modo di agire di Dio in rapporto a situazioni che vorremmo più lineari, meno sofferte, più vivibili. In quelle situazioni, d'altra parte, siamo sempre implicati anche noi, con il nostro carattere, propensioni, stili di vita, soprattutto con la nostra libertà . «Dio non c'entra nulla» tutte le volte che proiettiamo in lui responsabilità  che alla fin fine sono nostre, o che un poco per volta potremmo imparare ad assumere e cercare di gestire. Tante cose non sono gestibili, è pur vero, ma prima di tirare in ballo Dio un semplice esame di coscienza ci aiuterebbe a evitare semplificazioni troppo schematiche. La sento comunque molto vicina a Dio, con numerosi interrogativi ma desiderosa di riprendere e di solidificare il suo cammino di fede.
Non si lasci andare e dia nuovamente fiducia a se stessa, pensandosi come creatura amata da Lui. 

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017