Lettere al Direttore

L'elezione a Papa del cardinale Ratzinger non è stata accolta da tutti con eguale entusiasmo. Questione anche di pregiudizi che egli, giorno dopo giorno, sta smentendo...
26 Maggio 2005 | di

LETTERA DEL MESE

Caro Benedetto XVI non ti lasceremo solo

No, non ti lasceremo solo, caro papa Benedetto XVI! Molti hanno avuto paura che la fumata bianca annunciasse il tuo nome. Eri il grande Inquisitore, il simbolo della possibile condanna della Chiesa. Pochi si ricordavano del tempo in cui, esperto al Concilio, eri un uomo audace nelle sue opinioni, pragmatico nella sua teologia, finissimo nelle sue analisi. Dimenticavano anche la tua obbedienza fedelissima al Papa, che ti aveva nominato a questo incarico; identificavano certe tue prese di posizione con la tua opinione personale. Essere il guardiano dell'ortodossia non è certo un compito facile e ti sei creato molti nemici, ma alcuni sperano, ora che sei Papa, di poterti incontrare. Dimostrano, così, la loro fiducia nell'uomo che sei.
Personalmente, sono stata immersa nella santità  di Giovanni Paolo II, che mi si è rivelata durante i suoi ultimi giorni, quando mi sono sentita calamitata nella sua preghiera potente come un monte. Ho capito già  prima della sua morte che saresti stato tu ad assumere il posto del vicario di Cristo. L'ho intuito come la cosa più normale, mentre qualche giorno prima ancora, ero, come tanti altri, diffidente nei tuoi confronti. Subito è nato nel mio cuore un forte affetto per te. Non ho mai seguito le parole, i gesti, l'atteggiamento di un Papa come lo sto facendo per te, nella stampa e su internet. Vorrei gridare ai cristiani e non, la mia fiducia: non è più Ratzinger, è il nostro Papa!
Hai detto: Il mio vero programma di governo è quello di non fare la mia volontà , di non perseguire mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta quanta la Chiesa, della parola e della volontà  del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicché sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia (...)  Permettimi tuttavia di confidarti una mia speranza: la super mediatizzazione della figura di Giovanni Paolo II non ti deve influenzare, perché la fede non s'immedesima con il successo e le folle osannanti.
Hai forse il compito di lasciare che le luci abbaglianti dei mass media si spengano per far risplendere, attraverso la verità  dello Spirito Santo che ti anima, Cristo, la vera luce. La tua dolce modestia, quella che ti spingeva a chiedere in una libreria, sul tragitto della tua passeggiata quotidiana, perché avevano messo in vetrina tale libro, sarà  più convincente che le grandi passeggiate attraverso il mondo corredate dal potere della televisione. Il tuo heimweh, cioè quella nostalgia della terra natia, così caratteristica dei tuoi connazionali, sarà  la fonte della tua compassione per tutti gli abitanti dei  deserti del mondo, per tutti gli immigrati, strappati alla loro patria per i giochi perversi dell'idolo denaro travestito in politica internazionale (...)
Mi azzardo ancora a esprimere un desiderio: la tua onestà  e la tua grande conoscenza della Curia mi fa sperare che sarai tu, finalmente, a poter riformare l'organismo amministrativo della Chiesa. Sono sicura che la forza e l'audacia ti saranno date perché lo Spirito stenderà  su di te la sua ombra per questo compito d'incarnazione.
Odile van Deth

L'elezione a Papa del cardinale Ratzinger non è stata accolta da tutti con entusiasmo. L'essere lui stato  coraggioso difensore dell'ortodossia della fede ha creato molti pregiudizi, che egli, giorno dopo giorno, sta smentendo, presentandosi come nessuno si sarebbe aspettato: affabile, disponibile, aperto al dialogo, capace di gesti che denotano grande umanità . Siamo appena ai primi passi di un pontificato certo molto impegnativo per i grandi problemi che dovrà  affrontare. Ma se il buon giorno si vede dal mattino... L'entusiasmo e le speranze della lettrice ci sembrano dunque ben riposti.


LETTERE AL DIRETTORE

A Colonia ci mancherà  papa Wojtyla

Ho sempre apprezzato il vostro sforzo di fare un giornale obiettivo, attento ai problemi di noi giovani, inflessibile nel fustigare il malcostume dei media; così diabolici, talvolta, nell'inquinare e sporcare i valori che voi così tenacemente propugnate. Le scrivo in un momento particolare per la nostra Chiesa. La scomparsa di Karol il Grande ci ha gettati nello sconforto. Pur se ultimamente sofferente, proprio la testimonianza della sua fragilità , unita a una lucidità  e a una determinazione senza pari, hanno scosso la mia coscienza e colpito la mia fede incerta. Sono sicuro che quel chicco di grano fruttificherà  e porterà  nuovo fermento e nuova linfa nella nostra Chiesa. Ho constatato quanto l'opera instancabile del nostro Papa abbia fatto più di un miracolo fra noi giovani. A Colonia ci mancherà ; ma ho fiducia che sant'Antonio saprà  illuminare il successore, perché la Chiesa si rinnovi di continuo e sappia fronteggiare le sfide del XXI secolo. Un secolo che si è aperto con l'immane tragedia delle Due Torri di New York; con le guerre in Afghanistan e in Iraq; con il genocidio nel Darfur e con la pesante eredità  di tante guerre dimenticate. Prego il nostro Santo, che seppe parlare ai potenti del tempo con l'arma del Vangelo, affinché illumini le menti dei potenti di oggi, ponendo fine a palesi ingiustizie e sostenendo quegli Stati che faticosamente percorrono la via della democrazia e della pace.
A. Carli - Sedilo (OR)

Più volte nel corso del suo pontificato, Giovanni Paolo II ha auspicato, pregato, richiesto a gran voce la pace. La preghiera per la pace ad Assisi con i rappresentanti di tutte le religioni è stata uno degli elementi caratteristici del suo ministero, insieme alla grande attenzione ai giovani, sentinelle del mattino e speranza di futuro.
Attenzioni fatte proprie dal nuovo Pontefice, come dice la scelta del nome: Benedetto, come il patrono d'Europa, ma anche come Benedetto XV che, evangelicamente contrario ad ogni guerra, definì il primo conflitto l'inutile strage, il primo di una serie di atrocità  che hanno negativamente segnato il secolo passato, per altri versi ricco di conquiste e di successi. Anche il nuovo secolo non si è aperto nel più incoraggiante dei modi, come lei stesso sottolinea. La nostra fede ci insegna, nonostante tutto, la speranza, peraltro ben fondata: su Cristo, il quale ha conosciuto sì il morso crudele del dolore e della morte ma, risorgendo poi, ha tolto per sempre al male la sua potenza dominatrice sull'uomo e sulle cose. In una prospettiva, che a volte a noi sfugge, sono il bene e la vita, cioè Cristo stesso, ad avere l'ultima parola. Ci associamo, quindi, alle preghiere dell'amico lettore, chiedendo al nostro Santo, difensore dei diritti dell'uomo, portavoce dei poveri e degli oppressi, di mantenere viva in noi quella Speranza che, sola, può indirizzare sulla via del bene i passi di tutti, in particolare dei giovani che si affacciano ora alla vita e quelli dei potenti per la responsabilità  che hanno del nostro futuro.


È vero che fuori della Chiesa nessuno si salva?

All'indomani dell'elezione del nuovo Papa, il rabbino di Verona, Crescenzio Piattelli, affermava che il cardinale Ratzinger è ben conosciuto per la sua intransigenza contro i non battezzati. Così almeno si espresse nella dichiarazione del 2000 in cui ribadiva l'assunto medioevale della Chiesa: 'Extra ecclesia nulla salus', cioè, fuori della Chiesa non c'è salvezza. Il rabbino Piattelli, nonostante Verona sia all'avanguardia nel dialogo interreligioso, forse non conosce la teologia cattolica. Quella affermazione, che può apparire integralista, spesso ripetuta dai Padri della Chiesa, va formulata in modo positivo. Semplicemente significa che ogni salvezza viene da Cristo-Capo per mezzo della Chiesa che è il suo Corpo. Il Catechismo della Chiesa cattolica ai numeri 846/847 afferma che il santo Concilio insegna, appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che la Chiesa pellegrinante è necessaria alla salvezza. Infatti, solo Cristo è il mediatore e la via della salvezza; ora egli, inculcando espressamente la necessità  della fede e del battesimo, ha insieme confermata la necessità  della Chiesa, nella quale gli uomini entrano mediante il battesimo come per la porta. Perciò non potrebbero salvarsi quegli uomini, i quali, non ignorando che la Chiesa cattolica è stata da Dio, per mezzo di Gesù Cristo, fondata come necessaria, non avessero tuttavia voluto entrare in essa o in essa perseverare... .Questa affermazione non si riferisce a coloro che, senza loro colpa, ignorano Cristo e la Chiesa: infatti, quelli che senza colpa ignorano il Vangelo e la sua Chiesa, e tuttavia cercano sinceramente Dio, e sotto l'influsso della grazia si sforzano di compiere con le opere la volontà  di Dio, conosciuta attraverso il dettame della coscienza, possono conseguire la salvezza eterna. I non cristiani si mettano quindi il cuore in pace, se nella vita si comporteranno bene, andranno anch'essi, e con tutti gli onori, in Paradiso.
Gianni Toffali - Verona

I numeri del Catechismo da lei citati delimitano chiaramente i termini della questione. Sarebbe, infatti, assurdo escludere dalla salvezza tutti coloro (e sono tanti, come le stelle in cielo) che non avendo, senza loro colpa, conosciuto Gesù Cristo, non hanno potuto aderire a quella comunità  di uomini e di donne - che, uniti alla tradizione degli apostoli, custodiscono e annunciano il Vangelo a tutti gli uomini - che nel Credo diciamo Chiesa una, santa cattolica e apostolica, istituita da Dio come strumento e luogo per ricevere e vivere la grazia e la salvezza. Ci è difficile pensare a Dio Padre che allontani tutti coloro che per un misterioso disegno non hanno conosciuto il Vangelo, ma ne hanno vissuto lo spirito, in sintonia con i dettami della loro coscienza. Ha presente la parabola degli amici invitati che hanno accampato mille scuse per non rispondere all'invito del loro signore? Il loro posto è stato preso dai poveracci raccolti agli angoli della strada che della bella casa del padrone non conoscevano forse neppure il recinto. Al rendiconto finale non mancheranno le sorprese. Lo dice anche sant'Agostino quando scrive che vi troveremo più gente di quanta avremmo potuto immaginare.


La famiglia Tosi: tutto fuorché anticlericale

Sono Franco Tosi, figlio di Ettore, fratello di quel don Sante Tosi deceduto nel 1983, il cui profilo è stato così ben tracciato nella lettera della signora Gianna Paraluppi, (marzo 2005), che rende perfettamente chi era don Sante. La generosità  era la sua principale virtù, nota a tutti. Unico neo della lettera è il capoverso dove si ricorda la sua provenienza: Nato a Piacenza... da una numerosa famiglia di comunisti convinti e anticlericali.... Questo non corrisponde al vero. La famiglia di provenienza era composta dai genitori e tredici fratelli. La mamma di don Sante, mia nonna, si può dire che nacque, visse e morì con il rosario in mano. Gli altri fratelli erano tutti di Chiesa, compreso anche qualche socialistone. La sorella Maria, maritata Bearesi, ha avuto un figlio sacerdote, don Luigi, molto conosciuto a Piacenza e deceduto un anno fa. Un'altra sorella e un fratello hanno sposato due fratelli di cognome Concari... le cui famiglie hanno dato due sacerdoti, don Dante, vivente, e don Aldo deceduto nello scorso mese di marzo, e padre Camillo Concari, francescano, missionario in Cina e Giappone per circa cinquant'anni, ora in Italia.
Della bella lettera della signora Paraluppi si deve, dunque, rettificare il capoverso soprarichiamato perché assolutamente non vero.
Franco Tosi - Piacenza

Comprendiamo il suo disappunto e ci scusiamo con la famiglia Tosi per quell'inopportuna attribuzione. Del resto, solo un piccolo neo nella bella lettera (lo riconosce lei stesso) della signora Paraluppi, che ci ha permesso di conoscere una bella figura di sacerdote, testimone di carità  e di dedizione totale agli altri, e la ringraziamo ancora per questo.
Preti e laici di siffatta pasta non mancano, solo che il loro operare, spesso silenzioso e nascosto, non fa notizia in una società  dove solo fatti intrisi di violenza e di sesso, o lo scandalo, il pettegolezzo e l'assoluto vuoto richiamano le luci della ribalta.
E allora, come lei chiarisce, la famiglia Tosi, originaria di Baselica Duce, frazione di Fiorenzuola d'Arda, Piacenza, non era AFFATTO un covo di comunisti convinti e anticlericali (anche se i comunisti di quelle terre hanno spesso, nell'immaginario collettivo, il volto bonario di Giuseppe Bottazzi, detto Peppone) dal cui grembo, quasi una pecora nera, è spuntata un'anima di Dio come don Sante, ma una fucina, con l'aggiunta del parentado acquisito, di devozione, culla di uomini votati alle cose del cielo.
Grazie a Dio.


La piccola storia vera di suor Adelina

Mi piacerebbe far conoscere agli amici della famiglia antoniana suor Adelina (Gina Cieri), delle suore di san Giuseppe, una donna semplice ma dotata di un grande amore e di tanta disponibilità  per gli altri. Era nata in una famiglia di Celenza sul Trigno, Chieti, profondamente religiosa, dalla quale aveva attinto quei valori evangelici, che conservò sempre nel suo cuore e tradusse nella vita quotidiana. Dalla sua bella terra abruzzese ha ereditato quella tempra forte e solida che aiuta le persone a vivere con fedeltà  sia i momenti facili che le situazioni più esigenti e intricate ella vita.
Aveva un carattere dolce, aperto, accogliente, che la rendeva amica di tutte le persone che incontrava nella sua attività  apostolica. La sua disponibilità  ad andare dove si riteneva necessaria la sua presenza le ha permesso di vivere in quasi tutte le comunità  della provincia religiosa, come a Barga, ad esempio, dove svolse l'umile lavoro di cuciniera non solo per la piccola comunità , ma anche per la mensa dei piccoli della scuola materna. Suor Adelina amava molto i piccoli e per loro cercava, con amore materno, di preparare i cibi che più gradivano e al momento della refezione andava a servirli personalmente, aiutando i più piccini a mangiare e facendo in modo che tutti fossero contenti.
Suor Adelina era sempre pronta a dare una mano, dove c'era bisogno, e si prestava volentieri nei momenti di ricreazione dei bambini: per loro organizzava giochi, canti, scenette... I piccoli stavano volentieri con lei, la sentivano vicina per la semplicità  e il candore d'animo che traspariva dal suo volto sempre sereno.
Nel 1944 ha fatto parte della comunità  di Ceprano, impegnata nell'ospedale del paese, dove ha fatto, con l'amore e l'impegno di sempre, la cuoca per i malati dell'ospedale.
Dopo essere stata in altre sedi, nel 1953 è stata destinata alla comunità  di Niccioletta, in una piccola e bella scuola materna aperta per i bambini dei minatori del luogo. Qui suor Adelina è rimasta sette anni. Non è facile ridire a parole quello che suor Adelina ha saputo fare per quei bambini che erano alla loro prima esperienza scolastica.

Antonio Cieri - Chieti

Penso che ognuno di noi nella sua vita ha incontrato una suor Adelina, e ne conserva vivo il ricordo: una di quelle religiose semplici e di cuore, che nella loro vita, magari, non hanno fatto nulla di straordinario, ma, in modo straordinario, hanno vissuto  la ferialità  della vita quotidiana tingendola di amore, di disponibilità , di dedizione, di generosità . Senza tanti fronzoli, andando evangelicamente alla sostanza delle cose. Questo ricordo di suor Adelina vuole essere un omaggio alle tante che ogni giorno si prodigano, con servizio umile e nascosto, nelle situazioni più disparate della vita, testimoniando l'amore di Dio e la speranza che aiuta a vivere.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017