Lettere al Direttore

Non è facile parlare di risurrezione. Anche san Paolo quando ne ha parlato ai saggi di Atene radunati nell'Areopago si è sentito dare del matto.
29 Marzo 2005 | di

LETTERA DEL MESE

Risurrezione: perché ci crediamo con riserva?

Nella mia vita di cristiana impegnata nel sociale e nella catechesi, confesso che parlare di risurrezione è stato sempre molto imbarazzante. Perché c'è sempre quel profondo disagio nell'esprimermi, mentre parlo abbastanza serenamente quando si tratta di Gesù, di Dio Padre e dello Spirito Santo? A un funerale ho sentito la moglie del defunto dire: Con il tempo il dolore si attutisce ma speriamo che ci sia veramente un aldilà . Questa frase me la porto dentro. In realtà  noi cristiani mettiamo in forse la risurrezione che pure è un mistero profondo e vero. Mettiamo in forse quel mistero che ci dovrebbe scoppiare dentro per la verità  e che invece è appena dentro di noi solo con il pensiero e non con fede profonda e vera. Io dovrei scoppiare di gioia come Maria al sepolcro, quando si sente chiamare da Gesù: Maria! E la mia convinzione è invece come quelli che dicono: Speriamo che ci sia veramente un aldilà . Ma che cos'è la risurrezione?.
Teresa Massialetti

Ha ragione nel dire che il pensiero della risurrezione dovrebbe farci scoppiare di gioia, come Maria quando si vide davanti Cristo risorto. Anche perché, è certo, noi risorgeremo con lui. Scriveva padre Turoldo: A crederci sul serio (alla risurrezione), qui dovrebbe cambiare ogni cosa: la mia e la tua vita, la storia del mondo. Io non credo che ci crediamo sul serio. O almeno, io ho molti dubbi circa la mia fede. Credere è vivere, è testimoniare, è cercare di renderci sempre più conformi con ciò che si crede. Credere che Cristo è risorto, vorrebbe dire vivere una vita da risorti; vorrebbe dire non avere più paura della morte (O morte, dov'è la tua vittoria? dov'è il tuo pungiglione?.
Ma la risurrezione non è una certezza dimostrabile come un'operazione matematica: due più due fanno quattro e non ci sono dubbi. Non è un'esperienza che puoi raccontare ai ragazzini perché l'hai vissuta o osservata. Anche san Paolo quando ne ha parlato ai saggi di Atene radunati nell'Areopago si è sentito dare del matto. È una certezza di tipo diverso, data dalla fiducia che si ha in Colui che l'ha promessa. Ciò non mette al riparo da dubbi e incertezze, che si placano solo quando ci mettiamo nelle mani di Dio come bambini tra le braccia del papà  fidandoci ciecamente di lui.
Dice Gesù nel Vangelo:  A riguardo dei morti che devono risorgere, non avete letto nel libro di Mosè, a proposito del roveto, come Dio gli parlò dicendo: Io sono il dio di Abramo, il Dio di Isacco e di Giacobbe? non un Dio dei morti ma dei viventi (Mc Marco 12, 26-27).
Credo nella risurrezione della carne, recita il Simbolo degli Apostoli. L'affermazione si lega alla grande questione dell'aldilà , che attraversa la storia di ogni religione: la speranza di non morire è il tutto di una religione. Per il cristiano, poi, l'aldilà  non è una dimensione astratta, ha invece la concretezza della corporeità . Anzi, l'aldilà  è la risurrezione della carne, affollato di persone, di vita, di storia, di eventi, certamente in una dimensione diversa da quella che sperimentiamo ora.
La risurrezione non è nemmeno un semplice ritorno alla vita in un mondo ancora immerso nella morte e nel male, ma l'essere immessi in una situazione nuova dove non ci sono né morte, né lutto né male né guerre né pianto.
Ne fa fede la risurrezione di Cristo, nell'esperienza che i discepoli fecero con Lui: lo vedevano, lo toccavano, era lo stesso di prima, ma immerso nella dimensione definitiva di una vita, non solo con lo spirito ma tutt'intero, con la sua carne, la sua storia. Sarà  così anche di noi: non crediamo nell'aldilà , ma in un mondo nuovo concreto radicalmente liberato dal male e dalla morte.

Don Giussani un testimone del nostro tempo

Televisioni e giornali hanno testimoniato la presenza diversa di un uomo che è riuscito, con la sua vita, a scandalizzare chi, anche come me, è abituato ai formalismi e alle comodità  dello spirito. L'anticonformista per eccellenza, l'uomo controcorrente, più semplicemente: il cristiano! Non ho conosciuto personalmente don Giussani, se non attraverso qualche suo scritto, ma soprattutto attraverso gli occhi, l'entusiasmo e l'esperienza di quelli che hanno avuto il coraggio di mettere in gioco la loro capacità , la loro professionalità , il loro tempo, non per un'idea alternativa del mondo, ma semplicemente perché Cristo era nella loro vita, come un fatto concreto, che costruisce, produce, si manifesta in tutte le attività  umane: dal lavoro alla famiglia, dallo studio al divertimento, dalla musica allo sport, dall'impegno sociale alla politica... con la stessa semplicità , naturalezza, profondità  della contemplazione, di una preghiera! Per quelli come me, che non hanno conosciuto personalmente don Giuss - come lo chiamano i suoi amici - non può non essere evidente quel miracolo che appartiene solo a pochi scelti, uomini e donne di tutti i tempi, che portano in sé il carisma della Storia, che aiutano milioni di uomini e donne non tanto a non commettere errori, a non cadere, quanto a rialzarsi, a stare sulla strada, a testimoniare, nel fracasso del mondo, il silenzio della Vita che cresce, che la Liberazione dell'Uomo è possibile: il miracolo del Bene che si manifesta!... e oggi don Giuss ci passa accanto!.
Giampiero Avruscio - Padova

Don Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e liberazione, scomparso lo scorso febbraio, è stato indubbiamente una delle figure più significative e incisive dei nostri tempi. Parleremo di lui in modo più ampio non appena possibile. Lo vogliamo qui solo ricordare, attraverso questa testimonianza che potrebbe essere sottoscritta da tutte quelle migliaia di giovani, e non più giovani, che hanno trovato in lui, nella sua fede profonda e semplice insieme, nel suo entusiasmo, nel suo amore per il bello e per la vita, nella sua grande umanità , motivi validi per continuare a essere cristiani ed esserlo in modo coerente e rigoroso. Tra i giovani intervistati dalle tv e dai giornali l'indomani della sua morte, la frase più ricorrente era: Per me è stato un padre. Cioè ha realizzato pienamente la sua vocazione di prete, che è di far sentire, di far vivere alla gente la paternità  di Dio.


I prigionieri nella certosa di Padula

Dopo lo sterminio disumano degli ebrei, in questi ultimi tempi, si sta cercando di capire un'altra tragedia, perpetrata dai comunisti di Tito nelle foibe. Io voglio conoscere la verità  di un altro delitto commesso in Italia all'arrivo delle truppe alleate degli anglo-americani, nel 1943. Le truppe dell'VIII armata, giustamente, quando entravano in una città , nel costituire gli Amgot (Allied Military Governement) per loro sicurezza, dovevano documentarsi se vi fossero soggetti pericolosi. Si rivolgevano ai componenti del Cln (Comitato di liberazione nazionale), alcuni dei quali utilizzavano la loro qualifica sia per denunciare gli eventuali soggetti pericolosi che per vendicarsi di risentimenti personali. Nel mio paesino furono denunciate quindici persone di varia estrazione ma sicuramente innocui, anche se avevano indossato la camicia nera come tutti gli italiani...
Un solo comunicato da mio padre con una cartolina prestampata e la scritta: Sono prigioniero degli inglesi. Non era un soldato e non era stato preso in combattimenti. Dopo lungo tempo, veniamo a conoscenza che quei prigionieri politici erano stati trasferiti nella Certosa di Padula.
Quella Certosa è stata oggetto di un mio pellegrinaggio per sapere e rendermi conto come avesse vissuto mio padre. Adesso è un bellissimo monumento. Allora, un luogo di pena. In quell'occasione sono venuto in possesso di un documento interessante: una raccolta di schizzi a carboncino che raccontano le condizioni disumane dei segregati. Ho anche saputo di uno scritto che raccoglie testimonianze di quella tragedia. Mi permetto di utilizzare il suo autorevole periodico, al quale è abbonata mia moglie, e che leggo con molto interesse, per proporre uno scambio. Qualora vi fosse tra i suoi lettori qualcuno che possiede quello scritto, potrei scambiare con lui la mia raccolta di schizzi.
Ivo Zimarino - Pescara

Auschwitz, foibe, prigionieri... tre dolenti capitoli di una stessa brutta storia: la guerra. Ingiusta o giusta (?) che sia, essa scatena sempre gli istinti peggiori dell'uomo, che si traducono poi in quelle efferatezze che oggi, a sessant'anni dalla fine del secondo conflitto mondiale, ancora ricordiamo con raccapriccio, o in quelle che quotidianamente i media ci fanno vedere dall'Iraq e da tanti altri Paesi disastrati dall'odio e dalla violenza. E tra le vittime il numero più alto è di innocenti, come suo padre, colpevoli solo di trovarsi nel posto sbagliato e nel momento sbagliato.
Tragedie già  note, come i lager nazisti e comunisti; altre che solo ora vengono pienamente alla luce, come le foibe; altre ancora immerse in coni d'ombra, che è giusto rimuovere. Per raggiungere la verità , per chiarire responsabilità  e per chiudere nella riconciliazione un passato che ancora ci pesa e che non vogliamo si ripeta. Non certo per rinfocolare le tensioni e gli odi che quegli episodi di violenza hanno provocato. Non sta a noi stabilire la verità  storica di certi eventi e le responsabilità  di chi li ha compiuti. A noi solo il dovere di esprimere un giudizio morale complessivo, ed è che ogni atrocità , da chiunque compiuta, su una persona, ogni azione che intacchi la sua dignità  e la sua libertà , è un atto grave contro Dio, Padre e Creatore dell'uomo, e contro l'umanità .


Quando la vita finisce a menosette

Riflettendo, in questi giorni, sulla prossima scadenza referendaria sulla procreazione assistita ho scritto qualche riflessione che ho intitolato Menosette: Non ho occhi. Non ho bocca. Non ho voce. Forse è per questo che non riesco a farmi ascoltare, a urlare che io esisto, a pretendere dai signori del destino dignità  e parità  riservate a tutti gli esseri umani.
Il mio presente è qui, tra queste pareti di vetro: la mia gabbia e, forse, la mia bara. Eppure sogno. Potrei diventare pilota e sorvolare la bellissima terra mostrando agli uomini le meraviglie del Creato, o medico e salvare tante vite umane, o giocare con i bambini in una lontana missione o ancora archeologo, scienziato, pittore... chissà ! O, più semplicemente, una brava persona, proprio come Voi che leggete la mia storia, che vi pigiate ogni mattina sui tram per andare a lavorare e portate a casa, alla sera, il vostro sorriso e una carezza ai vostri figli.
Vi immaginate uno di questi signori che, entrato in un panificio, spalancasse il forno dopo pochi minuti di cottura e dopo averne rovesciato in un lavandino il contenuto, sotto gli occhi esterrefatti del panettiere, distruggendo il frutto del suo paziente lavoro, affermasse che fino alla completa cottura quelle cose non sono assolutamente pane?.
Una lettrice - Cinisello Balsamo (MI)

Lei prova poeticamente a immaginare i sentimenti, i desideri, i sogni di un esserino, chiamato a una vita che a un certo punto qualcuno decide di togliergli negandogli il primo e fondamentale dei suoi diritti: di vivere, di crescere, di diventare, come noi cristiani crediamo, quello che Dio, datore di ogni vita, aveva previsto e preordinato per lui. Non è responsabilità  di poco conto interferire nei disegni di Dio, ricorrendo all'aborto o utilizzando vite appena sbocciate per altri scopi che non siano quelli di aiutarle a maturare e a esprimersi nel migliore dei modi. Noi cristiani abbiamo la missione di essere testimoni e annunciatori del Vangelo della vita, dobbiamo quindi adoperarci perché le leggi e le istituzioni dello Stato non ledano in nessun modo il diritto alla vita, dal concepimento alla morte naturale, ma lo difendano e lo promuovano.


Con gli ebrei, deportati milioni di civili

Nell'articolo Dov'era Dio il 26 dicembre?(febbraio 2005) due esplicite, anche se brevi, citazioni mi hanno infastidita... per la parzialità  con cui anche lei, come altri giornali e tv, parla di ebrei anzitutto e di Shoa invece che di Deportazione, che ha interessato anche 45 mila civili italiani. Sono da ricordare sì gli ebrei, circa 80 mila, ma anche i deportati politici, 37 mila, che sono stati i veri oppositori al nazismo e al fascismo! Il fenomeno si riscontra in tutta la deportazione civile europea, nella quale alla parte razziale (6 milioni) corrisponde una politica con una cifra analoga (6 milioni). Preciso che le cifre relative alla deportazione civile italiana che ho fornito, sono ricavate dai dati in possesso dell'Associazione internazionale ex deportati di Milano. L'aggettivo politico è fra virgolette perché di fatto ripete una categoria nazista: sappiamo bene che all'interno dei triangoli rossi (deportati politici) rientravano non solo attivisti politici comunisti, bensì in grande maggioranza anche persone sospettate, persone che a rischio della propria vita appoggiavano i movimenti partigiani di ogni colore politico, come pure sacerdoti, persone rastrellate e altre. Quindi, per favore, anzi no, per giustizia si citi la verità  storica chiamandola col nome che comprende la globalità  del fenomeno e cioè Deportazione Civile e non solo Shoa.
Maria Telch - Salorno (BZ)

Ecco riparata in parte, grazie al suo aiuto, la nostra mancanza. È vero, accanto alla tragedia degli ebrei s'è consumata anche quella di infinite altre persone, deportate e uccise non per questioni di razza ma perché contrarie al regime nazifascista. È giusto ricordarle, anche se a volte l'esiguità  dello spazio o il tema specifico trattato, le fa star fuori. Abbiano tra le mani il diario della prigionia di un deportato padovano, recentemente scomparso. È una storia di dolore, di sofferenza, di umiliazioni ma anche di grande fede, che un giorno racconteremo.


Notizie sparate a raffica o biascicate

Tramite la vostra rivista, molto letta, vorrei far giungere le mie osservazioni sia alla Rai che alle reti private. Secondo me, le categorie di ascoltatori più assidue sono: i pensionati, le casalinghe, i bambini, le comunità  e le case di riposo. Persone che non sempre hanno prontezza di intelletto od orecchio così buono da comprendere all'istante ciò che si dice.
Molti giornalisti e giornaliste leggono i telegiornali e altro a raffica, altri a fisarmonica, con toni alti, bassi e striscianti, quasi in silenzio! Da aggiungere, poi, che non tutti conoscono i dialetti regionali e le parole straniere, sempre più diffuse....
Anselmi E. - Chiaravalle     (AN)

Ospitiamo volentieri la sua lamentela. Invieremo anche copia della rivista a chi di dovere, sperando che ne tengano conto. La chiarezza nel parlare, come nello scrivere, cioè il farsi capire, è assolutamente fondamentale per un mezzo di comunicazione. Soprattutto nell'informazione. Comunicare vuol dire far giungere a qualcuno un messaggio: se questo non arriva chi l'ha lanciato ha perso il suo tempo e il destinatario si sente escluso. Come penso si sentano escluse tutte quelle persone che lei cita quando davanti a una tv, per la quale magari pagano anche il canone, tendono invano l'orecchio per cercare di indovinare le notizie tra parole sparate a raffica o biascicate da lettori inadeguati, o che perdono il filo del discorso inciampando in parole straniere o dialettali che non conoscono. Un po' di attenzione per loro non guasta, anche se certi programmi non capirli non è poi una gran perdita.

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017