Lettere al Direttore

Forse a tanti genitori manca la "forza" di sostenere una parte, di affrontare con i figli una lotta alla pari e preferiscono tacere.
24 Febbraio 2005 | di

LETTERA DEL MESE

Il segreto di un buon rapporto: parlare, parlare, parlare

Ho letto con interesse il suo editoriale del numero di gennaio. Confesso che quello che mi ha attirato di più era il titolo. Mi sono sentita chiamata in causa, in quanto genitore. Mi è parso troppo semplicistico e riduttivo del problema che andava a trattare e così ho proseguito nella lettura, decisa a dare battaglia! Ho dovuto ricredermi perché in effetti non vi ho trovato quell'accusa che, a tutta prima, mi era parsa proprio rivolta ai genitori.
Ho 52 anni e sono mamma genitrice da venticinque. Un po' di esperienza me la sono fatta e un altro po' l'ho subita dalla generazione precedente. Quando eravamo giovani, noi ci sentivamo ripetere che erano i ragazzi sbandati quelli che sbagliavano, ora si può dire esattamente il contrario.
Cosa è successo in questi ultimi trent'anni? Gli psicologi parlano di una doppia morale: i ragazzi in casa si comportano come vorrebbero i genitori e fuori cambiano completamente. Io posso dire che sono stata fortunata. Ci siamo comportati più o meno come tanti altri genitori della media borghesia, abbiamo cercato di offrire esempi e di essere coerenti. Forse ci è andata bene o forse siamo stati bravi, ma ritengo che il punto principale sia comunque il branco.
Ricordo quando volevano abiti firmati per non sentirsi emarginati perché non avevano quello che portavano gli altri. Abbiamo dovuto sfoderare tutta la nostra abilità  e parlare, parlare, parlare con loro; discutere, litigare, arrivare persino alle piccole minacce per concludere sterili richieste quotidiane.
Ora ne sono felice, ma che fatica! Forse a tanti genitori manca la forza di sostenere una parte, di affrontare una lotta alla pari, perché molto spesso riteniamo i nostri figli esseri inferiori, ancora da dominare, oppure la luce dei nostri occhi, coloro che hanno diritto a tutto. Manca, ancora una volta, il giusto equilibrio (...).
Sono d'accordo con lei quando dice che i giovani sono importanti. Forse tanti non hanno ancora realizzato che sono loro il nostro investimento migliore e trascurarli per la carriera o per guadagnare di più con doppi lavori è una lama a doppio taglio. Un rischio troppo grosso che non vale la pena di correre; purtroppo, le lacrime, dopo, non servono a nulla.
Franca O., Calco - Lecce

I titoli sono fatti apposta per incuriosire e invogliare a leggere il resto. Anche stavolta ha funzionato, offrendole lo stimolo per questa sua saggia riflessione che pubblichiamo quasi integralmente, convinti che sarà  utile ai genitori (ma anche ai ragazzi) che la leggeranno. Una cosa, tra le tante, ci ha colpito, quel parlare ripetuto tre volte, per dire quanto sia importante che ciò avvenga in una famiglia, soprattutto tra genitori e figli.
Il non parlarsi conduce a un'estraneità  all'interno della quale può maturare di tutto: incomprensioni, lontananza, rabbia, devianze... Che quando, poi, sfociano in gesti sconsiderati, ci fanno dire: ma come, eppure non gli ho fatto mancare niente! Niente di materiale. Ma non è solo questo di cui i figli hanno bisogno. Hanno bisogno del nostro tempo, della nostra presenza e disponibilità , del nostro fermarci un attimo, mettendo da parte gli affari e il resto, per ascoltarli, con il tono di chi dà  importanza a loro stessi e a quello che hanno da dire. Anche una litigata, un confronto duro, come lei stessa dice, se nasce dall'attenzione e dal rispetto, è un atto d'amore e di educazione. È l'assenza dei padri (o delle madri) spesso a rendere incerto o travagliato il cammino dei figli. Quando la famiglia, invece, c'è, come la sua esperienza dimostra, la possibilità  che le cose vadano è assai più alta, se non sicura.


Don Sante Tosi un papà  per gli orfani

Tempo fa, guardando in tv la vita di don Gnocchi, ho ricordato con nostalgia e affetto un altro grande sacerdote, la cui vita ha molte analogie con quella del padre dei mutilatini di guerra: don Sante Tosi, anche lui cappellano degli alpini prima e poi dell'Arma Aeronautica (presso la II Zat di Padova).
Nel dopoguerra egli si è prodigato a favore degli orfani degli aviatori (come me), sostenendo le famiglie in difficoltà  in tutta Italia, facendo accogliere i ragazzi più bisognosi nei collegi dell'Arma (ad esempio a Loreto), organizzando colonie estive marine (a Misano) e montane (a Lavarone e a Dobbiaco ) aperte alle madri vedove e ai piccoli orfani.
Era simpaticissimo e tanto amato da noi ragazzi che lo chiamavamo don Santino e gli avevamo dedicato anche una canzone.
Sapeva intrattenerci con giochi di prestigio, scherzi, canti, e, di sera, per farci addormentare, racconti tratti dalla sua vita avventurosa. Veniva a casa a trovarci portando pacchi-dono per la famiglia e giornalini e giocattoli per i piccoli.
Nato a Piacenza (credo nel 1910) da una numerosa famiglia di comunisti convinti anti-clericali, (presso i quali uno scherzo fatto a un prete era considerato il dolce di fine pranzo) ricevette la chiamata al sacerdozio esaudendo le preghiere segrete della mamma, alla quale rimase sempre affezionatissimo e che tornava a trovare a Piacenza, passando da Mantova, la mia città  natale.
Ricordo varie vicende della sua famiglia: la conversione del padre, la lotta partigiana, la prigione, le torture subite, la guerra cogli Alpini, le ferite, gli scherzi per sostenere il morale dei soldati, le confessioni dei militari, la vita a Padova...
Nel 1960 era a Milano presso il Comando dell'Aeronautica militare e io, che all'epoca insegnavo nella provincia, ebbi l'occasione di vederlo per l'ultima volta; gli fece molto piacere la mia visita, dato che non ci aveva mai dimenticati e sarà  ancora in vita?
In ogni caso vorrei tanto che non fosse dimenticato perché ha dato moltissimo a noi bambini privati della guida paterna.
Gianna Paraluppi

Non abbiamo avuto la fortuna di conoscere don Sante. Affidiamo con piacere ai lettori il suo ricordo riconoscente.
La storia della Chiesa è ricca di figure come questa, testimoni semplici di una fede forte che ha saputo tramutarsi, anche con semplicità , in gesti di grande, quotidiana carità , di dedizione totale agli altri.
Abbiamo grande bisogno (soprattutto i giovani), di questi esempi, di questi maestri, per essere stimolati, e anche rassicurati.
Su di essi siamo chiamati a misurare la nostra vita e il nostro impegno. Come è anche bello il suo sentimento di riconoscenza, che sfida il tempo: cosa oggi rara.


Charles Darwin solo per agnostici e atei?

Leggo su Il Sole 24 Ore che l'anniversario della nascita di Charles Darwin è, da qualche anno, oggetto di celebrazioni anche in Italia, così come avviene nel mondo anglosassone. Dall'articolo sembra dedursi che l'iniziativa sia partita dall'Uaar (Unione degli atei e agnostici razionalisti).
Ora mi chiedo: è giusto che questo scienziato e le sue scoperte (da tempo si è cessato di parlare di teorie) nel campo dell'evoluzione siano egemonizzati dagli atei e agnostici? Non le sembra che proprio la capacità  delle specie viventi di adattarsi al mutare delle situazioni si riveli come una delle meraviglie del Creato e del Suo Creatore?.
Giancarlo Tomasin - e mail

Agnostici e atei celebrano con enfasi Darwin perché, a parer loro, la sua teoria scientifica sulla natura vivente come perenne evoluzione della specie tramite la scienza naturale, sarebbe la prova certa che non esiste alcun Dio Creatore. Darwin assurto a simbolo e totem, dunque. Una teoria in passato vigorosamente osteggiata da quanti, Bibbia alla mano, sostenevano invece la verità , in modo fondamentalista, del racconto della creazione come espresso dal racconto biblico. È di questi giorni la notizia, non nuova, di una forte ripresa della verità  del racconto biblico che sta avvenendo in molti gruppi degli Usa. Come saprà , non sono mancati tentativi di illustri scienziati - e ricordo il gesuita padre Teilhard de Chardin, teologo e scienziato naturalista - di operare una sintesi tra i dati della scienza e le verità  della fede.
Due ambiti con linguaggi e codici propri, il che non esclude - come pensano molti scienziati attuali - che sul confine estremo della scienza si ponga la domanda di un Creatore, che va oltre i codici che la scienza può dimostrare. Un campo, quello della scienza e fede, che da Galilei continua a intersecarsi e appassionare, e parole sapienti sono state scritte da Giovanni Paolo II nel 1998 nell'enciclica Fides et ratio. È qualcosa di più della battuta galileiana che lo scienziato studia come è fatto il cielo mentre il religioso insegna la strada per arrivarci.
In una lettura anche evoluzionistica nella sua dinamica interna, per la prospettiva cristiana, non può mancare l'atto di un Dio creatore e, come dice il Catechismo degli adulti: L'uomo è tratto dalla terra e partecipa del mondo materiale, a riceve da Dio il soffio della vita spirituale. L'evoluzione da sola non basta a dare origine al genere umano; la causalità  biologica dei genitori non spiega da sola la nascita di un bambino, persona cosciente e libera, del tutto singolare. In ambedue i casi occorre uno speciale concorso di un Dio creatore.


È una gran brutta cosa la solitudine

Ho 24 anni, un buon lavoro che mi dà  una certa sicurezza economica. Godo della stima di chi mi conosce, insomma sono uno apparentemente senza grossi problemi. In realtà  c'è qualcosa, e grosso, che mi affligge: sono molto solo e ho grandi difficoltà  nell'instaurare rapporti di amicizia, specie femminili. Un po' dipende dal mio carattere introverso, ma anche dalla difficoltà  di trovare compagnie o gruppi disposti ad accettare persone che non conoscono: è difficile abbattere i tanti steccati entro i quali spesso la gente ama rinchiudersi. Da qui sconforto e la paura di un futuro di solitudine.....
Marco - Firenze

Lei è solo e vuole rompere la solitudine. L'avermi scritto è non solo un segno di buona volontà , ma un primo modesto tentativo di uscirne. La invito a riflettere sui motivi che l'hanno convinta a scrivermi e sui passaggi psichici che hanno fatto maturare il desiderio di rompere la solitudine nel gesto concreto di gettare un ponte tra lei e me, confidandosi. Io credo che lei abbia già  dentro di sé tutto ciò che serve, per quanto la riguarda, ad abbattere i tanti steccati entro i quali spesso la gente ama rinchiudersi.
Oltre a scoprire come lei è uscito da sé per raggiungermi e così mettersi in comunicazione, sarebbe opportuno che lei scoprisse anche come è entrato nella solitudine. Alcuni motivi li ha già  indicati: difficoltà  di trovare compagnie o gruppi, divisioni in compartimenti stagni della società , allontanamento degli amici di una volta che hanno imboccato la loro strada, ecc. Questi sono elementi esterni. Ma quelli che le stanno dentro li ha individuati ? Forse il timore di non essere accettato, la paura di brutte figure, l'attaccamento a schemi sorpassati di comportamento. Non è mia intenzione dirle che cosa deve fare. Quando però abbiamo il coraggio di guardare a fondo in noi stessi, qualche cosa comincia a muoversi.


Una mamma e la crisidel figlio

Mio figlio di vent'anni tutto d'un colpo è cambiato radicalmente. Tanto era religioso prima, quanto è scettico, anzi ostile alla Chiesa cattolica, adesso. Ha letto un libro che parla di una nuova religione e dice di voler credere solo a questa. Pubblichi la risposta sul giornale che voglio farla leggere al figlio per fargli cambiare idea.
Una mamma preoccupata

A vent'anni una crisi del genere è facile, soprattutto se la religiosità  di prima era soltanto rituale, cioè non basata su una solida formazione. Crisi del genere vanno rispettate e, in silenzio e amorosamente,accompagnate dalla nostra preghiera e dal nostro esempio di fede e di generosità . Temo, signora, che non possa proprio bastare qualche riga a riconvertire suo figlio. Ma, se lui me lo permette, gli vorrei chiedere soltanto questo: non credi di dovere a tua madre almeno un riesame della tua situazione? la tua nuova fede è così gracile da non tollerare di essere verificata? hai mai veramente letto il Vangelo?

Poste italiane: pacchi sfasciati e alleggeriti

Mando questa lettera con la richiesta di pubblicarla perché i responsabili delle Poste italiane vengano a conoscenza di quanto scritto. In ogni occasione del rinnovo del mio abbonamento approfitto per regalarne un altro a un mio conoscente. Ma è già  la terza volta consecutiva che il regalo, da voi gentilmente inviato, mi viene recapitato praticamente distrutto, da buttare.
Anche quest'anno l'orologio è arrivato a pezzi. Ma non è solo la poca cura dei pacchi da parte degli addetti oggetto della mia lagnanza. Alcuni mesi fa ho inviato un pacco dono a un mio nipote contenente anche una busta con cento euro: il pacco è stato consegnato in breve tempo e fasciato, ma alleggerito dei cento euro.
Questi episodi vergognosi, mi hanno indotto a scriverle questa lettera: non è giusto che poche persone disoneste facciano gettare fango su un'intera categoria di lavoratori onesti. Un intervento da parte dei responsabili per cercare di evitare tali incresciosi episodi sarebbe necessario.
Giovanni - Savona

Non è la prima persona che ci scrive per lamentare sorprese del genere. Succede anche di peggio. Più volte, come le cronache hanno segnalato, sono stati beccati postini che invece di recapitare la posta, se ne erano disfatti, dopo aver sottratto tutto quello che poteva loro interessare. Le Poste sanno dunque come vanno le cose e penso che cerchino anche di vigilare per prevenire tali inconvenienti.
Probabilmente dovrebbero fare di più, visto il perdurare dell'increscioso fenomeno.

La donna anello debole della società ?

Riguardo all'articolo di Ciotti nel numero di febbraio (violenza sulle donne) non  sono d'accordo, tra l'altro, sulla donna presentata come  anello fragile della società . La fragilità  è distribuita un po' dovunque: bambini, vecchi, handicappati, donne e uomini. Guardandosi attorno si vede che la donna è veramente il sesso forte. Più vivo con mia moglie e più cresce la mia ammirazione per la donna, che ha tanti doni che noi uomini crediamo  di avere.
Lettera firmata

D'accordo: la fragilità  appartiene a tutti. Che la donna poi, nonostante le apparenze, lo sia meno dei maschi è vero. È la vita a renderla forte. Sono le mille incombenze che gravano su di lei, soprattutto se lavora, a forgiarla. Sono le lotte quotidiane che deve affrontare per vedersi riconosciuti diritti e pari opportunità  a irrobustirla.
Però è anche vero che in caso di crisi, nel lavoro ad esempio, è la prima a pagarne le conseguenze.
Come è vero che in molte parti del mondo (guardiamo oltre il recinto domestico) la condizione della donna è tale da essere davvero anello fragile della società .

Data di aggiornamento: 26 Giugno 2017